A Normal Woman (2025). Bellezza, vetro e identità

Recensione, trama e cast del film A Normal Woman (2025). Viaggio interiore tra fragilità, corpo e bellezza nella società indonesiana contemporanea.

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A Normal Woman. Marissa Anita as Milla in A Normal Woman. Cr. Courtesy of Netflix © 2025
A Normal Woman. Marissa Anita as Milla in A Normal Woman. Cr. Courtesy of Netflix © 2025

Trailer di “A Normal Woman”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Disponibile su Netflix dal 24 luglio 2025, nella sola lingua originale con sottotitoli in italiano, A Normal Woman è un lungometraggio indonesiano diretto dal cineasta classe 1980 Lucky Kuswandi, che ha anche firmato la sceneggiatura insieme ad Andri Cung. Appartenente al genere horror/thriller psicologico, il film vede nel ruolo della protagonista Milla l’attrice e giornalista di Surabaya Marissa Anita (Perempuan Tanah Jahanam, 2019; Gundala – Il figlio del lampo, 2019), affiancata da Dion Wiyoko (Terbang: Menembus Langit, 2018; Susi Susanti: Love All, 2019) e Gisella Anastasia, nota per Siapa Dia.. e Anak Titipan Setan (2023).

Trama di “A Normal Woman”

La trentaseienne Milla conduce una vita agiata e altamente benestante, immersa nel massimo comfort. È sposata con Jonathan, figlio di una ricca famiglia indonesiana e proprietario di una influente casa farmaceutica, oltre che illustre influencer: sulle cui piattaforme promuove Eternity Life, integratore alimentare che promette di fare miracoli per la pelle e il corpo. Ma i soldi e l’agiatezza non fanno la felicità: Milla vive dentro una vera e propria prigione di lusso. Il suo quotidiano è un inferno silenzioso, causato dalla presenza opprimente della suocera, Liliana Gunawan — una donna invadente, pretenziosa e sprezzante, che la tratta con superficialità e disprezzo, più da serva che da pari. Giorno dopo giorno, Milla cerca di soddisfare ogni richiesta della donna, ma i suoi sforzi restano invisibili. Ad agravare la situazione ci pensa Jonathan, fortemente influenzato dalla madre e dalla sua fede cristiana. L’uomo, difatti, accetta di vivere sotto le regole imposte da Liliana, favorendola sempre rispetto a Milla e alla loro figlia — una ragazza il cui aspetto fisico non è in linea con gli ideali estetici della famiglia, che guarda solo all’apparenza.Un giorno, la vita di Millaprecipita: inizia ad avere delle strane visioni riguardo a una bambina dal volto coperto di sangue, di nome Grace. Contemporaneamente, sul corpo di Milla compaiono macchie rosse, irritazioni cutanee che si estendono dal collo al viso. La famiglia di Jonathan, visto il peggiorare della malattia, decide di rinchiuderla nella sua stanza, per evitare che il mondo veda il suo volto tumefatto — e soprattutto per proteggere i rapporti commerciali con Eternity Life e l’apparenza sociale.  Ma è in quella reclusione che Milla comincia a risvegliarsi interiormente: il suo passato rimosso riemerge lentamente, svelando verità sepolte, pronte a rivoluzionare la sua identità e la percezione del mondo che la circonda.

Recensione di “A Normal Woman”

In una scena del film, situata nell’ultima parte della pellicola, un giovane giardiniere dichiara a Milla, per cui lavora, una frase che evidenzia in maniera esplicita il tema centrale dell’opera. L’uomo, rivolto verso la donna, afferma: «Se muore, non è colpa della pianta. È l’ambiente intorno». Una frase che racchiude la situazione interiore vissuta dal personaggio principale di A Normal Woman, alle prese con un’eruzione cutanea che la sta lentamente trasformando: da un “bell’anatroccolo” — una donna riconosciuta per la sua bella presenza fisica — in un “brutto anatroccolo”, marchiata da un aspetto che la società considera inaccettabile.

Queste irritazioni cutanee non sono altro che una manifestazione visiva del suo malessere emotivo: una tristezza e un’apatia che Milla è costretta a celare dietro un sorriso forzato, mentre dentro di sé vorrebbe urlare e scoppiare, incapace di sostenere una vita fatta di falsità e repressione, dove la routine la distrugge giorno dopo giorno. All’inizio del film, Milla è già sull’orlo del precipizio esistenziale, cercando di soffocare il proprio vuoto in nome del successo del marito — come osserviamo durante l’intervista a Jonathan. La sua tristezza interiore, sommata all’ansia costante causata dalla suocera e dal doversi occupare dell’imminente festa di compleanno della suocera, dove tutto deve essere assolutamente perfetto, genera un stress acuto in lei che si riflette sul corpo: macchie rosse, sfoghi cutanei sul volto e sul collo, che la rendono “inguardabile” agli occhi della società ricca in cui vive — una società (in questo caso la famiglia) che reagisce nascondendola, per non mostrare l’imperfezione.

La malattia che si manifesta sulla pelle di Milla è dunque una metafora fisica del suo stato emotivo, dove l’“ammalarsi” — come il seccarsi di una pianta — è direttamente causato dall’ambiente tossico in cui si trova. Invece di nutrirla e renderla felice, la famiglia in cui vive le trasmette energia negativa, distruggendola psicologicamente giorno dopo giorno, fino a compromettere la sua stessa identità.

In questo senso, il film si configura come un viaggio interiore: un cammino che Milla deve intraprendere per riscoprirsi e ritrovare la propria dimensione, sia personale che sociale. È una ricerca della propria felicità, non di quella imposta dagli altri — una scelta che la porta (forse per la prima volta) a mettere se stessa davanti agli altri: al marito, alla suocera, al mondo che pretende di definirla.

Parallelamente alla vicenda di sofferenza interiore, dal sapore profondamente drammatico e familiare, A Normal Woman sviluppa — per certi versi — una narrazione che sfiora il body horror. Già dalle prime scene, lo spettatore potrebbe attendersi questa deriva, accentuata dalla tensione crescente e dal tono horror psicologico che pervade la pellicola, una deriva che però il film non abbraccia alla fine dei conti. Difatti, il cineasta preferisce giocare con evidenti suggestioni del sovrannaturale, generando inquietudine attraverso le dinamiche classiche del genere, come le visioni e le allucinazioni che coinvolgono Grace, una bambina dal volto insanguinato e pieno di frammenti di vetro — immagine disturbante e potente.

Nel suo sviluppo drammaturgico, il film incorpora diversi elementi appartenenti all’horror sovrannaturale: le ricorrenti visioni che tormentano la protagonista, la marcata religiosità della famiglia (al centro della quale spicca una scena dal sapore quasi esorcistico), fino alla sequenza in cui Milla vomita sangue e vetro. Scene fortemente perturbanti, ma che non costituiscono un horror tradizionale. La narrazione, pur attingendo a questi codici visivi, rimane ancorata al dramma familiare, dove il linguaggio dell’horror diventa un espediente visivo — non sempre riuscito — per evocare e portare in superficie il passato rimosso della protagonista.

Questo passato, dimenticato e volutamente occultato da Milla, si configura come un elemento drammaturgico accessorio: non del tutto necessario alla narrazione, ma comunque utile ad amplificare la tridimensionalità della protagonista, aprendo la strada a un’ulteriore riflessione sul tema della bellezza esteriore. Tale discorso si estende anche alla figlia di Milla, facendo del film una critica feroce alla società ricca indonesiana, dove l’apparenza prevale sullo spessore interiore.

Milla vive in un mondo di vetro, fragile e apparentemente perfetto, dove ogni imperfezione dev’essere celata. In questo contesto, la bellezza diventa un obbligo sociale: chi non rientra nei canoni estetici viene escluso, e ogni difetto fisico va combattuto e corretto — persino con interventi estetici invasivi che distruggono per sempre i lineamenti naturali per ottenere un’immagine di sé perfetta ma non autentica.

A Normal Woman è, dunque, un film che si muove con discrezione tra dramma familiare e horror psicologico, senza mai cercare lo spavento diretto, ma lasciando emergere un senso di inquietudine latente, sottile e persistente. La narrazione si sviluppa in modo lineare e misurato, evitando eccessi o picchi emotivi, proponendo una storia che, pur non brillando per originalità o intensità, riesce comunque a costruire un impianto solido, dove le dinamiche domestiche si intrecciano con riflessioni più ampie sul concetto di felicità imposta e sulla necessità di trovare un ambiente favorevole in cui poter risplendere ed essere se stessi.

In questo contesto, la bellezza e l’ambiente circostante — dagli interni patinati alle ville borghesi di Bali — si trasformano da cornice rassicurante a prigione emotiva, diventando parte attiva del disagio interiore che affligge la protagonista. La figura di Milla, elegante, benestante e apparentemente realizzata, si staglia al centro di questa dimensione alienante, dove il lusso e la perfezione sociale non sono garanzie di benessere, ma strumenti di repressione e specchi deformanti di una crisi identitaria.

Il comparto tecnico accompagna coerentemente la visione: la regia di Lucky Kuswandi si distingue per una messa in scena semplice e misurata, dal taglio quasi televisivo, che rifugge ogni tentazione di spettacolarità. Le inquadrature pulite, i movimenti di macchina discreti e una fotografia sobria — non memorabile, ma efficace — seguono il graduale sgretolarsi della psiche della protagonista senza invadere il campo emotivo con enfasi forzate.

Sul piano attoriale, Marissa Anita, nel ruolo di Milla, offre una performance contenuta e credibile, riuscendo a dare corpo alla fragilità e all’ambiguità del personaggio. Il resto del cast si muove su binari più convenzionali, con figure secondarie spesso bidimensionali, sufficientemente funzionali alla narrazione, seppur privi di una scrittura davvero incisiva. In particolare, Jonathan appare come un personaggio debolmente costruito, mentre la cerchia di amiche di Milla risulta fin troppo stereotipata, limitandone la portata narrativa.Senza dubbio, A Normal Woman è un’opera che, nella sua costante mediocrità e nel suo rifiuto dell’eccesso, trova una precisa identità stilistica. Pur non brillando per originalità, riesce a stimolare lo spettatore soprattutto sul piano tematico, restituendo un racconto che si lascia guardare — e che, talvolta, riesce anche a farci riflettere.

In conclusione

A Normal Woman sceglie di raccontare la crisi di una donna attraverso il corpo e la fragilità emotiva. Con un linguaggio visivo discreto e una narrazione dai toni sommessi, il film esplora il trauma e il bisogno di riscatto senza mai cedere allo spettacolare. Kuswandi costruisce un’opera che resta in bilico tra dramma borghese e suggestione horror, un film che non lascia il segno ma lascia spazio alla riflessione.

Note positive

  • Tematiche interessanti legate a trauma, corpo e bellezza
  • Messa in scena coerente e misurata

Note negative

  • Personaggi secondari poco sviluppati
  • Suggestioni horror non pienamente sfruttate

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Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Interpretazione
Emozione
SUMMARY
3.2
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.