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Andor 2
Titolo originale: Andor
Anno: 2025
Paese: Stati Uniti d’America
Genere: Fantascienza, Drammatico
Casa di Produzione: Lucasfilm, The Walt Disney Company
Distribuzione italiana: Disney+
Ideatore: Tony Gilroy
Stagione: 2
Puntate: 12
Regia: Ariel Kleiman, Janus Metz, Alonso Ruizpalacios
Sceneggiatura: Tony Gilroy, Beau Willimon, Dan Gilroy, Tom Bissell
Fotografia: Adriano Goldman, Jonathan Freeman
Montaggio: John Gilroy
Musica: Nicholas Britell, Brandon Roberts
Attori: Diego Luna, Stellan Skarsgård, Genevieve O’Reilly, Denise Gough, Kyle Soller, Adria Arjona, Alan Tudyk, Faye Marsay, Varada Sethu, Elizabeth Dulau, Ben Mendelsohn, Forest Whitaker
Trailer di “Andor 2”
Informazioni sulla stagione e dove vederla in streaming
Dopo il successo della prima stagione e sei candidature agli Emmy, Andor – la serie thriller prodotta da Lucasfilm e ambientata nell’universo di Star Wars – torna sul piccolo schermo il 23 aprile 2025 su Disney+, pronta a chiudere l’arco narrativo di uno dei personaggi più complessi e sfaccettati della galassia ideata da George Lucas, ora nelle mani di The Walt Disney Studios.
Questa seconda stagione, composta da dodici episodi, ci proietta in un momento di crescente tensione, quando l’Impero intensifica il proprio controllo su ogni angolo della galassia, rendendo la vita sempre più soffocante per tutti, ribelli e civili compresi. In questo scenario, Cassian Andor – interpretato da Diego Luna – emerge come figura chiave nella nascita dell’Alleanza Ribelle, passando da uomo solitario e disilluso a pedina fondamentale nella lotta contro l’oppressione imperiale.
La serie, che intende esplorare con profondità i conflitti morali, le ambiguità del potere e la nascita della ribellione, si configura come un prequel diretto di Rogue One: A Star Wars Story, riportando lo spettatore a cinque anni prima degli eventi del film e costruendo una narrazione tesa, stratificata e ricca di sfumature. L’obiettivo non è soltanto raccontare l’evoluzione individuale di un eroe riluttante, ma anche analizzare la genesi di un movimento rivoluzionario, mettendone in luce i compromessi, le contraddizioni e i dilemmi etici. Per via delle tematiche affrontate fin dalla prima stagione, Andor si conferma come una delle opere più cupe e mature dell’intero franchise, pensata per un pubblico adulto.
Lanciata il 21 settembre 2022, la prima stagione aveva seguito Cassian nel corso del suo primo anno di trasformazione. La stagione conclusiva si articolerà invece in dodici episodi, suddivisi idealmente in quattro blocchi narrativi, ciascuno dedicato a un anno, così da coprire l’intero periodo che separa il protagonista dagli eventi di Rogue One. Questa struttura temporale rafforza il senso di progressione storica e personale, rendendo ancora più incisiva la crescita di Andor e costruendo un crescendo drammatico che accompagnerà lo spettatore fino all’incontro con Jyn Erso.
Alla guida del progetto torna Tony Gilroy, già ideatore e architetto della prima stagione, che oltre a essere showrunner firma anche la sceneggiatura dei primi episodi e ricopre il ruolo di produttore esecutivo. Il cast, riconfermato in gran parte, accoglie di nuovo interpreti del calibro di Stellan Skarsgård, Genevieve O’Reilly, Denise Gough, Kyle Soller, Adria Arjona, Alan Tudyk, Faye Marsay, Varada Sethu ed Elizabeth Dulau, con la partecipazione di Ben Mendelsohn e Forest Whitaker. Alla scrittura degli episodi si alternano anche Beau Willimon, Dan Gilroy e Tom Bissell, mentre la regia è affidata a tre nomi distinti per ciascun arco narrativo: Ariel Kleiman, Janus Metz e Alonso Ruizpalacios.
Trama di “Andor 2”
Tre anni prima della battaglia di Yavin. I tempi sono duri e complessi per la Ribellione: i suoi membri sono costantemente costretti a lottare, sacrificarsi e vivere nell’ombra, in nome della libertà e della speranza di restaurare la Repubblica. L’Impero, sotto il comando oscuro di Darth Sidious, ha ormai imposto il proprio regno di terrore, riducendo in schiavitù interi pianeti e soffocando ogni forma di dissenso. In questo clima di oppressione seguiamo il misterioso Luthen Rael, architetto dell’insurrezione, e la senatrice Mon Mothma, che inizia a comprendere fino in fondo il peso della sua scelta: diventare una traditrice dell’Impero e una rivoluzionaria nel vero senso del termine.
Accanto a loro troviamo Bix e Cassian Andor, quest’ultimo ormai entrato nei ranghi della Ribellione ma ancora combattuto interiormente. Cassian rimane diffidente nei confronti di Luthen e dei metodi estremi della causa, mettendo spesso in discussione le priorità del movimento, soprattutto quando è costretto a scegliere tra il dovere e la protezione di Bix, la donna che ama. Al loro fianco agiscono anche altri combattenti: Vel Sartha, Cinta Kaz, Kleya Marki, fino ai rivoluzionari del pianeta Ghorman, pronti a tutto pur di fermare l’avanzata imperiale e difendere la propria terra.
Nel frattempo, l’Impero porta avanti i propri piani con spietata determinazione, muovendosi nel silenzio e nella segretezza più assoluta. Solo pochi ufficiali ne conoscono la vera portata. Tra questi spicca Dedra Meero, supervisore dell’Ufficio di Sicurezza Imperiale, incaricata di orchestrare una devastante operazione su Ghorman, finalizzata all’estrazione di un minerale strategico per i fini imperiali. Al suo fianco opera Syril Karn, con il quale mette in atto un piano manipolatorio volto non solo a piegare la resistenza, ma anche ad assicurarsi una posizione privilegiata nei ranghi dell’Impero.
Recensione di “Andor 2”
Andor rappresenta, senza ombra di dubbio, il prodotto seriale più interessante realizzato da Lucasfilm da quando la casa di produzione è passata sotto l’egida della Walt Disney Studios. È curioso osservare come, sul versante cinematografico, il film più riuscito e narrativamente accattivante del canone Star Wars post-2012 risulti essere Rogue One: A Star Wars Story, diretto da Gareth Edwards. Una pellicola che non solo si ricollega direttamente ad Andor ma ne rappresenta, di fatto, il proseguimento ideale, con Cassian Andor, che vediamo qui per la prima volta, accanto alla determinata Jyn Erso.
Che si tratti di una coincidenza? Ne dubito fortemente. Al contrario, ritengo che questo sia un chiaro indicatore della direzione che la narrazione legata all’universo di Star Wars dovrebbe intraprendere: abbandonare i binari della classica dicotomia tra Impero e Repubblica, Jedi e Sith, per esplorare invece una visione più tridimensionale e adulta, che privilegi un linguaggio geopolitico, complesso, sfaccettato, capace di coinvolgere il pubblico senza scadere in un fan service sterile e compiaciuto. Una tentazione, questa, che ha invece segnato — in misura più o meno evidente — altri prodotti live-action del franchise: dalla miniserie Obi-Wan Kenobi, fino alle opere nate sotto la supervisione di Dave Filoni, come The Mandalorian, The Book of Boba Fett e Ahsoka. Pur contenendo spunti narrativi degni di nota, queste serie mantengono spesso un’impostazione generalista e dai toni familiari, rimanendo ancorate a una narrazione bidimensionale, sia nella caratterizzazione dei personaggi sia nella gestione degli eventi. Andor, invece, osa. Scava. Racconta un universo in cui l’ambiguità morale, la disillusione e il peso delle scelte plasmano i personaggi molto più del destino, del lignaggio o della Forza. E forse è proprio qui che risiede il futuro più interessante della galassia lontana lontana.
Rogue One e, soprattutto, Andor si impongono come i due prodotti più maturi e stratificati dell’intero universo Star Wars. Non perché abbiano introdotto elementi particolarmente innovativi o originali, ma perché hanno saputo guardare alla galassia lontana lontana attraverso una lente nuova, capace di restituire complessità e profondità a un mondo troppo spesso ridotto alla dicotomia tra Jedi e Sith, Luce e Oscurità, così come concepita da George Lucas. Questi due progetti non rinnegano l’anima di Star Wars, anzi, la esaltano. Ma scelgono di farlo recuperando quel nucleo fantascientifico, filosofico, geopolitico e bellico che era presente — anche se in filigrana — nella trilogia originale, e che era stato progressivamente oscurato da una narrazione sempre più autoreferenziale e centrata sulle gesta di Luke, Anakin e Han Solo, dove una narrazione riferita alla storia familiare dei persoanggi prendeva il sopravvento sul lato sociale e sulla descrizione del mondo circostante.
Andor e Rogue One, invece, si pongono come opere di resistenza narrativa, capaci di dare voce a quell’umanità silenziosa e sacrificabile che ha reso possibile il crollo dell’Impero. Non eroi predestinati, non eletti, ma donne e uomini comuni che hanno offerto tutto, fino all’ultimo respiro, per alimentare un’idea: la libertà. In questo senso, l’innovazione di Andor non è tecnica, ma tematica e stilistica. È un’opera intellettuale e politica, che racconta per la prima volta — davvero — cosa significhi far parte della Ribellione, il tutto utilizzando uno sguardo quasi noir e dai toni thriller, reso con una fotografia e un lavoro di concept design di altissimo pregio.
In Andor, Cassian non è il protagonista assoluto. È un volto tra i molti che compongono il mosaico della lotta sotterranea contro il totalitarismo. È un testimone, come lo sono Mon Mothma, Luthen Rael, Maarva, Nemik e tanti altri, di un’epoca in cui la speranza non era ancora uno slogan, ma una scelta sofferta, quotidiana, e spesso solitaria. Questa visione — già abbozzata in Star Wars Rebels — trova in Rogue One e poi in Andor la sua compiutezza artistica. Qui, finalmente, Star Wars si concede il lusso della complessità, del grigio, dell’ambiguità morale. Qui ci si interroga non su chi siano gli eroi, ma su che prezzo abbia l’eroismo. E se Luke ha potuto distruggere la Morte Nera, è stato soltanto perché altri, prima di lui, hanno scelto di sacrificarsi nel silenzio. Andor racconta la loro storia. Ed è forse questa, ora, la storia più necessaria da raccontare.
Il vero protagonista di Andor è la Ribellione stessa, non il singolo individuo. Non è dunque un caso che la serie si configuri come un’opera marcatamente corale, strutturata per indagare l’animo di coloro che hanno scelto di schierarsi, sia sul fronte imperiale che su quello ribelle. I primi dodici episodi ci hanno introdotto a una galleria di personaggi nuovi e già noti, complessi, stratificati, sfaccettati. Il compito, ora, è chiudere i molti archi narrativi avviati nella prima stagione. Un’impresa ambiziosa, da portare a termine in soli dodici episodi, che la seconda stagione riesce a compiere solo in parte.
Il principale ostacolo risiede nella struttura narrativa adottata: il racconto si sviluppa attraverso continui salti temporali, focalizzandosi maggiormente sull’azione e sui momenti cruciali, piuttosto che sull’evoluzione interiore dei personaggi. Una scelta che dona ritmo alla serie, sì, ma che sacrifica l’approfondimento psicologico. Alcuni archi narrativi ne risentono in maniera evidente: è il caso di Dedra Meero (Denise Gough) e Syril Karn (Kyle Soller), figure che finiscono per risultare eccessivamente caricaturali, schiacciate da una scrittura che ne accentua i tratti più rigidi a scapito della complessità, nonostante restino caratteri d’indubbio fascino. Anche il personaggio di Luthen avrebbe meritato una maggiore indagine emotiva. Il tentativo di restituire profondità al suo passato avviene esclusivamente tramite un flashback, nel quale Kleya Marki, sua compagna nella Ribellione, rievoca il loro primo incontro. Un momento significativo, certo, ma che arriva tardi e con un impatto narrativo parziale, limitato.
Queste fragilità non sono imputabili esclusivamente alla scrittura, quanto piuttosto a una gestione problematica dei tempi narrativi. Andor avrebbe beneficiato di una maggiore dilatazione drammaturgica, di un respiro più ampio per raccontare eventi e destini con il giusto peso. La caduta di Ghorman, ad esempio, e il sacrificio di numerosi ribelli vengono mostrati senza offrire allo spettatore il tempo necessario per conoscere, affezionarsi e soffrire davvero con quei personaggi. La mancanza di empatia non nasce dalla freddezza della messa in scena, ma dalla rapidità con cui vengono tratteggiati i volti e le storie di chi combatte.
Nonostante le problematiche legate all’approfondimento dei personaggi, Andor rimane una delle incursioni più mature e coraggiose nell’universo di Star Wars. Il limite nella scrittura dei personaggi secondari, che talvolta appaiono funzionali alla trama più che reali nella loro complessità umana, sottrae alla serie parte dell’intensità emotiva che avrebbe potuto raggiungere. Si ha l’impressione che l’opera sia costretta in una struttura narrativa troppo compressa per l’ambizione che la anima: dodici episodi non bastano, e l’idea di una terza stagione aleggia come un’occasione mancata.
Eppure, Andor riesce comunque a colpire con un impatto politico e simbolico raro per il franchise. Il ritratto dell’Impero non è più quello, per quanto inquietante, idealizzato di altri prodotti del passato: qui è freddo, burocratico, sistematico nella sua violenza. È un regime che non ha bisogno di mostri mitologici o figure carismatiche: l’orrore nasce dalla normalità, dalla routine, dalla logica implacabile dell’efficienza. È proprio in questo sguardo crudo e disilluso che Andor trova la sua voce più autentica, offrendo una riflessione sulla repressione e sul controllo che parla direttamente al nostro presente.
La seconda stagione intensifica questo discorso portando in primo piano il ruolo dei media, e lo fa con una lucidità che sorprende per un prodotto nato in seno a un universo narrativo pop. Le immagini, le parole, i reportage: nulla è neutro. L’Impero non domina solo attraverso la forza, ma anche attraverso la narrazione, riscrivendo gli eventi per giustificare le proprie azioni e screditare ogni forma di dissenso. Questa manipolazione sistematica della verità si riflette nel nostro mondo contemporaneo, dove la fiducia nell’informazione è sempre più fragile e le verità si moltiplicano fino a diventare indistinguibili dalle menzogne. In questo senso, Andor non è solo una serie ambientata in una galassia lontana, ma un racconto su di noi, sul modo in cui la realtà viene costruita, diffusa, accettata. E lo fa senza cedere al cinismo o alla disperazione: nella lotta, nella resistenza, nei gesti minimi dei personaggi che ancora credono nella possibilità di un cambiamento, la serie suggerisce che un altro sguardo è possibile. Un’utopia minima, forse, ma sufficiente per continuare a opporsi. Così, Star Wars diviene un’allegoria politica potente, capace di parlare del nostro tempo attraverso l’invenzione di un futuro mitico lontano lontano. In Andor, però, la favola eroica lascia spazio a un realismo morale che obbliga lo spettatore a porsi domande scomode. E questo, oggi più che mai, è un merito raro.
In conclusione
Andor si distingue come uno dei prodotti più audaci e maturi dell’universo Star Wars, capace di offrire una prospettiva profondamente umana e politica sulla Ribellione. La serie riesce a restituire complessità ai suoi personaggi e alle dinamiche di potere che li circondano, evitando le semplificazioni tipiche del franchise. Tuttavia, la struttura narrativa serrata e l’approfondimento limitato di alcuni personaggi secondari impediscono a Andor di raggiungere il pieno potenziale emotivo che avrebbe potuto avere. Nonostante queste imperfezioni, il valore della serie risiede nella sua capacità di raccontare la lotta per la libertà in modo realistico e sfaccettato, sfidando gli spettatori con domande etiche e politiche profonde. Se Star Wars vuole evolversi, è proprio questo il cammino da seguire: una narrazione adulta che non abbia paura di esplorare il lato più oscuro e complesso della galassia lontana lontana.
Note positive
- Narrazione adulta e complessa, lontana dalle semplificazioni tipiche di Star Wars.
- Approccio politico e realistico alla Ribellione, con una forte riflessione sul totalitarismo e la manipolazione dell’informazione.
- Personaggi sfaccettati e ben costruiti, con un focus sull’ambiguità morale e sulle difficoltà della resistenza.
- Comparto tecnico
- Una serie per i fan ma non in modo banale
Note negative
- Struttura narrativa serrata che penalizza l’approfondimento di alcuni personaggi secondari.
- Salti temporali che rendono la narrazione dinamica ma sacrificano lo sviluppo psicologico di alcune figure chiave.
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Fotografia |
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Sceneggiatura |
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Colonna sonora e sonoro |
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Interpretazione |
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3.8
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