Dogtooth, il film in ritardo di un decennio

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Dogtooth locandina film

Dogtooth

Titolo originale: Kynodontas

Anno: 2009

Paese: Grecia

Genere: Drammatico, grottesco, thriller

Produzione: Boo Productions, Greek Film Center (co-produzione), Horsefly Productions (co-produzione)

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 93 minuti

Regia: Yorgos Lanthimos

Sceneggiatura: Efthymis Filippou e Yorgos Lanthimos

Fotografia: Thimios Bakatakis

Montaggio: Yorgos Mavropsaridis

Musiche: Grégoire Hetzel

Attori: Christos Stergioglou, Michele Valley, Angeliki Papoulia, Mary Tsoni, Hristos Passalis, Anna Kalaitzidou

Trama di Dogtooth

Il film narra la situazione di una famiglia in cui un padre, aiutato dalla moglie, assume il ruolo di comando assoluto sui figli, costringendoli tramite l’educazione e la persuasione a non oltrepassare mai il recinto dell’abitazione. I figli passano il tempo in casa assieme alla madre, completamente isolati dal resto del mondo. A rompere questo equilibrio irreale sarà Christina, una ragazza pagata per soddisfare i bisogni sessuali del figlio maschio.

Dogtooth

Nel 2009 il regista greco Yorgos Lanthimos dirige il film Dogtooth (Kynodontas per i puristi della lingua originale) dando vita a un’opera dal linguaggio pulito e spietato. Vince Un Certain Regard alla 62esima edizione del Festival di Cannes, premio che riconosce le opere di giovani talenti che utilizzano stili innovativi che si allontanano dal paradigma tradizionale.

Questa importante pellicola viene distribuita in Italia solo nel 2020, dieci anni dopo la proiezione nelle sale del resto d’Europa, grazie a Lucky Red che mette sul piatto una proposta più audace. Perché proprio adesso? Perché c’è bisogno di coraggio nel cinema, perché con il lockdown abbiamo avuto modo di conoscere il confinamento, tema centrale di Dogtooth. Con questo film è nata la Greek New Wave, una corrente innovativa che ha dato nuova linfa al cinema greco e spinto altri registi a osare di più. Spero che con la visione in sala questa storia spinga anche noi come pubblico a una piccola rivoluzione del nostro modo di vedere la società.

Recensione di Dogtooth

Dogtooth è una metafora. Ma di cosa? Della società e del rapporto servo-padrone? Dell’educazione e del nucleo familiare?

Senza dubbio è tutte queste cose e forse anche di più per chi cerca di capire cosa si nasconde dietro ai simboli e alle assurdità disseminate in questi 93 minuti.

La regia di Lanthimos è calibrata a livello maniacale, si percepisce un senso di equilibrio, di calma illusoria che abbassa la guardia dello spettatore. Ci troviamo in una casa in mezzo al nulla, dove abitano un padre di famiglia autoritario, una moglie sottomessa e tre figli adulti che non hanno mai attraversato il recinto della loro abitazione. L’incipit mette subito in chiaro la situazione ai limiti dell’irreale; i tre ragazzi ascoltano una registrazione in cui le parole assumono il significato che i genitori hanno stabilito (il mare è una sedia coi braccioli, ad esempio) suscitando quasi ilarità nel pubblico (uno spettatore a pochi posti dal mio ride, forse ignaro di cosa potrebbe seguire). Ignorance is strength, diceva Orwell nel celeberrimo 1984. Il vero potere non viene applicato direttamente sulle vittime con catene e bastoni, ma con favole sul mondo esterno ed escamotage (come nel caso dell’aeroplano e dei pesci), per reiterare la bontà e verità indiscutibile del sistema scelto.

Durante Dogtooth vengono esposte tutte le varie sfaccettature del potere patriarcale che permea le esistenze della madre e dei figli. Non hanno via di scampo, non hanno un forte desiderio di fuga, solo la figlia maggiore (come spesso fanno i primogeniti) ha l’impulso di andare contro le regole. Crediamo che il mondo sia disseminato di occasioni per metterci alla prova quando secondo Lanthimos sono solo false speranze, giocattoli che si limitano a rappresentare grandezze irraggiungibili.

Inoltre, questa storia, anticipa movimenti femministi in fervore in questi anni mettendo in scena un sistema fortemente patriarcale e autoritario che tratta le donne come goffe ballerine sottomesse al potere maschile. Il figlio, invece, viene illuso di avere una maggiore possibilità di scelta (principalmente nella sfera sessuale).

Con quest’opera dalla scenografia candida e dai personaggi ingenui in situazioni raccapriccianti, possiamo imparare a vedere anche il nostro mondo con occhi nuovi, quelli di chi ha provato a ipotizzare: “Ma se anche la mia vita fosse sempre stata una bugia?”.

Note positive

  • Contrasto ambientazione/narrazione
  • Fotografia
  • Sceneggiatura

Note negative

  • Le scene più oltraggiose rischiano di allontanare una grossa fetta di pubblico
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