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Dostoevskij
Titolo originale: Dostoevskij
Anno: 2024
Paese: Italia
Genere: Thriller, Drammatico, Noir, Gotico
Casa di Produzione: Sky Studios, Paco Cinematografica
Distribuzione italiana: Sky, NOW
Ideatore: Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo
Showrunner: Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo
Stagione: 1
Episodi: 6
Regia: Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo
Sceneggiatura: Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo
Fotografia: Matteo Cocco
Montaggio: Walter Fasano
Musica: Michael Wall, Walter Fasano
Attori principali: Filippo Timi, Gabriel Montesi, Carlotta Gamba, Federico Vanni
Trailer di “Dostoevskij”
Informazioni sulla serie e dove vederla in streaming
Dostoevskij, un thriller psicologico oscuro e visivamente magnetico, rappresenta il debutto dei Fratelli D’Innocenzo nel mondo delle serie televisive. Ideata, scritta e diretta da Damiano e Fabio D’Innocenzo, la miniserie è una produzione Sky Original, realizzata in collaborazione con Paco Cinematografica. L’opera è stata presentata in anteprima mondiale al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, consolidando il profilo internazionale dei due registi. I fratelli avevano già ottenuto l’Orso d’Argento per la sceneggiatura di Favolacce nel 2020, presentata in concorso nella prestigiosa sezione Orso d’Oro.
Dopo l’anteprima alla Berlinale 2024, Dostoevskij è stata distribuita come evento speciale sul grande schermo da Vision Distribution, con proiezioni straordinarie dall’11 al 17 luglio. Successivamente, la serie è approdata in esclusiva su Sky e NOW il 27 novembre, con tutti i sei episodi resi disponibili contemporaneamente in streaming.
Il cast è guidato da un’intensa interpretazione di Filippo Timi, vincitore del David di Donatello 2022 come Miglior Attore in una commedia per Il filo invisibile. Timi veste i panni di un detective tormentato, un personaggio complesso, brillante e intrappolato in un mondo interiore oscuro e spezzato. Ad affiancarlo troviamo Gabriel Montesi (Pasolini, 2014; El Paraíso, 2023; Campo di battaglia, 2024), Carlotta Gamba (Gloria!, 2024; Vermiglio, 2024; Amusia, 2022), compagna di Fabio D’Innocenzo, e Federico Vanni (Fedeltà, 2022; Io sono l’abisso, 2022).
La sceneggiatura e gli storyboard, entrambi firmati dai Fratelli D’Innocenzo, sono stati raccolti nel volume Indizi, pubblicato da La Nave di Teseo. Il libro offre un’immersione nel processo creativo dei due autori, svelando le radici del loro approccio narrativo e visivo.
Trama di “Dostoevskij”
In una provincia evocativa e decadente, l’investigatore Enzo Vitello, un uomo segnato da un passato oscuro e tormentato, è ossessionato da un serial killer noto come “Dostoevskij”. L’assassino agisce seguendo un rituale preciso: accanto ai corpi delle sue vittime lascia una lettera in cui espone la propria visione del mondo, descrivendo con freddezza gli ultimi momenti di vita delle sue prede. Attratto e al tempo stesso sopraffatto dall’oscurità che lo avvolge e che sente profondamente radicata in sé, Vitello inizia un segreto scambio epistolare con il killer, con cui sente un affinità caratteriale. Questo lo costringe a confrontarsi con i propri demoni, scavando nelle ferite profonde che si è inferto per sopravvivere. Un passato che lo ha spinto, anni prima, a compiere una scelta più dolorosa delle sua vita: abbandonare la figlia Ambra quando era ancora una bambina, causando in lei delle profonde ferite interiore, che la spingeranno a intraprendere un percorso di tossicodipendenza e di autodistruzione psico-fisica, dovendo elaborare dei traumi infantili, connessi alla figura paterna, che non riesce a rielaborare.

Recensione di “Dostoevskij”
La storia di Dostoevskij si apre con un tema universale e potente: la rinascita. Enzo Vitello, il protagonista, ci viene presentato nell’istante successivo al suo tentativo di suicidio, dichiarando, immediatamente allo spettatore la natura stessa dell’uomo attraverso anche la presenza di una lettera, indirizzata alla figlia dell’uomo, che udiamo attraverso la voce fuori campo di colui che interpreta Enzo, Filippo Timi. Questo protagonista appare immediatamente come un uomo spezzato, schiacciato dal peso di un passato fatto di rabbia e dolore insostenibili. Alienato dai suoi affetti, intrappolato nelle sue pulsioni autodistruttive e incapace di trovare una via d’uscita, tenta il suicidio ingerendo un mix letale di pillole. Tuttavia, all’ultimo istante, il fato decide altro per lui, respingendo la sua morte e conducendolo, inversamente a reagire. Colui che desidera morire si risveglia rintontito sul pavimento della propria abitazione, fuoriesce dalla propria casa barcollando e alla fine, prima di morire, lungo un vialetto poco lontano da dove abita, qualcosa lo spinge a reagire: un atto di autoimposta espiazione, il rifiuto di lasciarsi andare alla morte, che lo porta a espellere quanto ingerito, vomitando ciò che lo avrebbe dovuto condurre all’altro mondo. Questo gesto, simbolico e viscerale, lo riporta alla vita e segna per lui l’inizio di un possibile percorso verso una sorta di redenzione intimistica. Non si tratta solo di affrontare il dolore che lo tormenta, ma anche di fare i conti con il male che ha inflitto agli altri, in particolare alla figlia Ambra, che ha abbandonato e che, segnata da questo vuoto, è precipitata nella tossicodipendenza. Dunque il suo ritorno alla vita è la sua seconda possibilità, quell’opportunità che gli offre il destino per rimettere insieme i pezzi della sua vita, ma che lo mette anche a contatto con l’oscurità che proviene da un inquietante caso investigativo, attraverso una chiamata telefonica che riceve immediatamente dopo aver espulso dal suo corpo le pasticche che aveva inghiottito. Questo caso che gli capita tra le mani è quello riguardante al serial killer ribattezzato Dostoevskij, un assassino con un singolare modus operandi: non si limita a uccidere, ma lascia su ogni scena del crimine una lettera, una cronaca intima e dettagliata dei momenti finali della vita e della morte della vittima. Ogni messaggio non è solo un documento macabro, ma una finestra sull’anima dell’assassino, rivelandone una mente complessa e distorta, riferita a temi oscuri come la morte e l’assenza di vita.
Per Enzo, l’incontro con le lettere del killer è uno specchio spietato. In quelle righe trova una connessione profonda, un rispecchiarsi che lo disorienta e lo affascina al tempo stesso. La loro crudezza e autenticità lo spingono a intraprendere una ricerca interiore, riconoscendo nella mente del killer un’affinità che lo lega indissolubilmente a questo oscuro avversario. Così, mentre il suo team investigativo procede secondo i canoni tradizionali, Enzo si allontana, intraprendendo una ricerca solitaria, guidata più dalle sue ossessioni personali che dalla logica professionale. Le lettere del killer diventano per lui non solo indizi, ma un dialogo intimo, un dialogo che lo spinge a stringere una sorta di amicizia epistolare, quasi spirituale con questo oscuro criminale. In questa relazione, Enzo nutre sia un’inquietante stima per Dostoevskij sia un bisogno inestinguibile di rivelarne l’identità, non solo per fermarlo, ma per comprendere sé stesso. Nel corso della narrazione, la sua ossessione per Dostoevskij si rivela un percorso di redenzione e condanna insieme, portandolo a confrontarsi con le sue stesse colpe: l’abbandono della figlia Ambra, persa nella tossicodipendenza, e la rottura con ogni forma di amore o connessione autentica. La caccia al killer diventa dunque il simbolo della sua battaglia interiore, un tentativo di riscrivere la propria esistenza attraverso il confronto con un riflesso oscuro e deformato di sé.
La miniserie dei Fratelli D’Innocenzo può essere definita un prodotto profondamente intimistico, incentrato sull’analisi psicologica dell’individuo. Non si tratta di un uomo “perbene”, ma di un essere umano che vive in un contesto di grigio, in bilico tra il bianco e il nero, dove le sue scelte e sofferenze non sono mai completamente giustificabili o comprensibili. Il protagonista della storia è un uomo distrutto da un dolore profondo, da un’angoscia oscura, sentimenti che emergono lentamente e che vengono esplorati episodio dopo episodio. Ogni puntata ci svela un frammento del suo comportamento e del suo modo di pensare, portandoci a conoscere i motivi che lo spingono a comportarsi in un determinato modo.
Questo uomo tiene solo e soltanto alla propria figlia, e con lei avvia un viaggio di redenzione egoistica. Non si tratta tanto di salvarla dal proprio male, ma piuttosto di mettersi a nudo davanti a lei, rivelando i motivi che lo hanno portato ad abbandonarla, privandola così di una figura paterna stabile e presente. Enzo non aiuta davvero la figlia — pur credendo in parte di farlo — ma si sbarazza semplicemente di alcuni pesi sulla propria coscienza, liberandosi per poter finalmente fare ciò che desidera. Nel finale, diventa il suo sé più completo, un uomo che abbraccia un aspetto della sua personalità fino a quel momento rimosso.
Se Enzo rappresenta il portatore di oscurità, la fotografia si fa estensione di questo malessere, di questo “cane che morde” e annienta tutti i personaggi, privandoli di ogni frammento di felicità. La narrazione si sviluppa in un’atmosfera pervasa da angoscia e sofferenza, dove la felicità appare come qualcosa di estraneo a questo mondo di uomini e donne distrutti e solitari. Realizzata con pellicola da 16mm, la fotografia si presenta cruda e dura, rispecchiando non solo lo stato d’animo dei protagonisti, ma anche l’essenza psichica e concettuale della loro condizione. Essa trasporta nella drammaturgia le tinte cromatiche tipiche del noir investigativo, dove l’oscurità prevale sulla luce.
In Dostoevskij, i personaggi sono costantemente avvolti da un’oscurità visiva che permea ogni angolo dello spazio scenico, tanto da rendere difficile la visibilità dei volti nelle scene notturne o in ambienti scarsamente illuminati. Per tutte e sei le puntate, l’elemento fotografico si muove in un connubio cromatico dominato dal nero e da una luce ridotta, con scene diurne che, pur essendo illuminate, non possiedono mai un colore caldo o un cromatismo affettuoso che possa riscaldare i cuori. Anche i raggi del sole appaiono freddi e privi di affetto, accentuando il senso di malessere esistenziale che opprime i personaggi. Questa scelta visiva rimarca il tono cupo e desolante della miniserie.
La fotografia, insieme alla narrazione, predilige l’uso della macchina a mano e il soffermarsi, spesso, su dettagli e particolari: gli oggetti che arredano le spoglie scenografie domestiche, ma anche gli sguardi e i volti dei personaggi. La macchina da presa sembra “attaccarsi” agli occhi dei protagonisti, attraverso numerosi primissimi piani, crudi e intensi, dal sapore di realismo distopico. Ogni inquadratura sembra pesare, quasi fisicamente, sulla fragilità dell’esistenza, mettendo in risalto il conflitto interiore dei personaggi. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la scelta accuratissima delle location, che ci catapultano in un mondo segnato dalla miseria, sia umana che economica, e da un profondo senso di solitudine e distruzione interiore. Dalla caserma di polizia alla casa di Enzo, fino al luogo in cui vive la figlia Alba, ogni location contribuisce a intensificare il malessere e il dolore che attraversano i personaggi, amplificando le loro esperienze di solitudine e sofferenza, come racconta lo scenografo della serie Roberto De Angelis:
‘Dostoevskij’ rappresenta il mio personale “secondo atto” di un profondo legame con Damiano e Fabio. Insieme abbiamo tracciato una linea, una traiettoria stilistica ben definita, che, nonostante la complessità e la durata della lavorazione, durata circa un anno, è riuscita rapidamente a ritagliarsi uno spazio Euclideo preciso. L’individuazione delle diverse unità di luogo e la complessa struttura scenografica della serie hanno richiesto un lavoro meticoloso di scouting, che ha attraversato la Bassa Tuscia, l’Agro Pontino, le campagne e le periferie romane nei loro aspetti più estremi e crudi. Il risultato è stato un continuo (s)comporre e ricomporre ambienti, talvolta molto lontani tra loro, ma accomunati da una natura obliqua che accompagna il viaggio discensionale verso gli inferi della trama.
L’ossessione per il controllo formale, condivisa con i Fratelli, ha comportato una manipolazione costante degli spazi nella loro interezza, un’attenzione meticolosa ai dettagli, anche quelli più piccoli e apparentemente insignificanti. Un lavoro quotidiano di maquillage pittorico e strutturale per una scenografia che, insieme agli interpreti, è stata elevata a ruolo di protagonista. La matrice anticlassica e postmoderna dell’ambientazione è stata una cifra costante, alimentando un dualismo continuo tra sottrazione e costruzione.
La scarnificazione della casa di Vitello, la desertificazione che circonda la stazione di polizia, la “gabbia toracica” che inghiotte una delle vittime dopo la caduta da un piano alto, e l’iconicità del casolare dove si consuma l’atto finale: tutti questi sono frammenti di un album concepito, immaginato, disegnato e infine realizzato. Plasmare l’ambientazione di ‘Dostoevskij’, secondo la mia visione della scenografia, è stato un traguardo davvero significativo.
La scenografia, unita alla fotografia e alla regia autoriale, non ha paura di sporcarsi le mani nel marcio dell’essere umano, creando un viaggio profondamente avvolgente che rende Dostoevskij un noir intimistico di grande impatto, affascinante soprattutto per la sua dimensione umana più che investigativa. I rapporti umani, raccontati in tonalità fredde e di puro dolore, funzionano alla perfezione, così come il percorso di trasformazione di Enzo. Tuttavia, lo stesso non si può dire per l’elemento investigativo: le scoperte fatte da Enzo appaiono poco credibili. Forse mi sono perso qualche dettaglio, ma come fa Enzo a capire che l’assassino abbia vissuto in un determinato orfanotrofio? E come può essere certo che quel disegno trovato nell’orfanotrofio sia effettivamente suo? Onestamente, non sono riuscito a comprendere questo passaggio, e di conseguenza, questo momento cruciale per lo sviluppo della trama mi sembra tirato troppo via. Un vero peccato, perché per il resto la serie eccelle.
Dostoevskij è concepito come una miniserie che, pur seguendo un arco narrativo compatto e ben definito, che potrebbe essere considerata come una giusta chiusura poetica della drammaturgia, non offre una chiusura definitiva, ma piuttosto un’apertura verso nuovi possobili sviluppi, attraverso un finale volutamente ambiguo e non risolto, dove il viaggio interiore dei personaggi potrebbe essere esplorato con maggiore profondità. Le sfumature di malessere interiore e i conflitti psicologici che definiscono i protagonisti potrebbero, quindi, essere approfonditi in un’eventuale continuazione, in un’esplorazione ancora più intensa delle loro fragilità e della loro lotta contro i propri demoni. Inoltre, le implicazioni morali e psicologiche degli eventi narrati, che intrecciano azioni personali con le ricadute su altre persone, potrebbero essere sviluppate ulteriormente, rendendo il seguito ancora più complesso e affascinante.

In conclusione
Dostoevskij si rivela una miniserie profondamente immersa nell’introspezione psicologica, dove la ricerca di redenzione si intreccia con la solitudine e la sofferenza dei protagonisti. La regia e la fotografia contribuiscono a creare un’atmosfera di desolazione che amplifica il tormento interiore di Enzo, il protagonista. Sebbene l’aspetto investigativo possa risultare talvolta confuso, la forza della serie sta nella sua capacità di esplorare il lato oscuro dell’animo umano. Un finale aperto invita a riflettere sulla possibilità di un seguito che approfondisca ulteriormente i temi complessi trattati.
Note positive
- Approfondimento psicologico intenso e ben strutturato
- Ottima direzione fotografica che contribuisce alla visione complessa del malessere
- Atmosfera noir e realismo crudo che immerge lo spettatore nella tragedia dei personaggi
- Interpretazioni attoriali convincenti e ricche di sfumature
- Scelta di location che amplifica il senso di solitudine e desolazione
Note negative
- L’aspetto investigativo risulta poco credibile in alcuni passaggi chiave
Regia |
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Fotografia |
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Sceneggiatura |
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Colonna sonora e sonoro: |
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Interpretazione |
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Emozioni |
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SUMMARY
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4.0
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