Dying for Sex (2025). Liberamente basata sulla storia vera di Molly Kochan

Recensione, trama e cast della miniserie FX Dying for Sex (2025) liberamente basata sull'omonimo podcast di Molly Kochan

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Michelle Williams, Jenny Slate in Dying for Sex (2025) ©FX - Immagine concessa da Opinion Leader Ufficio Stampa
Michelle Williams, Jenny Slate in Dying for Sex (2025) ©FX – Immagine concessa da Opinion Leader Ufficio Stampa

Trailer di “Dying for Sex”

Informazioni sulla stagione e dove vederla in streaming

Alla ideatrice di “New Girl” (2011-2018) e della miniserie “The Dropout” (2022), basata sul podcast ABC News Podcast The Dropout, Liz Meriwether, si deve la nuova miniserie FX dal titolo “FX Dying for Sex”, co-creata dalla stessa Meriwether insieme a Kim Rosenstock, con cui aveva già collaborato in passato per la realizzazione di New Girl. La miniserie del 2025, di genere commedia, è liberamente ispirata alla vera storia di Molly Kochan, una donna cresciuta nell’Upper West Side di Manhattan, che fin da bambina coltivava il sogno di diventare scrittrice.

Dopo aver conseguito un master in scrittura creativa alla New School, Molly si trasferì a Los Angeles, dove conobbe l’uomo che sarebbe diventato suo marito. Insieme si stabilirono nel quartiere di Silver Lake, costruendo una vita apparentemente serena. Ma quella stabilità fu infranta quando, dopo quattro anni di matrimonio, a Molly venne diagnosticato un cancro al seno. Iniziò così un percorso lungo e doloroso: affrontò la chemioterapia, una doppia mastectomia, sedute di radioterapia e diversi interventi di ricostruzione del seno. In seguito intraprese anche una terapia ormonale, i cui effetti collaterali includevano un aumento della libido. Alla fine di quel percorso, il cancro sembrava sconfitto. Tuttavia, dopo tre anni di cure, nel 2015 arrivò la notizia che cambiò tutto: il cancro era tornato in forma metastatica, allo stadio IV. La diagnosi era definitiva e terminale.

Fu allora che Molly prese una decisione profonda e inaspettata: lasciò il marito per intraprendere un viaggio personale alla riscoperta della propria sessualità. Da questa esperienza nacque “Dying for Sex”, un podcast intimo, ironico e commovente, che Molly realizzò insieme alla sua migliore amica, Nikki Boyer. Nei vari episodi, Molly raccontava le sue avventure, i pensieri, le paure e le conquiste personali, trasformando la malattia in una spinta verso la piena espressione di sé. A questo racconto si affiancarono anche un blog e un profilo Instagram con lo stesso nome, divenuti parte integrante della sua narrazione pubblica.

Molly Kochan è morta l’8 marzo 2019, all’età di 45 anni, assistita fino all’ultimo giorno proprio da Nikki. L’anno successivo è stato pubblicato il suo memoir postumo, “Screw Cancer: Becoming Whole”, con il quale ha realizzato il suo sogno d’infanzia: scrivere un libro.

La miniserie “FX Dying for Sex”, disponibile su Disney+ con i suoi otto episodi a partire dal 4 aprile 2025, si ispira liberamente alla sua storia, rifacendosi esplicitamente al podcast “Dying for Sex by Wondery and Nikki Boyer”

Trama di “Dying for Sex”

Dopo aver ricevuto una diagnosi di cancro metastatico al seno in stadio avanzato, Molly si trova di fronte a una verità ineluttabile: le resta poco tempo da vivere. È in quel momento che, con una decisione radicale e liberatoria, sceglie di lasciare il marito e intraprendere un viaggio del tutto nuovo, alla scoperta della propria sessualità e del proprio corpo alla ricerca di quell’orgasmo sessuale mai raggiunto.

Con il sostegno incondizionato della sua migliore amica Nikki, una donna alle prese con fragilità interiori mai del tutto sanate, Molly affronta l’ultimo tratto della sua vita con una lucidità sorprendente e un’ironia disarmante. Determinata a realizzare ciò che aveva sempre rimandato, sfida pregiudizi e convenzioni, stilando una sorta di lista dei desideri che mette a nudo i suoi bisogni più autentici.

In un tempo segnato dalla fine, sceglie la libertà, l’intimità, il piacere e la verità, all’insegna del sesso e degli incontri occasionali con uomini sconosciuti, bizzarri, a volte teneri, a volte grotteschi, ma sempre rivelatori.

Recensione di “Dying for Sex”

A volte la commedia sa essere più affilata, più crudele e sincera del dramma, purché sia scritta con intelligenza, senza cedere ai facili stereotipi del genere né rifugiarsi in quella leggerezza di maniera che, in fin dei conti, serve a poco. Soprattutto quando si ha l’ambizione di lasciare un’impronta emotiva profonda, di scavare in quella densità narrativa che ogni racconto, in fondo, insegue per comunicare davvero qualcosa — un’emozione, un messaggio, un’urgenza. È proprio in questa ricerca di tridimensionalità che molte commedie falliscono, scivolando in un climax drammaturgico fatto di buonismo e leggerezza, dove quest’ultima finisce spesso per confondersi con una fastidiosa, inconsapevole superficialità.

Dying for Sex, nonostante alcune imperfezioni e qualche sbavatura drammaturgica, si impone come un esempio riuscito di come si possa scrivere una commedia capace di muoversi con intelligenza su un terreno narrativo disomogeneo, fatto di salite emotive e momenti di respiro. Qui il registro comico non cerca mai la risata facile né si rifugia nella banalità: l’umorismo è calibrato, sempre coerente con la storia e mai sopra le righe, nonostante alcune situazioni suigeneris. Gli showrunner, insieme al team di sceneggiatori, costruiscono una miniserie in otto episodi che riesce a coniugare solarità e leggerezza atmosferica con un impianto narrativo solido e tematicamente denso.

La storia, infatti, ruota attorno all’ultimo anno e mezzo di vita di Molly, una giovane donna che scopre che il proprio cancro è tornato e che, questa volta, non ci sarà cura in grado di salvarla: al massimo cinque anni, le dicono i medici. Eppure, la morte non è il fulcro della serie, quanto piuttosto il punto di partenza per un percorso di scoperta e trasformazione. Molly decide di lasciare il marito e di intraprendere un viaggio inedito dentro sé stessa e dentro la propria sessualità, fino ad allora repressa. L’impossibilità di raggiungere l’orgasmo diventa la metafora di un trauma antico, mai davvero elaborato, che riaffiora con forza proprio mentre lei prova a vivere pienamente quel tempo che le resta. Dying for Sex è una serie che affronta il dolore con ironia e il sesso con profondità, riuscendo a sfuggire sia al pietismo che alla trivialità. Una commedia, sì, ma con il coraggio di attraversare il buio.

La forza di Dying for Sex risiede soprattutto nella sua scelta coraggiosa di non piegarsi a un registro tragico. La serie evita di indugiare sulla malattia e sulla morte, trattandole come elementi importanti, certo, ma non totalizzanti. Molly non è definita unicamente dalla sua diagnosi: è un personaggio complesso, sfaccettato, dotato di una personalità che travalica la sua condizione medica. La narrazione le restituisce dignità e spessore, mostrando come la sua identità sia ancora viva, ironica, desiderosa di scoperta e libertà. Peccato, tuttavia, che l’arco legato al suo trauma sessuale non trovi una piena e compiuta espressione nel finale. Dopo essere stato affrontato con sensibilità nella parte centrale della miniserie, il tema viene lasciato quasi in sospeso nell’ultimo episodio, perdendo così l’occasione di chiudere con maggior forza emotiva uno dei nodi più intimi e profondi del personaggio. Nonostante questa mancanza, la prova attoriale di Michelle Williams, nei panni di Molly, è di assoluto livello: l’attrice riesce a restituire con grazia disarmante sia la leggerezza del sorriso che il peso della malinconia, regalando al suo personaggio una umanità sincera e vibrante.

Liberamente inspirata a fatti realmente accaduti e al podcast omonimo, Dying for Sex ha il merito di non cedere mai a un registro melodrammatico o patetico. Pur restando nei confini della commedia e abbracciando talvolta situazioni sopra le righe, la serie conserva una forte carica umana, mai stucchevole, capace di generare empatia sincera sia verso i protagonisti che verso i comprimari. In particolare, Nikki – interpretata da Jenny Slate – si rivela un personaggio altrettanto ben costruito e narrativamente significativo quanto Molly. La scena finale che la riguarda è un momento di toccante potenza emotiva: essenziale ma profondissima, riesce a trasmettere il senso del vuoto e della perdita in modo semplice e diretto.

Un ulteriore punto di forza della miniserie risiede nella maniera in cui viene affrontato il tema della morte, un argomento di per sé complesso e delicato. La scelta di non edulcorarla, evitando di presentarla in modo troppo morbido o idealizzato, consente alla narrazione di mantenere un tono realistico e rispettoso. Al contempo, la serie non cade nemmeno nell’errore di trattare la morte con una crudezza gratuita e dal sapore tragica, raccontandola sempre con un lato naturale della vita e con uh fare talvolta leggero. Questa scelta stilistica riflette un equilibrio raro da trovare in produzioni che affrontano simili tematiche.

La morte viene così presentata con una sincerità che non cerca di nascondere la sofferenza e la difficoltà del suo significato, ma lo fa con una misura che non appesantisce lo spettatore. La serie riesce a esplorare il concetto di morire senza ricorrere a toni pesanti o a una retorica che possa risultare manipolativa o melensa. Ogni scena dell’ultimo episodio che affronta il tema della morte è quindi perfettamente calibrata, evitando di scivolare in uno spettacolo di tristezza gratuita e di mantenendo una sensibilità che permette al pubblico di riflettere sulla condizione umana in modo autentico e profondo.

È proprio in questo delicato equilibrio tra leggerezza e verità che la serie trova la sua voce più autentica. La leggerezza non è da intendersi come superficialità, ma piuttosto come un modo di affrontare la morte senza l’intento di caricarla di un’emotività eccessiva, lasciando spazio invece alla riflessione, alla consapevolezza e anche, in alcuni momenti, a una forma di speranza. La verità, d’altra parte, non si traduce in un realismo brutale, ma in una rappresentazione onesta e mai forzata della condizione umana di fronte alla morte. Questo equilibrio consente alla serie di parlare in modo universale e di toccare profondamente il pubblico senza mai cadere nei cliché o nel dramma gratuito, conferendole una voce autentica che risuona in modo duraturo.

In conclusione

Dying for Sex riesce a coniugare leggerezza e profondità, evitando sia il pietismo sia la superficialità. La serie trova un equilibrio raro nel trattare temi complessi come la malattia, la sessualità e la morte con una narrazione che non indugia nel melodramma ma cerca invece di restituire autenticità ai suoi personaggi e alle loro vicende. Nonostante qualche imperfezione, è un esempio riuscito di come la commedia possa essere incisiva, emozionante e capace di lasciare un segno senza rinunciare alla sua essenza.

Note positive

  • Equilibrio tra umorismo e dramma senza cadere nei cliché
  • Scrittura intelligente e mai banale
  • Personaggi credibili e profondi, in particolare Molly e Nikki

Note negative

  • Il tema del trauma sessuale di Molly poteva essere maggiormente approfondito
  • Qualche situazione potrebbe risultare esagerata

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Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Interpretazione
Emozioni
SUMMARY
3.8
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.