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Havoc
Titolo originale: Havoc
Anno: 2025
Nazione: Stati Uniti d’America, Regno Unito
Casa di produzione: One More One Productions, Severn Screen, XYZ Films
Distribuzione italiana: Netflix
Durata: 105 minutes
Regia: Gareth Evans
Sceneggiatura: Gareth Evans
Fotografia: Matt Flannery
Montaggio: Sara Jones
Musiche: Tyler Bates
Attori: Tom Hardy (Walker), Jessie Mei Li (Ellie), Timothy Olyphant (Vincent), Forest Whitaker (Lawrence), Justin Cornwell (Charlie), Quelin Sepulveda (Mia), Luis Guzmán (Raul), Michelle Waterson, Sunny Pang (Ching), Jim Caesar (Wes), Xelia Mendes-Jones (Johnny), Yeo Yann Yann (Tsui’s Mother), Richard Harrington (Jake), Serhat Metin (Cortez), Richard Pepper, Tony Parker, Megan Lockhurst, Jon-Scott Clark
Trailer di “Havoc”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Dopo sei anni di assenza dal grande schermo, il cineasta Gareth Evans — noto per titoli come The Raid – Redenzione (2011), The Raid 2: Berandal (2014), Apostolo (2018) e la serie Gangs of London (2020) — torna dietro la macchina da presa con Havoc, un film dai toni action-noir e thriller da lui scritto e diretto.
Annunciato il 19 febbraio 2021 dallo stesso Evans, il progetto ha preso forma a partire da luglio 2021 con le riprese svoltesi a Cardiff, in Galles. Tuttavia, a causa di ritardi legati allo sciopero SAG-AFTRA del 2023, l’uscita del film ha subito uno slittamento: Havoc debutta direttamente su Netflix il 25 aprile 2025, senza una precedente distribuzione nelle sale cinematografiche.
Trama di “Havoc”
Walker (Tom Hardy) è un detective segnato nel corpo e nell’anima, portatore di cicatrici che non vogliono rimarginarsi. Ferite profonde che lo hanno allontanato dalla sua famiglia, da sua figlia, e da quel senso comune di giustizia che dovrebbe definire chi indossa un distintivo.
Walker non è più un poliziotto modello: è un uomo che si è sporcato le mani, immergendosi nei meandri più oscuri della criminalità cittadina. Un mondo che lo ha trascinato in un rapporto pericoloso e ambiguo con Lawrence (Forest Whitaker), influente politico tanto potente quanto enigmatico. Le scelte del passato, l’infiltrazione nei circuiti del crimine e il desiderio di uscirne lo hanno condotto in un vortice di autolesionismo e solitudine. Walker è un uomo spezzato, in bilico tra redenzione e rovina.
È la vigilia di Natale. Walker è di turno presso la polizia criminale, accompagnato dalla sua nuova collega, la giovane e determinata Ellie (Jessie Mei Li). Quella che dovrebbe essere una notte di relativa quiete si trasforma presto in un incubo.
Nel cuore della città, un gruppo di ragazzi è incaricato di consegnare un carico di droga alla Triade. Alla guida di un camion imbottito di stupefacenti ci sono Johnny, Wes, Mia e Charlie — quest’ultimo figlio del sindaco, Lawrence, lo stesso uomo con cui Walker ha da tempo un legame pericoloso. Charlie ha accettato di aiutare Mia, la sua ragazza, a saldare un debito con la mafia cinese.
Ma durante la consegna, qualcosa va storto: scoppia un inseguimento tra il camion e la polizia. Nel caos, un detective amico intimo di Walker viene gravemente ferito, insieme ad altri tre agenti, tra cui Vincent (Timothy Olyphant). I ragazzi riescono a fuggire e a consegnare la merce a un boss della Triade.
Proprio quando tutto sembra essersi risolto, accade l’impensabile: tre uomini mascherati da giocatori di hockey irrompono nel locale, compiono una carneficina e uccidono tutti i presenti. Solo due riescono a scappare dalla strage: Charlie e Mia.
Da quel momento, Walker riceve un incarico diretto da Lawrence: trovare e proteggere suo figlio Charlie, costi quel che costi. Ma nel farlo, il detective si ritrova nel mezzo di un gioco mortale.
Da un lato, una feroce organizzazione criminale brama vendetta per la strage avvenuta. Dall’altro, i suoi stessi colleghi, consumati dalla rabbia per il ferimento di un amico, sono pronti a tutto pur di ottenere giustizia — anche a calpestare ogni protocollo, anche a usare Charlie come capro espiatorio.
Nel disperato tentativo di salvare il ragazzo, Walker sprofonda in una spirale di violenza, cospirazioni e corruzione che mette a nudo i lati più oscuri della città… e di se stesso. Costretto a confrontarsi con i fantasmi del passato, Walker scoprirà che proteggere Charlie potrebbe significare, per la prima volta dopo anni, salvare anche sé stesso.
Recensione di “Havoc”
Non possiamo definire Havoc una pellicola originale dal punto di vista narrativo: bastano pochi minuti per comprendere come il film attinga a piene mani da numerosi cliché del genere poliziesco, a partire dalla caratterizzazione bidimensionale del protagonista. Walker non è che l’ennesima variante, appena ritoccata, di quella lunga schiera di detective che abbiamo già incontrato, e consumato, tanto nella letteratura quanto nel cinema. È uno di quegli uomini annientati da scelte sbagliate, da un lavoro che li consuma fino a lasciare un vuoto esistenziale; uomini in cui il male della società, incarnato da un mondo criminale dilagante, penetra nel cuore e ne confonde i confini etici, mescolando la figura del poliziotto con quella del criminale. Anche il più integerrimo detective, per sopravvivere e destreggiarsi in quel mondo, finisce per sporcarsi le mani — fino a diventare, a sua volta, un criminale.
Walker, come pure i suoi colleghi, non è altro che l’incarnazione di questo archetipo: un classico cliché del genere. Nei poliziotti maschili raccontati in Havoc ritroviamo chiaramente gli atteggiamenti di Vic Mackey e Shane Vendrell di The Shield, fino ad arrivare al protagonista de Il cattivo tenente (1992), uno dei tanti capolavori firmati da Abel Ferrara. Walker, purtroppo, né per caratterizzazione né per scrittura risulta un personaggio realmente originale. Ma ciò che colpisce maggiormente è come non riesca a risultare nemmeno interessante, vittima com’è di una costruzione minimale, quasi assente, che si limita a evocare il suo conflitto interiore tra bene e male, tra giusto e sbagliato — un conflitto che, però, non viene mai raccontato con reale spessore drammaturgico. Uno spessore che, ahimè, non manca soltanto nel personaggio di Walker, ma in tutti quelli messi in scena, raccontati con un eccesso di superficialità che finisce per rendere tanto il mondo criminale quanto quello politico e lo stesso corpo di polizia un insieme di figure alquanto bidimensionali. Questi personaggi risultano privi di qualsiasi elemento di stratificazione interiore o concettuale, privando così il film di ogni possibile forma di empatia. Un’empatia che lo spettatore non riesce mai davvero a provare, nonostante le discrete performance del cast, a cominciare da Tom Hardy che, pur senza brillare, riesce comunque a restituire con efficacia lo stato d’animo del suo personaggio: un uomo che ha perduto tutto e che ora si ritrova all’inferno.
“Havoc”, tuttavia, non è un film da scartare, anzi, rappresenta piuttosto un’occasione mancata. Nonostante le evidenti pecche nella scrittura dei personaggi e in alcune situazioni, il mondo narrativo in cui ci immergiamo presenta un lato potenzialmente interessante, capace di catturare l’attenzione dello spettatore. Ci ritroviamo catapultati in una società dai toni realistici, marci e decadenti, dove la criminalità dilaga in ogni angolo, un po’ come nella Gotham di Batman, oserei dire. Lo spettatore riesce a entrare in questo contesto non tanto grazie alla scrittura, quanto piuttosto alla resa visiva e stilistica del film, che si distingue per sequenze dal forte impatto realistico, sporche e granulose, magnificamente realizzate grazie a un lavoro di costruzione scenografica e alla maestria registica e fotografica di Gareth Evans, sempre abile nel muoversi tra i registri stilistici legati all’action.
Se la pellicola è permeata da una forte componente hard-boiled, con toni taglienti e personaggi cinici intrappolati in un contesto che richiama il neo-noir, il vero valore del film risiede nella straordinaria abilità del regista nel dirigere le scene d’azione. Il lavoro di Evans si distingue per una gestione dinamica della macchina da presa, che, costantemente a mano, non solo cattura l’intensità del momento, ma amplifica anche la sensazione di coinvolgimento dello spettatore. Questa scelta stilistica conferisce un senso di immediatezza e di urgenza, che rende le sequenze più palpabili e immerse nella narrazione. La sua regia non si limita a seguire l’azione, ma la rende parte integrante dell’emozione che il film vuole trasmettere.
La prima scena d’azione, l’inseguimento del camion, è senza dubbio uno degli episodi più memorabili sotto il profilo registico. Si tratta di un’istantanea di tensione crescente, costruita magistralmente attraverso il montaggio e l’uso sapiente della camera a mano. La prospettiva instabile e il movimento incessante della macchina da presa non solo pongono lo spettatore nel cuore dell’azione, ma riflettono anche l’incertezza e la pericolosità della situazione. Ogni angolo della scena sembra essere filmato come se fossimo dentro la corsa stessa, con la macchina da presa che si muove freneticamente insieme ai personaggi, quasi come un altro partecipante alla caccia.
Questa sequenza, per la sua tensione implacabile e per la gestione impeccabile dello spazio e del tempo, andrebbe studiata nei corsi di cinema come esempio di come una scena adrenalinica debba essere girata. Non si tratta solo di rapidi montaggi o di trucchi cinematografici, ma di un vero e proprio esercizio di controllo emotivo e visivo. Il regista riesce a costruire la suspense attraverso il ritmo, senza mai sacrificare la coerenza della storia o la fluidità della narrazione.
Grazie a questa capacità di mantenere il ritmo ad alta intensità, il film riesce a restare avvincente dall’inizio alla fine, mantenendo sempre alta l’attenzione dello spettatore. Anche quando la sceneggiatura presenta delle lacune, la forza della regia riesce a mascherarle, consentendo al pubblico di rimanere agganciato alla trama. Il film non perde mai il suo mordente, nonostante le imperfezioni, grazie a un montaggio serrato e a una costruzione delle sequenze che non permette momenti di stallo o di noia.
In conclusione
Havoc è un film che oscilla tra occasione mancata e ottimo esercizio di stile. La regia di Gareth Evans e il realismo delle sequenze action offrono una visione avvincente, seppur indebolita da una sceneggiatura poco profonda e da personaggi bidimensionali.
Note positive
- Realizzazione visiva e stilistica di forte impatto
- Regia dinamica e coinvolgente di Gareth Evans
- Sequenze d’azione memorabili, in particolare l’inseguimento del camion
Note negative
- Personaggi poco stratificati e archetipici
- Sceneggiatura debole e priva di spessore
- Mancanza di empatia verso il protagonista e il contesto narrativo
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Regia |
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Fotografia |
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Sceneggiatura |
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Colonna sonora e sonoro |
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Interpretazione |
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Emozione |
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3.6
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