“I Pugni in Tasca”: l’esordio di Bellocchio contro il perbenismo borghese

Condividi su
I pugni in tasca

I pugni in tasca

Anno: 1965

Paese di produzione: Italia

Genere: drammatico

Durata: 105 minuti

Produzione: Doria Cinematografica

Distribuzione: International Film Company

Regista: Marco Bellocchio

Sceneggiatura: Marco Bellocchio

Montaggio: Aurelio Mangiarotti

Fotografia: Alberto Marrama

Attori: Lou Castel, Paola Pitagora, Marino Masé, Liliana Gerace, Pier Luigi Troglio

Trailer del film I pugni in tasca

Trama de “I pugni in tasca”

In una grande abitazione nell’Appennino Piacentino convivono, fra animate discussioni e disagi psichici, quattro fratelli e la loro cieca madre (Liliana Gerace): Augusto (Marino Masé), il maggiore che desidera trasferirsi in città per sposarsi; Alessandro (Lou Castel), giovane che nutre controverse fantasie di amore e di morte; Giulia (Paola Pitagora), ossessionata dal controllo delle vite di Augusto e di Alessandro; Leone (Pier Luigi Troglio), affetto da epilessia e mentalmente menomato. Nell’atmosfera claustrofobica della grande abitazione immersa nella natura, Alessandro nutre il desiderio di essere sterminare la famiglia affinché Augusto, il fratello maggiore, possa vivere la propria indipendenza ed essere grato ad Alessandro, progressivamente sempre più preda alle sue manie psicotiche.

Recensione del film “I pugni in tasca”

Una pesante contestazione al perbenismo, ai segreti familiari, al desiderio di reprimere istinti e malattie mentali: con I pugni in tasca, Marco Bellocchio fa il suo ingresso nella cinematografia italiana dirigendo un film che nutre già quelle che saranno le basi per il movimento di contestazione sessantottino. Un lungometraggio ribelle che all’uscita circolò mediante una distribuzione indipendente e attraverso il supporto di alcuni membri della famiglia Bellocchio. Il titolo originale, Epilessia, poco avrebbe restituito quello che è il sentimento intrinseco alla pellicola, ossia, la costante volontà di potenza dei personaggi di volersi sopraffare a vicenda; desiderio che, tuttavia, non deve essere mostrato, e nascosto come i pugni nelle tasche.

Girato fra Bobbio e Piacenza, I pugni in tasca è un’opera che mette in scena la degradazione di una famiglia della borghesia rurale a causa di veri e propri “difetti” psicofisici che affliggono ogni membro. Il fratello Augusto, nonostante appaia il risultato perfetto dell’uomo medio italiano, in vista del matrimonio con la fidanzata Lucia, abitualmente frequenta, tuttavia, una prostituta, scindendo già prima delle nozze il sacro vincolo del matrimonio. La sorella Giulia, oltre a nutrire un’ossessione verso Augusto che la spinge a scrivere lettere anonime alla fidanzata affinché il fratello non la sposi e rimanga nella casa famigliare, nutre un rapporto controverso con Alessandro, prima colmo d’astio, poi volto a divenire sua complice, sino a rasentare l’ambiguità sessuale. Questi, assalito da attacchi schizofrenico-maniacali, si ritrova a doversi confrontare con l’egocentrismo di Augusto e le controverse angherie della sorella. Il fratello minore, Leone, è affetto sia da un ritardo mentale che dall’epilessia, mentre l’anziana madre non-vedente vive in un’oscurità che le impedisce di comprendere la degradazione morale entro cui ristagnano i figli. Questa condizione di cecità consente al figlio Alessandro di potersi abbandonare completamente alle sue turbe mentali davanti alla donna, in un silenzioso grido ribelle. Ed è esattamente tale desiderio di trasgredire a tali norme familiari che rende l’esordio cinematografico di Bellocchio un film intessuto dello stesso spirito che animerà le contestazioni giovanili del Sessantotto.

Brillante è l’interpretazione di Lou Castel, il quale riesce a trasmettere al personaggio dello schizofrenico Alessandro una dolcezza dovuta al viso dai lineamenti fanciulleschi in disarmonia con i suoi turbamenti mentali che, sovente, si esplicitano crisi isteriche e movimenti rapidissimi e involontari. Alessandro rappresenta l’elemento cardine della pellicola, colui che riesce a smuovere l’immobilità in cui ristagna la famiglia e che causa la ribellione violentissima del ragazzo.

Marco Bellocchio realizza un’opera prima anomala, nella storia della cinematografia nostrana degli anni Sessanta, ancora ancorata al neorealismo e alle commedie all’italiana; fondamentali sono, in tal senso, la scelta del bianco e nero e la fotografia espressionista connotata da forti contrasti fra luci e ombre, espediente che consente di trasmettere con grande vigore l’instabilità mentale dei personaggi e l’ambiente claustrofobico della casa.

Note positive

  • L’interpretazione sopra le righe di Lou Castel
  • La fotografia dai marcati contrasti chiaroscurali
  • La trattazione del tema della malattia mentale nel contesto perbenista dell’Italia degli anni Sessanta

Note negative

  • L’assenza di un’approfondita analisi del personaggio di Leone, indubbiamente posto in secondo piano rispetto ai fratelli
  • Una colonna sonora dai timbri sin troppo sottili
  • Alcuni momenti, come la scena nella sala da ballo, vengono percepiti come episodici, perciò slegati dalla trama
Condividi su

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.