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Il quadro rubato
Titolo originale: Auction – Le tableau volé
Anno: 2023
Nazione: Francia
Genere: Drammatico
Casa di produzione: SBS Productions
Distribuzione italiana: Satine Film
Durata: 91 minuti
Regia: Pascal Bonitzer
Sceneggiatura: Pascal Bonitzer
Fotografia: Pierre Milon
Montaggio: Monica Coleman
Musiche: Alexeï Aiguï
Attori: Alex Lutz, Léa Drucker, Nora Hamzawi, Louise Chevillotte, Arcadi Radeff, Laurence Côte, Olivier Rabourdin, Alain Chamfort
Trailer di “Il quadro rubato”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Presentato in anteprima internazionale nel gennaio 2024 durante il Rendez-vous d’Unifrance à Paris, Il quadro rubato—nona pellicola del cineasta francese Pascal Bonitzer—arriva nei cinema italiani il 9 maggio 2025, distribuito da Satine Film. Il lungometraggio francese vede nel cast Alex Lutz (Guy, 2018; Sconosciuti per una notte, 2023), Léa Drucker (Close, 2022; L’affido – Una storia di violenza, 2017) e Louise Chevillotte (Benedetta, 2021; Synonymes, 2019; La scelta di Anne – L’événement, 2021).
Liberamente ispirato a un evento realmente accaduto, il film racconta il ritrovamento del quadro I Girasoli del pittore austriaco ed ebreo Egon Schiele, realizzato nel 1914, agli albori della Prima guerra mondiale. L’opera, chiaramente influenzata dai Girasoli di Vincent Van Gogh—che Schiele aveva avuto modo di vedere nel 1906—riflette un’interpretazione più cupa e malinconica. Se il dipinto di Van Gogh celebra, con tinte accese, l’arrivo di Gauguin ad Arles nel 1889, quello di Schiele mostra girasoli appassiti, simbolo di una speranza morente, segnata dall’avanzare della guerra e dalla devastazione.
Il film, però, non si concentra sulla realizzazione del quadro, bensì sulla sua incredibile riscoperta. Dopo essere scomparso durante la Seconda guerra mondiale, I Girasoli riemergono nel 2003 nell’abitazione di un giovane operaio chimico nei sobborghi di Mulhouse, che aveva acquistato la casa con tutto il suo arredamento. Resosi conto del valore inestimabile del dipinto, il ragazzo si rivolse a uno studio di avvocati, i quali coinvolsero un gruppo di esperti d’arte. Grazie a questo lavoro, l’opera viene riportata alla luce e sottratta all’oblio.
Il film è infatti, come spesso si dice, “basato su una storia vera”: la scoperta, all’inizio degli anni 2000, di un dipinto di Egon Schiele nella casa di un giovane operaio chimico alla periferia di Mulhouse da parte di uno specialista di arte moderna di una grande casa d’aste internazionale. Si scoprì che il dipinto era stato saccheggiato dai nazisti. Era stato conservato in una stanza riscaldata da una stufa a carbone per settant’anni, quindi era molto sporco quando è stato ritrovato.
Cit. Pascal Bonitzer
Dopo una sparizione durata sei decenni, il quadro viene venduto nel 2005 per 11,7 milioni di sterline (circa 17,2 milioni di euro). Colui che ne aveva casualmente scoperto l’esistenza nella casa acquistata in vitalizio ricevette generosamente il 10% della somma, pur non essendo legalmente obbligato a ottenere alcuna quota secondo la legislazione sulla restituzione delle opere d’arte sottratte durante il Terzo Reich. In Francia, è ancora attivo il servizio del Ministero della Cultura, la Missione di ricerca e restituzione dei beni culturali spoliati tra il 1933 e il 1945, incaricata di restituire ai legittimi eredi le opere trafugate.
Trama di “Il quadro rubato”
André Masson, celebre banditore della prestigiosa casa d’aste Scottie’s, riceve una lettera enigmatica: un dipinto attribuito a Egon Schiele è stato rinvenuto a Mulhouse, nella dimora di un giovane operaio. Inizialmente incredulo, poiché è da molti anni che non vengono più rinvenute opere vere di Egon Schiele, decide comunque, per scrupolo, di verificare di persona la veridicità di questo dipinto. Alla visione del quadro, situato in una piccola casa nei sobborghi dell’est della Francia, si rende conto che ciò che sembrava un’illusione si trasforma in una rivelazione straordinaria: l’opera è autentica, ed è “I Girasoli”, dipinto dato per disperso dal 1939, facente parte del gruppo di capolavori trafugati dai nazisti e andati dispersi.
Questa scoperta potrebbe rappresentare il momento culminante sia per il giovane possessore dell’opera sia per la sua carriera di venditore d’asta, ma ben presto emergono delle incertezze e delle pressioni. Con il supporto della sua collega ed ex moglie Bettina e con l’aiuto della stravagante e problematica stagista Aurore, Andrè si troverà ad affrontare una difficile situazione non solo nel tentare di restituire all’opera il prestigio che merita, ma anche per riscoprire il significato della propria esistenza.
Recensione di “Il quadro rubato”
“Il quadro rubato” non è una pellicola immediata o didascalica. Al contrario, possiede una sua complessità drammaturgica, che si sprigiona attraverso un uso attento e sapiente del linguaggio e della grammatica cinematografica. La narrazione si sviluppa su due livelli—visivo e registico da un lato, e sceneggiatura dall’altro—con un impiego intelligente degli elementi cinematografici che conferiscono intensità, profondità e autenticità a una storia che, solo in apparenza, si presenta semplice e lineare.
Il quadro rubato, però, non è tanto—o non è esclusivamente—un film incentrato sulla descrizione, cinica e spietata, del mondo del mercato dell’arte, popolato da banditori d’asta e galleristi. È, piuttosto, un’analisi dell’animo umano. Non è un caso, dunque, che la pellicola abbia una narrazione corale, ponendo al centro della vicenda non un solo protagonista, ma un gruppo di personaggi, ciascuno con la propria storia, le proprie fragilità e debolezze interiori. Questi aspetti vengono esplorati attraverso un alternarsi di prospettive e scene impregnate di quotidianità e realismo, dando vita a un’indagine intima dell’animo umano.
L’interesse del film, infatti, non è tanto quello di ricostruire le cause dei traumi dei personaggi, né l’origine delle loro ossessioni e manie, quanto di osservare le loro emozioni e i loro comportamenti in determinate circostanze. Il regista sceglie di scrutarli con uno sguardo mai giudicante, raccontando il loro vissuto attraverso l’esperienza legata al ritrovamento del quadro “I Girasoli” di Egon Schiele—un espediente narrativo che permette di sviluppare una narrazione stratificata.
Attraverso il quadro e il suo ritrovamento, il film si concentra su tre personaggi principali: André, legato al mondo cinico del mercato dell’arte; Aurore, la stagista bugiarda, in lotta con il proprio passato familiare; e Martin, il giovane operaio francese timido e impacciato, che scopre di essere in possesso di un dipinto perduto dal valore di dodici miliardi. Accanto a loro, in ruoli più secondari, troviamo anche Bertina, ex moglie di André, e l’avvocatessa Maitre Egerman, personaggi interessanti ma meno approfonditi.
Nel tentativo di raccontare la fragilità e la quotidianità di questi tre protagonisti, il cineasta costruisce una sceneggiatura che cambia costantemente punto di vista, passando da un personaggio all’altro. Questo espediente funziona molto bene nella prima parte del film, dove le vite di André, Aurore e Martin vengono presentate in modo coinvolgente, intrecciandosi efficacemente all’interno della drammaturgia.
Ci sono diversi conflitti tra i personaggi della storia. Alla fine, avevamo bisogno che le cose si calmassero. La struttura del film è piuttosto insolita per me: Cambio spesso i punti di vista e i protagonisti; le sequenze si alternano, seguono un personaggio, ne perdono un altro per poi ritornarci, in un equilibrio sempre precario. Mi è piaciuto particolarmente questo gioco di trame, tra personaggi principali e secondari, che ha qualcosa di leggermente musicale.
Cit. Pascal Bonitzer
Nella seconda metà della pellicola, però, André prende il sopravvento sugli altri, diventando il protagonista principale. La narrazione si concentra interamente su di lui, eliminando quasi del tutto Aurore dalla scena. Questo rende il suo percorso—così affascinante nel primo atto—drammaturgicamente incompleto. Nonostante il finale mostri Aurore profondamente cambiata rispetto all’inizio del film, senza un vero e proprio motivo apparente e senza un effettivo scontro vero e proprio con la sua figura paterna, la sua assenza nel secondo atto lascia la sensazione che il cineasta non sia riuscito a sviluppare pienamente questo personaggio. Il suo dramma personale e il suo lato bugiardo, espresso attraverso continue menzogne—spesso inutili—rimane in parte inesplorato.
Aurore mente sempre e non sappiamo perché. Nemmeno io so perché. Alcune persone sono così. Possono fare un po’ di paura, a meno che non vengano scoperte in una bugia, cosa che alla fine accade ad Aurore (curandola nel frattempo)
Cit. Pascal Bonitzer
Inversamente, Martin, un ragazzo semplice che vive con sua madre e frequenta i suoi due storici amici, è raccontato con costanza nel lungometraggio. La sua presenza in scena è equilibrata, alternandosi in modo naturale, a differenza di Aurore, il cui ruolo dominante all’inizio della pellicola va via via sfumando. Il racconto di Martin, così, si rivela solido e coinvolgente, con una narrazione che ci concentra esclusivamente sulla sua interiorità e sulla sua umanità. Attraverso una drammaturgia attenta, il film restituisce la sua normalità: un uomo timido, lontano dai riflettori, che teme il successo più di quanto lo desideri. La sua paura nasce dalla consapevolezza che il denaro potrebbe sconvolgerlo, alterando una quotidianità alla quale è profondamente legato e che vuole preservare a tutti i costi. Un personaggio che va in controtendenza a quello di Andrè, alla ricerca del successo a tutti i costi.
È il personaggio che mi commuove di più e credo che sia il vero eroe della storia. Martin è un personaggio toccante e misterioso allo stesso tempo. Sente inconsciamente che il denaro potrebbe rovinare la sua vita, cambiarla in peggio, come quelle persone che vincono alla lotteria e finiscono distrutte. Non rifiuta la generosa donazione degli eredi Wahlberg, ma si rifiuta di lasciare che il denaro stravolga la sua vita, o che gli faccia tradire i suoi amici o la sua classe.
Cit. Pascal Bonitzer
Per certi versi, André si configura come il vero protagonista della pellicola, oltre a essere il personaggio che ci permette di scrutare il cinismo insito nel mondo del mercato dell’arte. In questo ambiente, i suoi lavoratori non sono tanto interessati all’emozione che un dipinto può suscitare, quanto al suo valore economico. Quando André e la sua ex moglie osservano il quadro, non restano esterrefatti dalla sua bellezza, ma esclusivamente dal suo incredibile valore monetario, concentrando la loro attenzione sul profitto che l’opera potrebbe garantire. A differenza di loro, Aurore guarda il dipinto con passione, riconoscendovi un capolavoro. Per André, invece, la bellezza emotiva dell’arte passa in secondo piano: ciò che lo interessa è l’elemento materiale ed economico, solo questo ha volore per lui.
C’è sempre qualcosa di cinico e disgustoso nel mondo del denaro, è così e basta. E per quanto riguarda un’opera d’arte, ho trovato divertente dimostrare che le persone si preoccupano solo di quanto denaro farà il quadro. André Masson (omonimo del pittore) è in grado di apprezzare la bellezza di un’opera di Egon Schiele, ma ciò che gli interessa di più è il suo valore monetario e di mercato, e ciò che la sua azienda (Scottie’s) ne ricaverà in termini di benefici e di gloria, in questo ambiente ferocemente competitivo tra aziende rivali.
André Masson è un uomo intrappolato nella sua stessa illusione di successo. La sua esistenza ruota attorno al valore degli oggetti che possiede, agli abiti impeccabili, agli orologi di lusso, tutti elementi che costruiscono una facciata di prestigio dietro cui nasconde la sua solitudine e insoddisfazione. La sua ricerca è ossessiva: attraverso il possesso di beni materiali, tenta di confermare il suo status, di guadagnarsi rispetto e ammirazione. Ma questa maschera, così meticolosamente costruita, non è altro che un rifugio fragile, destinato a incrinarsi sotto la pressione degli eventi.
Nel corso della vicenda, André si troverà di fronte alla più grande minaccia per il suo equilibrio apparente: il rischio del fallimento. Il ritrovamento del dipinto rappresenta per lui un’occasione irripetibile, la possibilità di un trionfo professionale che potrebbe coronare la sua carriera. Tuttavia, i problemi sulla provenienza dell’opera, le pressioni esterne e le implicazioni morali mettono in crisi le sue convinzioni. La sua fiducia nel potere del denaro e dello status vacilla, e inizia un lento, doloroso processo di disillusione.
Quando la sua maschera crolla, André si confronta con una realtà che aveva evitato per troppo tempo: la sua solitudine, il vuoto affettivo che nemmeno il prestigio ha saputo colmare. Bertina, la sua ex moglie, e Aurore, la stravagante stagista, diventano figure chiave in questa trasformazione. Sono loro a ricordargli che la vera ricchezza non risiede nei beni materiali, ma nelle relazioni, nella fiducia, nell’amore autentico.
La sua lotta per restituire al dipinto il posto che merita e per aiutare Martin a livello economico, si intreccia con la sua battaglia interiore: riconciliarsi con sé stesso, riscoprire un senso di appartenenza e trovare un significato che vada oltre la mera apparenza. André non cerca più una rivalsa sociale, ma una verità personale, un riscatto che gli permetta finalmente di vivere, e non solo di esistere.
In conclusione
Il quadro rubato è un’opera che esplora il cinismo del mercato dell’arte e la fragilità umana attraverso una narrazione stratificata e corale. Pascal Bonitzer costruisce un racconto che non giudica i suoi personaggi, ma li osserva nelle loro contraddizioni, offrendo un film ricco di sfumature e spunti di riflessione, seppur imperfetto.
Note positive
- Regia attenta e sofisticata
- Approfondimento realistico del mercato dell’arte
- La sceneggiatura riferita al personaggio di Martin e di Andrè
Note negative
- Narrazione che perde equilibrio nella seconda metà
- Personaggi secondari poco sviluppati rispetto alla premessa iniziale
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3.8
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