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La bella addormentata nel bosco
Titolo originale: Sleeping Beauty
Anno: 1959
Nazione: Stati Uniti d’America
Genere: Animazione, fantastico, musicale, sentimentale
Casa di produzione: Walt Disney Productions
Distribuzione italiana: Rome International Films
Durata: 75 minuti
Regia: Clyde Geronimi
Sceneggiatura: Erdman Penner, Joe Rinaldi, Winston Hibler, Bill Peet, Ted Sears, Ralph Wright, Milt Banta
Montaggio: Roy M. Brewer Jr., Donald Halliday
Musiche: George Bruns
Doppiatori originali: Mary Costa, Bill Shirley, Eleanor Audley, Verna Felton
Doppiatori italiani: Maria Pia Di Meo, Tina Centi, Sergio Tedesco, Tina Lattanzi, Lydia Simoneschi, Flaminia Jandolo, Rina Morelli, Bruno Persa, Giorgio Capecchi
Trailer di “La bella addormentata nel bosco”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Film d’animazione del 1959, sedicesimo classico Disney, “La bella addormentata nel bosco” è liberamente basato sulla fiaba tradizionale europea “La Belle au bois dormant”, celebre in Germania con il titolo di Rosaspina. La fiaba, che si ritiene scritta dall’italiano Giambattista Basile, è conosciuta al grande pubblico nella versione francese del 1697 di Charles Perrault presente ne “I racconti di Mamma Oca” e in quella tedesca del 1812 dei fratelli Grimm, pubblicata all’interno de “Le fiabe del focolare”. Supervisore alla regia del film del 1959 è Clyde Geronimi, che aveva già diretto numerose pellicole disneyane di fama, tra cui “I tre caballeros” (1944), “Cenerentola” (1950), “Alice nel Paese delle Meraviglie” (1951), “Le avventure di Peter Pan” (1953) e “Lilli e il vagabondo” (1955), terminando la sua carriera alla regia nel 1961 con “La carica dei cento e uno”. Accanto al regista abbiamo anche Eric Larson, Wolfgang Reitherman (La spada nella roccia, 1963; Il libro della giungla, 1967) e Les Clark che si sono occupati di alcune sequenze narrative presenti nel film nel ruolo di regia.
Il sedicesimo classico Disney debuttò in America al Fox Wilshire Theater di Los Angeles, il 29 gennaio 1959, venendo distribuito insieme al documentario “Grand Canyon” (1958), mentre in Italia il film venne proiettato nei cinema dal 21 dicembre 1959. La pellicola, che risultava come il film più costoso all’epoca, con un budget di sei milioni di dollari, negli Stati Uniti venne proiettata nelle sale in cui fosse disponibile la riproduzione del film nel grande formato Super Technirama 70 con audio stereofonico a sei tracce. Nonostante l’uso di tecnologie innovative per l’epoca e i numerosi sforzi economici produttivi, la pellicola fu un vero e proprio fiasco al botteghino, tanto che la Buena Vista Distribution, divisione della distribuzione della Disney, perse ben 900.000 dollari. Le perdite dovute alla pellicola fecero registrare, nell’annata 1959-60, la prima perdita annuale in un decennio per Buena Vista Distribution, una perdita che costrinse lo studio di Topolino a effettuare tagli netti al personale, licenziando molti degli animatori del dipartimento d’animazione.
Trama di “La bella addormentata nel bosco”
XIV secolo in Francia. Re Stefano e la sua consorte, la Regina Leah, per molto tempo non sono riusciti a dare al regno un erede, fino a quando la Regina non dà alla luce una bambina, che viene chiamata Aurora. Per celebrare la lieta nascita, i monarchi proclamano un giorno di festa nazionale, dove i sudditi del regno devono recarsi al castello per rendere omaggio alla loro futura sovrana. Durante i festeggiamenti si reca anche il giovanissimo Principe Filippo, figlio del re Uberto, che nelle intenzioni di Re Stefano e Re Uberto dovrà sposare, un giorno, la principessa Aurora, al fine di unire i loro due regni. Oltre a Filippo, tra i numerosi ospiti, sono presenti anche le tre fate: Flora, Fauna e Serena, che intendono donare alla bambina tre doni importanti. Flora dona alla bimba la bellezza, mentre Fauna il bel canto. Serena invece si trova a dover donare alla piccola un dono ancor più importante, poiché prima che potesse farlo, sopraggiunge al palazzo la tenebrosa Strega Malefica, che per vendicarsi di non essere stata invitata, lancia una terribile maledizione sulla vita di Aurora: al tramonto del suo sedicesimo compleanno, Aurora si pungerà il dito con il fuso di un arcolaio, perdendo così la propria vita. Dopo questa maledizione oscura Malefica svanisce nel nulla, ma il dono di Serena può rendere meno nefasta la maledizione. Difatti Serena modifica la maledizione: Aurora non morirà ma cadrà in un profondo sonno, dal quale potrà essere risvegliata solo dal bacio del vero amore. Se però questo evento non accadrà entro cent’anni, Aurora morirà.
Le tre fatine, per scongiurare la maledizione di Malefica, decidono di adottare un piano alquanto radicale. Abbandonando l’uso della magia, Flora, Fauna e Serena decidono di crescere la principessa Aurora all’interno di una casetta nel bosco, facendole credere di essere una semplice contadina, almeno fino a quando Aurora non avrà sedici anni e la maledizione sarà spezzata. Così, dopo l’approvazione reale, le tre fate fuggono via, abbracciando per sedici anni una vita solitaria nel bosco. Aurora, ora chiamata Rosaspina, cresce in solitudine vivendo a contatto con la natura. Tutto però cambia quando, proprio il giorno del suo sedicesimo compleanno, incontra casualmente un misterioso fanciullo di cui s’innamora perdutamente. Nel frattempo le tre fatine commettono un errore fatale: usare nuovamente la magia. Sarà proprio questo errore a permettere a Malefica di scoprire la nuova identità della fanciulla, riuscendo, all’ultimo istante, a portare a termine il proprio piano malefico. Saranno le tre fatine e l’amato della ragazza a dover salvare la vita di Aurora.
Recensione di “La bella addormentata nel bosco”
La Disney si rifà a una storia incentrata su una principessa e connessa al mondo fiabesco, richiamando i suoi precedenti lavori cinematografici come “Biancaneve e i sette nani” e “Cenerentola”. “La bella addormentata nel bosco” si rifà espressamente a questi film in alcuni passaggi narrativi, soprattutto connessi al primo classico Disney, riprendendo l’ambientazione boschiva, la presenza di una strega e il canto tra la principessa e gli animali del bosco. Ciò che però manca a questa pellicola è il lato introspettivo riferito alla figura femminile del lungometraggio, che ha veramente poco spazio narrativo: appena diciotto minuti sullo schermo nella sua veste di sedicenne, un lasso temporale alquanto minimale che impedisce alla sceneggiatura di approfondire e dare tridimensionalità alla figura di Aurora. Aurora risulta essere la principessa Disney, oltre che come personaggio femminile protagonista, meno interessante realizzato dalla casa cinematografica di Topolino. Biancaneve, Cenerentola, Alice, Wendy Darling e perfino Lilli sono caratteri femminili di maggior sostanza, di maggior spessore drammaturgico, personaggi con un loro determinato carattere e ambizioni, come possiamo notare in Wendy, un personaggio che nel 2024 definiremmo femminista. Aurora/Rosaspina ci viene presentata come una giovane sedicenne ingenua, una ragazza che si sente solitaria e che è alla ricerca del vero amore, un amore che vive solo nei suoi sogni, come la ragazza ci racconta attraverso il suo canto romantico rivolto agli animali del bosco, attraverso le parole del brano “Io lo so”, conosciuto anche con il titolo “So chi sei”. In questa scena abbiamo la presentazione e unico approfondimento vero e proprio del personaggio, che attraverso questo canto racconta le sue emozioni. Per il resto, il personaggio di Aurora avrà un paio di battute e poco altro, venendo trattata solo attraverso il lato più marcatamente romantico e sentimentale. Un po’ poco per questa principessa Disney, che, nonostante si erga a protagonista della vicenda, non ha nessun potere riguardo a ciò che avviene sullo schermo. Lei non fa nulla d’interessante quando scopre la verità sul suo conto, non lotta minimamente per la sua salvezza, ma rimane espressamente vittima degli eventi, ritrovandosi a dover essere salvata dal bacio del primo amore, proprio come avviene a Biancaneve, figura femminile che però ha un suo background interessante e un maggior approfondimento, grazie alla sua relazione dolce e benevola nei confronti dei simpatici sette nani. Il film del 1959 invece erge Aurora a protagonista, le dona pochi istanti in scena e la trasforma come figura da salvare.
Se seguiamo la struttura narrativa di una favola impostata drammaturgicamente come quella de “La bella addormentata nel bosco”, la Disney avrebbe dovuto adottare un approccio drasticamente diverso: rendere protagonista l’eroe, ovvero il principe Filippo, colui che ha il ruolo di salvare la protagonista sfidando il nemico della storia, Malefica. Filippo ha più minuti sullo schermo, risultando quasi il protagonista nella seconda metà della pellicola, dove però non proferisce nemmeno una parola e si trova a lottare contro la Strega cattiva aiutato dalle tre fatine. Il problema di fondo è che anche Filippo soffre degli stessi problemi di Aurora, risultando un principe non interessante, non sviluppato emotivamente e privo di ogni componente affascinante, risultando uno dei personaggi meno interessanti realizzati dalla Disney. Filippo si innamora, viene fatto prigioniero da Malefica, viene salvato dalle fatine, e si ritrova a lottare contro Malefica, che sconfigge solo grazie all’aiuto magico delle fatine, non per le sue abilità di lottatore. Insomma, con Filippo si poteva e si doveva fare di più, cosa che invece accade con le tre fatine, personaggi simpatici e comici che riescono a rendere la pellicola piacevole e scorrevole, assumendo, in certi punti, il ruolo di eroine della vicenda. Le tre fatine, insieme a Malefica, sono indubbiamente i personaggi più interessanti del racconto, anche grazie all’attenta caratterizzazione delle tre figure femminili, ciascuna con caratteri e fisicità molto differenti, che permettono al pubblico di conoscerle e d’immedesimarsi in loro
In una storia scritta in questo modo insieme alla tre fatine emerge in modo interessante Malefica, che ha modo di essere approfondita in modo certosino come personaggio. Lei è il vero villain della storia, una villain affascinante per i più piccoli che guardano la pellicola e che ritroveranno questa figura nel 2014, grazie all’interpretazione della diva hollywoodiana Angelina Jolie, in un live-action più incentrato su Malefica stessa che non su Aurora. Nel 1959, con questa strega viene costruita una vera e propria icona della Disney, un personaggio che sovrasta in quanto a fascino e introspezione narrativa la stessa protagonista femminile del film, un character studiato nel dettaglio e che con la sua magia e potenza ipnotica riesce a renderlo un personaggio narrativo di spicco dell’intera produzione. Il disegno che costruisce Malefica nella pellicola è il vero punto forte dell’intera narrazione, una narrazione che però nei suoi 75 minuti pecca di un’introspezione davvero minima nei confronti dei suoi personaggi, dove la pecca principale nei confronti della rappresentazione di Malefica sta nella sua morte, una morte che avviene in maniera troppo semplice e rempentina per un personaggio del suo calibro, che ci viene presentato come la malvagità fatta a persona.
Inoltre, Malefica ricorda la Regina Grimilde nel design del costume, entrambe caratterizzate da abiti neri e viola. Ciò che distingue Malefica dalla Regina Grimilde è il fascino oscuro ed elegante che emana attraverso le sue movenze e la voce, quest’ultima resa memorabile dal doppiaggio originale di Eleanor Audley, già doppiatrice di Lady Tremaine in Cenerentola.
Il Super Technirama 70
La sceneggiatura della pellicola lascia un po’ a desiderare, con molti elementi narrativi che potevano essere approfonditi e troppi personaggi che non riescono ad avere la giusta dimensione sullo schermo. Tuttavia, ciò che colpisce è la qualità dell’animazione, l’abilità artistica nel tratto del disegno, abbastanza divergente dalle precedenti pellicole Disney, e la qualità visiva. “La bella addormentata nel bosco” è il secondo film d’animazione girato in Widescreen anamorfico (16:9 anamorfico), con uno schermo largo in 2,39:1, un formato divenuto standard per i DVD video, dove la compressione permette di mantenere un’ottima qualità visiva. È anche il primo film animato girato in Super Technirama 70, un formato cinematografico panoramico che ha rappresentato un punto di svolta nella storia della cinematografia. Questo sistema, sviluppato dalla Technicolor nel 1959, è un’evoluzione del formato Technirama, progettato per offrire una qualità visiva superiore e un’esperienza cinematografica immersiva.
Il Super Technirama 70 non utilizza una pellicola da 65mm, ma da 35mm, che viene esposta orizzontalmente anziché verticalmente. Questo permette di utilizzare una superficie della pellicola molto più ampia, equivalente a quella di una pellicola da 70mm, da cui il nome “Super Technirama 70”. La pellicola da 35mm utilizza otto perforazioni per fotogramma, rispetto alle quattro dei formati verticali standard, migliorando la risoluzione e la qualità dell’immagine. Questo comporta che il rapporto d’aspetto diventi panoramico in 2,20:1, risultando ideale per riprese di paesaggi e scene di grande respiro visivo. Grazie alla maggiore superficie di esposizione, il Super Technirama 70 produce immagini ad alta risoluzione con dettagli incredibilmente nitidi e colori vividi. La maggiore quantità di grani di pellicola esposti alla luce permette di catturare più dettagli e di ridurre il rumore visivo. Questi miglioramenti tecnici permettono alle pellicole realizzate in Super Technirama 70 di offrire una maggiore immersione visiva, dove l’ampio rapporto d’aspetto e la maggiore risoluzione creano un’esperienza cinematografica più coinvolgente, avvolgendo lo spettatore nell’immagine. In questo senso, “La bella addormentata nel bosco” segna un passo avanti nel modo di realizzare film d’animazione.
Animazione
A livello di animazione, la pellicola si discosta dallo stile dei precedenti classici Disney. La resa visiva è influenzata dagli stili artistici europei medievali, gotici e rinascimentali, dimostrando un attento studio e ricerca del giusto approccio di disegno da parte dell’animatore incaricato nella costruzione visiva del mondo narrativo. Se inizialmente il capo animatori doveva essere Kay Nielsen, che però non convinse, Eyvind Earle, lo sostituì, ritrovandosi a doversi occupare dello stile grafico e dei fondali del film. Earle creò una stilizzazione visiva, con un mondo fiabesco ricco di dettagli intricati e un uso sapiente di linee e colori per creare profondità e atmosfera. I fondali di Earle sono caratterizzati da una precisione geometrica e una palette cromatica ricca di toni saturi e contrastanti, che conferiscono al film un aspetto iconico e immediatamente riconoscibile.
In alcuni fotogrammi della pellicola, possiamo rintracciare evidenti richiami al mondo artistico medievale e al libro di Herman e Jean Limbourg, “Très Riches Heures du Duc de Berry”, da cui Earle riprese le tinte cromatiche. Ad esempio, nella scena in cui Aurora canta nel bosco, possiamo notare uno stile minimale e stilizzato, ma allo stesso tempo elaborato, dove lo sfondo e il design della protagonista appaiono distaccati con un’ottica marcatamente in 2D. Gli alberi sono caratterizzati da linee sinuose e dettagli intricati, che richiamano le miniature medievali e l’arte gotica. La tavolozza dei colori è ricca di tonalità verdi e marroni, con tocchi brillanti degli animali che contrastano con l’ambiente circostante. Aurora stessa è disegnata con linee eleganti e fluide, riflettendo l’influenza dell’arte rinascimentale. Il suo vestito e la sua posa emanano grazia e serenità, mentre l’attenzione ai dettagli, come le pieghe del tessuto e i capelli ondulati, dimostra la maestria degli animatori Disney. Invece, nelle scene all’inizio del film, durante la celebrazione della nascita di Aurora, si nota un uso di colori ricchi e vivaci per i costumi reali, che contrastano con lo sfondo del castello, caratterizzato da tonalità più sobrie e motivi geometrici intricati. Le pareti del castello e le decorazioni riflettono un design gotico, con archi e motivi ripetitivi che aggiungono profondità e regalità alla scena. I personaggi sono disegnati con una certa rigidità che enfatizza la loro nobiltà e autorità.
L’animazione dei personaggi è stata altrettanto rivoluzionaria. Marc Davis, uno dei leggendari “Nine Old Men” della Disney, è stato responsabile dell’animazione della principessa Aurora. Davis ha infuso nel personaggio una grazia e un’eleganza senza pari, con movimenti fluidi e una silhouette snella che richiamano l’arte rinascimentale. La stessa cura è stata riservata al personaggio della strega Malefica, animata sempre da Davis, che è diventata una delle villain più iconiche della storia del cinema grazie alla sua presenza imponente e ai suoi tratti spigolosi. Altri animatori di rilievo che hanno lavorato al film includono Frank Thomas e Ollie Johnston, che hanno animato le tre fatine – Flora, Fauna e Serenella – infondendo nei personaggi una vivacità e un umorismo che bilanciano le atmosfere più oscure del film, andando contro il volere di Walt Disney che preferiva il medesimo aspetto per le tre fatine. Inoltre, Milt Kahl ha animato il principe Filippo, portando un’energia dinamica e un eroismo classico nel personaggio.
Le influenze artistiche del film non si limitano alla pittura e alla scultura rinascimentale, ma attingono anche al gotico medievale, visibile nell’architettura dei castelli e nelle foreste cupe e dettagliate. Il risultato è un’opera che si distingue nettamente dagli altri film d’animazione dell’epoca, con uno stile visivo che combina tradizione e innovazione in modo armonioso. L’uso del formato Super Technirama 70 ha permesso di ottenere una qualità dell’immagine superiore, con una nitidezza e una luminosità che valorizzano ulteriormente il lavoro artistico. Questo formato, insieme alla colonna sonora orchestrale composta da George Bruns e basata sulle musiche di Čajkovskij, contribuisce a creare un’esperienza cinematografica immersiva e memorabile. La pellicola disneyana si rifà espressamente al modello narrativo di Čajkovskij, come si evince dal nome del personaggio principale. Nel racconto di Charles Perrault, il personaggio non ha un nome, ma la figlia della principessa dormiente si chiama Aurora, nome che l’opera di Čajkovskij dona per la prima volta al personaggio della principessa che cade in un profondo sonno. Va sottolineato, inoltre, che le versioni fiabesche si discostano notevolmente dalla versione Disney, che modifica apertamente le storie per i suoi fini narrativi al fine di renderla più consona a un pubblico familiare.
In conclusione
“La bella addormentata nel bosco” rappresenta un punto cruciale nell’animazione Disney grazie all’innovativo uso del formato Super Technirama 70 e a un’estetica visiva influenzata dagli stili artistici medievali e rinascimentali. Tuttavia, nonostante i progressi tecnici e visivi, la pellicola soffre di una sceneggiatura carente nel dare profondità ai suoi personaggi principali, in particolare alla protagonista, Aurora, e al principe Filippo. Mentre le tre fatine e Malefica emergono come personaggi ben caratterizzati e memorabili, la storia centrale risulta meno avvincente e manca di un vero coinvolgimento emotivo.
Note positive
- Innovazione tecnica: Primo film animato girato in Super Technirama 70, con una qualità visiva superiore e un’esperienza cinematografica immersiva.
- Stile artistico: Influenze medievali, gotiche e rinascimentali che conferiscono al film un aspetto iconico e distintivo.
- Animazione dei personaggi secondari: Ottima caratterizzazione delle tre fatine e di Malefica, che aggiungono umorismo e fascino alla narrazione.
- Colonna sonora: Musiche orchestrali di George Bruns basate sulle composizioni di Čajkovskij, che arricchiscono l’atmosfera fiabesca.
Note negative
- Sviluppo dei personaggi principali: Aurora e il principe Filippo mancano di profondità e spessore drammaturgico, risultando personaggi piatti e poco coinvolgenti.
- Ruolo passivo della protagonista: Aurora ha un tempo limitato sullo schermo e non agisce in modo significativo nella trama, rimanendo vittima degli eventi.
- Morte di Malefica: Risoluzione troppo semplice e repentina per un personaggio di tale calibro, che avrebbe meritato un confronto più epico.
- Sceneggiatura: Mancanza di introspezione nei confronti dei personaggi principali e una narrazione che non sfrutta appieno il potenziale della storia.