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La Mazurka del Barone, della Santa e del Fico Fiorone
Titolo originale: La Mazurka del Barone, della Santa e del Fico Fiorone
Anno: 1975
Paese: Italia
Casa di Produzione: Euro International Film
Distribuzione: Euro International Film
Durata: 101 minuti
Regia: Pupi Avati
Sceneggiatura: Pupi Avati, Antonio Avati, Gianni Cavina
Fotografia: Luigi Kuveiller
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Musiche: Amedeo Tommasi
Attori: Ugo Tognazzi, Paolo Villaggio, Delia Boccardo, Gianni Cavina, Giulio Pizzirani, Gianfranco Barra, Lucienne Camille, Andrea Matteuzzi, Bob Tonelli, Pina Borione Ines Ciaschetti, Ferdinando Orlandi, Adolfo Caruso, Lucio Dalla, Patrizia De Clara, Arrigo Lucchini
Trama de La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone
Un nobile cinico, anticlericale e misantropo, di nome Anteo Pellacani, fa ritorno al proprio paesino di appartenenza, ossia Bagnacavallo in Romagna, per prendere possesso dell’orto e della casa appena ereditati. Nell’orto è situato un albero di fico sotto al quale nel 726 D.C avvenne lo stupro di una giovane, Girolama Pellacani, che si sacrificò offrendo la sua verginità ai barbari longobardi per salvare le compagne. Da quel momento l’albero divenne miracoloso fino al giorno in cui il nobile Anteo, allora un atleta promettente, cadde dal fico danneggiandosi la gamba. Anteo, divenuto ora proprietario dell’orto, vuole abbattere, per risentimento e per odio, quell’albero che gli ha rovinato la vita, ma le cose prenderanno una piega alquanto sorprendente ed inaspettata.
Recensione de La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone
Durante gli anni ’70 del secolo scorso la commedia all’italiana giunge a una fase di piena maturazione che comporta una logica metamorfosi del genere stesso: Infatti in quel periodo storico si verifica un parziale distacco dal Cinema comico “puro” del passato e una conseguente frammentazione stilistica che provoca la nascita di specifici sottogeneri, tra cui spicca, per diversi motivi, quello sessuale – grottesco, il quale (da come si può facilmente intuire) si distingue per l’utilizzo di un approccio espressivo disimpegnato che si manifesta spesso attraverso espedienti linguistici e visivi scabrosi e provocatori (almeno per l’epoca). Addirittura la volgarità (specialmente il turpiloquio), l’erotismo (in modo particolare le esplicite nudità femminili) e il grottesco (perlopiù infantile e fine a sé stesso) che caratterizzano questa particolare tendenza della commedia all’italiana saranno involontariamente le principali cause scatenanti del progressivo e inevitabile processo di involuzione e decadimento che colpirà la commedia italiana a partire dal decennio successivo (sebbene alcuni sintomi dell’interesse di diversi cineasti e di una parte del pubblico nei confronti di un Cinema esclusivamente d’evasione si possano già facilmente individuare nello stesso periodo in cui si colloca cronologicamente la pellicola in esamine).
Un esempio curioso di questa specifica tendenza è proprio “La Mazurka del Barone, della Santa e del Fico Fiorone” (1975) di Pupi Avati poiché si differenzia da altre pellicole dozzinali appartenenti allo stesso filone per via di una accentuata personalità che non risiede principalmente nella trama o nella caratterizzazione dei personaggi quanto piuttosto nelle sagaci e sguaiate invenzioni umoristiche ironiche e grottesche presenti nella pellicola. Anche la struttura stessa della pellicola risulta particolare: Infatti essa si può suddividere in due parti ben precise e distinte poiché presentano due approcci differenti nei confronti dello stesso soggetto e degli stessi personaggi a tal punto da sembrare due film diversi. La prima parte della pellicola utilizza un tono esuberante e un ritmo piuttosto frenetico che aderisce perfettamente alla particolare comicità adottata nella prima metà del film.
Il protagonista Anteo Pellacani (interpretato da Ugo Tognazzi) viene introdotto all’inizio della pellicola come un perfido ed arguto burlone che, a differenza di altri personaggi ridanciani come il Marchese del Grillo, non compie le sue creative malefatte per il solo gusto di divertirsi alle spalle delle sue vittime poiché, dietro ai suoi scherzi diabolici ai danni della Chiesa ed il suo comportamento dispotico e blasfemo nei confronti della religione cattolica, si nasconde una concreta motivazione che viene narrata mediante un flashback, il quale, raccontando l’episodio tragico del suo passato, permette allo spettatore di comprendere appieno la profondità di un protagonista che tiene segrete le proprie fragilità e le proprie frustrazioni personali adottando un atteggiamento arrogante, scontroso e assai volgare nei confronti delle altre persone.

L’umorismo è il tratto distintivo di questa prima parte della narrazione per via della sua natura essenzialmente scorretta: Infatti la pellicola non si risparmia mai nell’utilizzo di qualsivoglia mezzo espressivo (verbale o visivo) sconveniente ed è per questo motivo che la prima metà del film è letteralmente infarcita di una comicità grottesca e irriverente. Nonostante ci siano dei limiti morali evidenti gli sceneggiatori non sembrano farsi particolari scrupoli, per esempio, a far pronunciare ai loro personaggi una quantità non scontata (per l’epoca) di parolacce o perfino a mostrare con scopo goliardico un corpo nudo femminile (seppur in maniera ridicola e ripugnante prendendo spunto sicuramente da altre pellicole cronologicamente precedenti tra cui, ad esempio, “Mimì metallurgico ferito nell’onore” di Lina Wertmüller).

Naturalmente non si tratta di un umorismo particolarmente sofisticato o elevato seppur all’interno di molti dialoghi siano presenti un’ironia sferzante e un pungente sarcasmo. Tutto questo, però, non riguarda l’intera pellicola perché a un certo punto, come già anticipato nelle righe sopra, la storia cambia improvvisamente tono e ritmo decidendo di trascurare la maggior parte dei personaggi secondari (per focalizzarsi, invece, su un paio di essi che nella prima parte erano stati soltanto introdotti al pubblico) e di far sparire quasi del tutto la particolare comicità presente nei primi 60-70 minuti. Esattamente nel momento in cui il protagonista si convince che la prostituta senza nome dai capelli rossi sia veramente Santa Girolama, l’atmosfera della pellicola si conforma al cambiamento del protagonista: Proprio come il protagonista Anteo Pellacani che abbandona l’arroganza e il turpiloquio per adottare un comportamento gentile e umile, così anche lo stesso film decide di mettere da parte l’esagerazione e la trivialità per adoperare un tono più pacato e contenuto fino al finale inaspettatamente malinconico, il quale si rivela piuttosto spiazzante per quanto diverso e soprattutto distante dalle premesse della stessa pellicola.
Questo cambiamento, per quanto da un punto di vista narrativo sia interessante e coerente con l’evoluzione del protagonista stesso, fa perdere purtroppo mordente all’intera vicenda; Infatti, durante gli ultimi 45-50 minuti, lo spettatore avrà come l’impressione che il film abbia attivato di proposito il pilota automatico poiché, assieme alla comicità volgare e provocatoria, sparisce anche l’energia febbrile e l’ingegno creativo con cui il regista e gli sceneggiatori avevano narrato animatamente la vicenda fino a quel preciso momento. Anziché raccontare gli eventi successivi alla conversione spirituale del protagonista con lo stesso spirito ironico della prima parte si preferisce, invece, optare per un drastico cambiamento che modifichi quasi del tutto l’atmosfera e il tono della pellicola nonostante si potessero inventare nuovi equivoci e situazioni altrettanto divertenti.
Un altro difetto della pellicola sono sicuramente i personaggi secondari che possono essere descritti come fastidiose macchiette grottesche prive di una reale e seria caratterizzazione. Infatti, l’unico personaggio sfaccettato è il protagonista sebbene lo stravagante Checco “Biancone” Coniglio (interpretato da un magistrale Paolo Villaggio il quale dimostra di essere in grado di staccarsi dalla maschera “fantozziana”), nonostante sia sostanzialmente un individuo stravagante che non si fa problemi a ingannare il prossimo per i propri scopi, possieda quantomeno un briciolo di personalità.

Un’ultima manchevolezza da segnalare è l’assenza di una morale vera e propria; Infatti, nonostante la propria natura provocatoria e sprezzante, la pellicola non si prefigge alcun obiettivo di tipo didattico, non vuole assolutamente far riflettere il pubblico su una determinata tematica o su un preciso argomento poiché il suo solo ed unico scopo è soltanto quello di intrattenere e divertire lo spettatore per tutta la propria durata.

In conclusione
Prendendo in considerazione i pregi e i difetti identificati e analizzati in questa disamina, si può concludere affermando che la fortunata (sebbene dimenticata) pellicola di Pupi Avati, nonostante aderisca perfettamente alla tendenza sessuale grottesca della commedia italiana dell’epoca e quindi non possegga alcuna profonda e attuale critica sociale o politica, sia un prodotto audiovisivo in grado di lasciare il segno nella memoria dello spettatore per via della forte identità derivata dalla sua particolare stravaganza, dalla sua esplicita scorrettezza e, soprattutto, dalla sua travolgente e genuina esuberanza.
Note positive
- L’essere un film scorretto e stravagante
- Interpretazione (per quanto si distacchino dai loro standard) di Ugo Tognazzi e Paolo Villaggio
Note negative
- Mancanza di critica sociale o politica
- Scrittura dei personaggi secondari