La mia vita con John F. Donovan: Una stancante ripetizione

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La mia vita con John F. Donovan

Titolo originale: The Death and Life of John F. Donovan

Anno: 2018

Paese: Canada, Regno Unito

Genere: Drammatico

Durata: 2 hr 03 min (123 min)

Casa di produzione: Lyla Films, Sons Of Manual, Warp Films

Distribuzione: Lucky Red

Regia: Xavier Dolan

Sceneggiatura: Xavier Dolan

Montaggio: Xavier Dolan

Dop: André Turpin

Musiche: Gabriel Yared

Attori: Kit Harington, Jacob Tremblay, Natalie Portman, Susan Sarandon, Kathy Bates, Ben Schnetzer, Michael Gambon

Trailer di La mia vita con John F. Donovan

RECENSIONE DI LA MIA VITA CON JOHN F. DONOVAN

Il percorso artistico di Xavier Dolan è stato tra i più promettenti degli anni Duemila. A soli diciannove anni, questo talentuoso regista canadese aveva esordito con l’ottimo J’ai tué ma mère, per poi arrivare a dirigere un capolavoro con Mommy del 2014. Tutti i suoi film fino a quel momento avevano brillato di personalità e accenni autobiografici che permettevano al pubblico d’identificarsi con i personaggi o di riflettere su temi quali identità sessuale e conflittualità dei rapporti famigliari. La banalità della scrittura era assente e l’insieme filmico non faceva che catturare lo sguardo e toccare le viscere.

Poi è arrivato È solo la fine del mondo del 2016, dove lo stile visivo patinato di Dolan cozzava con la ruvidezza della narrazione e delle tematiche, diventando manierista ed esagerato tanto quanto una recitazione spesso fin troppo sopra le righe. Il risultato poco entusiasmante di questa pellicola melensa e retorica ha anticipato La mia vita con John F. Donovan, settimo lavoro del regista funestato da mille intromissioni delle major e da un montaggio infinito (il primo cut durava più di quattro ore).

Probabilmente lavorare in un ambiente creativo così ostile e poco avvezzo all’autorialità pura non ha messo Dolan nelle condizioni di sfogare al meglio il suo estro, ma anche da ciò che ha visto la luce al di fuori della sala di montaggio si capisce quanto La mia vita con John F. Donovan sia un film poco interessante, una ripetizione di stilemi stancante e pomposa che pare più l’opera di uno scarso imitatore di Dolan che non di Dolan stesso.

TRAMA DI LA MIA VITA CON JOHN F. DONOVAN

L’intraprendente e polemica giornalista Audrey Newhouse (Thandie Newton) incontra lo scrittore Rupert Turner (Ben Schnetzer) per strappargli un’intervista sul suo nuovo libro, un romanzo epistolare originato da una lunga corrispondenza epistolare tra l’autore e John F. Donovan (Kit Harington), un attore emergente amato dal pubblico suicidatosi proprio quando la carriera stava per prendere il volo.

Con un flashback che occuperà quasi tutto il film, si ripercorre il legame tra il giovane Turner (Jacob Tremblay) e l’attore, seguendo contemporaneamente la vita personale di John, tra scandali e omosessualità celata.

Kit Harington in La mia vita con John F. Donovan
Una scena di La mia vita con John F. Donovan

ANALISI DI LA MIA VITA CON JOHN F. DONOVAN

Ciò che per prima cosa salta all’occhio è la clamorosa pochezza della disomogenea sceneggiatura. Se si esclude l’inutile espediente dell’intervista che sembra quasi voler fare il verso a Quarto Potere di Orson Welles ma finisce solo con l’appesantire il racconto con velleità banalizzate, non c’è un solo personaggio o un risvolto introspettivo che sfugga a un disegno malamente abbozzato e poco coinvolgente. Poco e nulla ci viene detto dei travagli interiori di John e della sua dicotomia con la madre (una Susan Sarandon sprecatissima), così come nulla si sa di come la corrispondenza abbia avuto inizio e di quanto sia ambiguo il rapporto tra i due protagonisti, a metà tra il semplice confronto intellettuale e l’attrazione omoerotica. Sono aggravanti non da poco se si considera che sono proprio questi i fattori che innescano l’impulso suicida di Donovan.

La recitazione è basata tutta sull’over-acting, da sempre elemento caratteristico del cinema dolaniano necessario per esprimere con maggior intensità la crescita di certe emozioni più violente. A La mia vita con John F. Donovan manca però una sceneggiatura che lo giustifichi, cosicché gli eccessi recitativi sembrano solo un mezzo artefatto per compensare la povertà di una scrittura bidimensionale. Cosa che ovviamente non beneficia a pezzi da novanta come Kathy Bates o Michael Gambon, costretti a recitare frasi altisonanti ma vuote rese spesso ridicole dal retorico sottofondo musicale di Gabriel Yared.

Rispetto ai suoi standard solitamente alti, Dolan regala la sua regia più anonima a oggi, e a parte alcuni tratti in cui emerge la sua particolare cura per l’immagine pare non sapere come inquadrare in maniera accattivante la vicenda, limitandosi a sfoggiare una fotografia fin troppo laccata e cool anche per la materia trattata. La ricerca dell’eccesso per sopperire al vuoto cosmico di emozioni e brillantezza narrativa domina su ogni singola componente dell’opera, e resta da vedere se a questo punto Xavier Dolan saprà riprendersi e innovarsi o andrà a infoltire le schiere di registi promettenti che hanno finito solo con il bruciarsi la carriera.

NOTE POSITIVE

  • A tratti Dolan riesce a dar prova del suo talento visivo.
  • Le tematiche smosse, per quanto mal sviluppate, sono stimolanti.

NOTE NEGATIVE

  • Regia generale anonima.
  • Fotografia troppo laccata.
  • Colonna sonora pomposa e retorica.
  • Over-acting ingiustificato.
  • Sceneggiatura piena di falle.
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