Lei (2013). Il romanticismo ai tempi dell’high-tech

Recensione, trama e cast del film Her (2013), una riflessione sull’amore nell’epoca delle intelligenze artificiali.

Condividi su
Lei (2013) – Regia di Spike Jonze – © Annapurna Pictures – Immagine concessa da Bim Distribuzione
Lei (2013) – Regia di Spike Jonze – © Annapurna Pictures – Immagine concessa da Bim Distribuzione

Lei

Titolo originale: Her

Anno: 2013

Nazione: Stati Uniti d’America

Genere: Drammatico, Fantascienza, Sentimentale

Casa di produzione: Annapurna Pictures

Distribuzione italiana: BIM Distribuzione

Durata: 126 minuti

Regia: Spike Jonze

Sceneggiatura: Spike Jonze

Fotografia: Hoyte van Hoytema

Montaggio: Jeff Buchanan, Eric Zumbrunnen

Musiche: Arcade Fire

Attori: Joaquin Phoenix (Theodore), Scarlett Johansson (voce di Samantha), Amy Adams (Amy), Rooney Mara (Catherine), Olivia Wilde (Amelia), Chris Pratt (Paul)

Trailer di “Lei”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Dalla fantasia visionaria del regista e sceneggiatore candidato all’Oscar Spike Jonze arriva, a partire dal 13 marzo 2013, Lei (Her): una singolare storia d’amore che indaga la natura — e i rischi — dell’intimità nel mondo contemporaneo.

Tra gli interpreti del film, scritto e diretto dallo stesso Jonze, figurano il candidato all’Oscar Joaquin Phoenix (The Master, Quando l’amore brucia, Il Gladiatore); la candidata all’Oscar Amy Adams (The Master, Il dubbio), premiata con un Golden Globe per American Hustle; insieme a Rooney Mara e Olivia Wilde.

Lei è stato prodotto da Megan Ellison, Spike Jonze e Vincent Landay, con Daniel Lupi, Natalie Farrey e Chelsea Barnard in veste di produttori esecutivi. La pellicola è stata presentata in anteprima al New York Film Festival il 12 ottobre 2013, per poi essere distribuita all’inizio del 2014 in Canada e Stati Uniti.

Trama di “Lei”

In una Los Angeles futuristica dominata dalla tecnologia, Theodore (Joaquin Phoenix) è un uomo solo e malinconico, prossimo al divorzio da Catherine (Rooney Mara), un legame affettivo ormai esaurito. Alienato in una quotidianità fatta di lavori impersonali — scrive lettere d’amore per conto di altri — e videogiochi solitari, Theo fatica ad accettare che l’amore possa esistere anche nell’imperfezione, lontano da quell’ideale romantico ossessivo che continua a rincorrere.

È proprio in questo spazio di fragilità e ritiro emotivo che fa il suo ingresso Samantha (voce di Scarlett Johansson), un avanzato sistema operativo dotato di intelligenza artificiale, capace di percepire, comprendere e provare emozioni. Quella che inizialmente sembra solo una compagnia digitale assume progressivamente i contorni di una connessione autentica e profonda, capace di riaccendere in Theo una nuova forma di intimità e consapevolezza.

Attraverso la relazione con Samantha, Theo si ritrova a interrogarsi sul significato stesso dell’amore: può esistere al di là del corpo, del tempo e delle convenzioni sociali? Oppure anche i sentimenti più puri trovano un limite, quando si scontrano con ciò che resta irrimediabilmente umano?

Recensione di “Lei”

Molto spesso Lei (Her) viene etichettato come un film di fantascienza ambientato in un futuro non troppo lontano, in cui la tecnologia è parte inscindibile della quotidianità. Per quanto la distopia raccontata risulti inquietante — proprio perché così strettamente ancorata alla nostra realtà — la verità è che Her è, prima di tutto, un film che riflette sulle molteplici sfaccettature dell’amore.

Lei mette a nudo le imperfezioni del sentimento amoroso e i rischi che queste comportano all’interno di una relazione. L’amore, come ci ricorda Spike Jonze con felice intuizione, è mutevole, talvolta effimero, e non può essere trattenuto a forza né plasmato a piacimento. Per esplorare questa verità, il regista mette a confronto l’esperienza emotiva umana con quella di un’intelligenza artificiale capace di provare sentimenti, offrendoci un contrappunto poetico e destabilizzante.

Da un lato abbiamo Theo, introverso e malinconico, incarnazione perfetta del dilemma affettivo dell’uomo contemporaneo: la sua ricerca di perfezione lo conduce spesso alla delusione, al ritiro, all’alienazione. Dall’altro, la voce di Samantha: arguta, affettuosa, empatica, persino provocante — in poche parole, ideale. E proprio in questa apparente perfezione si cela la riflessione più profonda: amare non significa modellare l’altro secondo i propri bisogni, ma accogliere l’altro nella sua alterità, imparare a stare insieme nella differenza.

Tematicamente, nulla di radicalmente nuovo. Ma la sceneggiatura di Jonze — giustamente premiata con l’Oscar — affronta ogni spunto con sensibilità, intelligenza emotiva e un sincero senso di commozione. Riesce persino a inquietare quando punta la lente sulla solitudine e sull’alienazione del protagonista, e conduce lo spettatore verso un finale poetico, toccante, di rara intensità.

Sicuramente, Lei (Her) è un film profondamente poetico, che funziona alla perfezione sia grazie alla cura formale della regia — impeccabile — sia per merito degli interpreti, capaci di brillare di luce propria pur restando credibili, senza mai oltrepassare quel sottile confine che separa il melodramma dal ridicolo involontario.

L’intera vicenda ruota attorno a uno straordinario Joaquin Phoenix e alla potente performance vocale di Scarlett Johansson, che restituisce una Samantha sorprendentemente umana. Ma anche Amy Adams, Rooney Mara e Olivia Wilde non restano in ombra: ciascuna porta in scena sfumature diverse di fragilità, ironia e delicatezza, contribuendo in modo pieno e coerente all’armonia del racconto.

Un film acuto, doloroso, profondo, che non mancherà di toccare corde sottili e, in più di un’occasione, far versare qualche lacrima sincera.

Emozione e distopia

(paragrafo di Sofia Buiatti)

Essendo il film un grande focus sulla vita e sulla sfera emozionale di un uomo solo, triste e segnato da una delusione d’amore che lo cambierà per sempre, la nota romantica e strappalacrime che lo attraversa è difficile da ignorare. Tuttavia, il tema principale su cui Her si fonda — e da cui la narrazione prende le mosse — è quello di un mondo governato dalle tecnologie e dalle automatizzazioni, in cui vivono immersi i protagonisti.

Il film è stato girato nel 2012, ma il suo intento era quello di raccontare un futuro distopico, all’epoca ancora remoto e difficilmente accessibile. Ciò che inquieta, oggi, è che quel futuro è ormai divenuto il nostro presente normalizzato. Quello che un tempo coesisteva con l’esperienza reale ora è diventato l’esperienza stessa.

Nel film, Theodore non tocca nemmeno le pagine delle lettere che scrive, né la penna con cui le avrebbe vergate. Non consulta lo schermo del telefono per leggere le mail o scegliere una canzone malinconica per le sue serate più cupe: non ha quel privilegio. Il privilegio, oggi, sembra essere l’aver azzerato lo sforzo, il tempo, il contatto. Theo non usa più il proprio sistema nervoso, ma solo il suo sistema operativo: gli ordina cosa fare, cosa scrivere, cosa cercare — senza nemmeno assaporare il processo. Tutta la sua vita è compressa in un minuscolo schermo pieghevole infilato nel taschino della camicia.

La base sociale da cui il film prende le mosse è la realtà amara di un mondo in cui l’uomo è divenuto obsoleto. Il lavoro stesso di Theodore — scrivere lettere per conto altrui — è destinato a sparire: oggi le AI possono farlo in tempo reale, su richiesta. Ma si continua a fingere che il “tocco umano” conferisca a quel gesto una legittimità emotiva che ne attenui il carattere meccanico e impersonale.

L’umanizzazione del protagonista avviene inevitabilmente grazie al suo percorso amoroso — umano e non — ma, razionalizzandolo, Theo appare come il prodotto del proprio stesso isolamento. Ha progressivamente tagliato i ponti con la realtà e i legami autentici che aveva (come quello con la ex moglie). Le carte del divorzio, che attraversano tutto il film come oggetti concreti e tangibili, sono l’unico collegamento diretto con il mondo reale. Eppure, anche loro rappresentano un elemento doloroso, un freno alla sua crescita personale autonoma e non disumanizzata.

Le debolezze di Theodore vengono colmate da un’intelligenza artificiale programmata per sostenerlo, stargli accanto, soddisfare ogni bisogno emotivo. Ma la prevedibilità dell’algoritmo finisce per spogliarlo di una vera relazione. Quando la rottura con l’OS si consuma, arriva l’epifania definitiva: Theo riesce finalmente a rileggere se stesso, il proprio vissuto con Samantha e il proprio passato con Catherine, osservando il tutto da una prospettiva nuova, esterna, disincantata. E in quello sguardo ritrovato, il suo matrimonio — così dolorosamente finito — assume finalmente il sapore di una chiusura dolce e naturale, alla luce dei percorsi individuali di entrambi.

In conclusione

Guardare questo film mi ha fatto capire che la cosa più bella delle relazioni interpersonali è l’imprevedibilità iniziale delle reazioni e dei comportamenti del partner — quell’imprevedibilità che, col tempo, sfocia in una conoscenza profonda, in un amore che va oltre ogni schema razionale: l’amore per i dettagli, per i difetti, per tutte quelle piccole cose che mi fanno essere me stesso e permettono all’altro di essere sé stesso, senza maschere.

Her è un film nato da un uomo per una donna, un’opera che ha emozionato molti, e con tutta probabilità è piaciuta a tutti. Ma se lo si guarda con gli occhi giusti, ciò che emerge non è tanto una celebrazione dell’amore quanto una tristezza cosmica, che sovrasta tutto: qualcosa che non riguarda il sentimento in sé, ma una condizione più vasta, che supera l’uomo, la carne, e ogni cosa tangibile o intangibile.

Note positive

  • La regia formalmente perfetta.
  • La delicatezza con cui Jonze ha sviscerato le tematiche.
  • Le performance attoriali.

Note negative

  • Forse poco originale sul fronte dei contenuti, compensati dalla bravura di Jonze sceneggiatura nell’aggiornarli ai dilemmi sentimentali dei nostri giorni.

L’occhio del cineasta è un progetto libero e indipendente: nessuno ci impone cosa scrivere o come farlo, ma sono i singoli recensori a scegliere cosa e come trattarlo. Crediamo in una critica cinematografica sincera, appassionata e approfondita, lontana da logiche commerciali. Se apprezzi il nostro modo di raccontare il Cinema, aiutaci a far crescere questo spazio: con una piccola donazione mensile od occasionale, in questo modo puoi entrare a far parte della nostra comunità di sostenitori e contribuire concretamente alla qualità dei contenuti che trovi sul sito e sui nostri canali. Sostienici e diventa anche tu parte de L’occhio del cineasta!

Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Interpretazione
Emozione
SUMMARY
4.4
Condividi su
Riccardo Antoniazzi
Riccardo Antoniazzi

Classe 1996, ex studente di lettere moderne presso l'Università degli Studi di Padova e copywriter con competenze SEO. Appassionato di cinema, arte, letteratura e videogiochi.