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L’oro del Reno
Titolo originale: L’oro del Reno
Anno: 2025
Nazione: Italia
Genere: Documentario, Drammatico, Grottesco, Sentimentale
Casa di produzione: Mompracem, Rheingold Film
Distribuzione italiana: Europictures
Durata: 90 minuti
Regia: Lorenzo Pullega
Sceneggiatura: Federico Montevecchi, Lorenzo Pullega, Roberto Romagnoli
Fotografia: Alessandro Verdiani
Montaggio: Ilario Cimmino
Musiche: Bernardo Lo Sterzo, Bologna Municipal Theater Orchestra, Marco Pedrazzi
Attori: Flavia Bakiu, Giuseppe Gandini, Lucianna De Falco, Marco Mario De Notaris, Melissa Falasconi, Neri Marcorè, Rebecca Antonaci
Trailer di “L’Oro del Reno”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Lorenzo Pullega, nato a Bologna nel 1991, ha intrapreso un percorso artistico che lo ha portato dal teatro londinese al cinema italiano. Dopo il diploma al liceo classico, si è formato in ambito teatrale nel Regno Unito, per poi tornare in Italia e dedicarsi alla regia cinematografica.
Nel 2015 ha iniziato una collaborazione con i Manetti Bros., prima come assistente alla regia nella serie L’Ispettore Coliandro, e successivamente specializzandosi nel reparto location. Ha lavorato su numerose produzioni nazionali e internazionali, tra cui Master of None (Netflix), Dopo la guerra, Mio fratello rincorre i dinosauri e la trilogia di Diabolik.
Nel 2016 ha esordito come regista con il cortometraggio Calandrino, una rilettura contemporanea di una novella del Boccaccio ambientata nella provincia bolognese. Nel 2019 ha firmato Gli Arcidiavoli, una commedia surreale ambientata nel mondo delle sale biliardo, distribuita da Premiere Film e selezionata in diversi festival, tra cui I Love GAI a Venezia.
L’oro del Reno è il suo primo lungometraggio, premiato per la miglior regia al BIF&ST di Bari. Il film è prodotto da Mompracem e Rheingold Film, casa di produzione fondata dallo stesso Pullega insieme a Roberto Romagnoli e Federico Montevecchi, suoi collaboratori e co-sceneggiatori.
L’oro del Reno, opera prima di Lorenzo Pullega, è stato presentato in concorso all’International Film Festival di Rotterdam, dove ha rappresentato l’Italia nella sezione Big Screen Competition, e al Bif&st di Bari, dove ha conquistato il Premio Miglior Regia nella categoria “Per il Cinema Italiano”. Il film ha inoltre aperto il Bellaria Film Festival, confermandosi come uno degli esordi più originali e riconosciuti dell’anno.
Distribuito da Europictures, L’oro del Reno arriverà nelle sale italiane il 3 luglio 2025, portando sul grande schermo un viaggio poetico e surreale lungo le sponde del Reno emiliano, tra memoria, folklore e immaginazione.
Trama di “L’Oro del Reno”
L’Oro del Reno è un racconto fatto di racconti: un viaggio lungo le sponde del fiume Reno — quello italiano — dove presente e passato si intrecciano. A compierlo è un regista incaricato da un curioso circolo locale di realizzare un documentario, ma ciò che raccoglie non è solo materiale audiovisivo. Inizia dalla sorgente e scende fino alla foce, annotando impressioni, ascoltando storie, immergendosi in un mondo che si rivela via via più immaginifico e surreale.
Il piccolo Reno, apparentemente privo di mitologie, diventa teatro di memorie, leggende, episodi strampalati e malinconie collettive, trasformando il viaggio del protagonista — invisibile — in una vera e propria esplorazione onirica dell’identità e del territorio. Perdersi tra quei racconti potrebbe significare ritrovarsi, riscoprendo il valore nascosto delle acque che attraversano l’Emilia.
Recensione di “L’Oro del Reno”
L’oro del Reno è un film diretto da Lorenzo Pullega, con la voce narrante di Neri Marcorè che veste i panni dello stesso regista intento a girare un film sul Reno italiano, il risultato è una ricerca di spunti ed idee, curiosità ma soprattutto incontri vari lungo il percorso. Una vera avventura che si dimostra piena di scoperte interessanti, il risultato è un misto di finzione e documentario, il tutto in un film quasi surreale popolato da personaggi ambigui e a volte caricaturali.
Il grande Reno e il piccolo Reno
Il film si apre sulle note musicali di Wagner, impossibile infatti non evocare il grande compositore tedesco e la sua opera che si chiama appunto: “L’oro del Reno”, il primo di quattro drammi musicali che compongono la tetralogia dell’anello del Nibelungo. Ma il fiume Reno cantato da Wagner non è il Reno che troviamo in Italia, è un caso di omonimia e il regista gioca proprio su questa duplice essenza del fiume. I due “Reni” sono infatti fiumi ben distinti, il Reno dell’opera è uno dei fiumi più lunghi d’Europa e nasce in Svizzera ed attraversa vari stati tra cui la Germania. Il nostro Reno invece nasce in Toscana e scorre lungo la penisola Italiana in particolare nella regione dell’Emilia-Romagna, luogo dove è ambientato il film. Interessante notare che il nome Reno deriva dal celtico e significa appunto acqua che scorre, il film è come un fiume, scorre lento e attraversa varie tappe e luoghi diversi, un vero e proprio viaggio di scoperta alla ricerca di un oro e un tesoro nascosto.
La presenza della musica è centrale in tutto il film, un percorso che unisce un sottofondo musicale al dolce scorrere del fiume, il suono naturale dell’acqua e della natura. L’inizio del film evoca antiche leggende, con personaggi che richiamano il mito e l’opera di Wagner, c’è infatti anche un chiaro omaggio con scene girate a teatro e una breve intervista con il direttore d’orchestra. Il tono del film è alto ma anche leggero, comico, proprio come una sinfonia classica il genere del film ha note alte e basse, un equilibrio mai stonato fatto di presenze e incontri.
I personaggi che il narratore incontra durante la sua ricerca sono persone pittoresche, quasi tirati fuori da un libro di fiabe ma con un forte legame con il nostro presente e la contemporaneità. C’è il passato storico, la leggenda, il ricordo ma anche la vita di tutti i giorni, le persone che vivono quei luoghi, una testimonianza sincera ma anche alterata.
La musica delle prime scene proviene da una musicassetta inserita in uno stereo, il nome R. WAGNER si legge a grandi lettere, segnato con un pennarello nero dal tratto grosso. Una caratteristica primaria del film è la continua rottura della quarta parete, non vediamo mai il narratore ma sentiamo la sua voce, e quando gli altri personaggi parlano, raccontano, si rivolgono direttamente alla telecamera e in qualche modo anche a noi, il pubblico. La storia è divisa in brevi scene, come atti di un’opera unica, appunto l’oro del Reno, ma italiano.
Il desiderio di celebrare il fiume Reno è alla base dell’idea del regista che vuole realizzare un documentario e per questo il film è una celebrazione del fiume ma anche di tutto ciò che lo circonda. L’approccio del regista nel dare vita a questa opera è molto dinamico, libero, creativo e il risultato è un film quasi poetico, dai toni comici e documentaristici, ma pure sempre con l’illusione continua che ci sia anche molta finzione in ogni sequenza.
Neri Marcoré è la voce perfetta ad accompagnarci in questo viaggio, lo ascoltiamo rapiti dal suo tono calmo e pacato, come un cantastorie o un amico che ci racconta la sua storia, noi spettatori vediamo i suoi ricordi al presente, al passato, quegli eventi che hanno dato vita al film.
I primi incontri
Il fiume è vissuto come un luogo vivo, un luogo dove poter svolgere le attività più diverse come ad esempio un giro in canoa o perfino un battesimo. Le persone che il regista/narratore incontra durante il suo cammino sono disponibili a parlare, a raccontare qualcosa della loro storia e del fiume. Il fiume si rivela essere un luogo altro, magico, quasi sacro. Tutto può succedere. L’acqua è fonte di vita e luogo di rigenerazione, infatti vicino la città di Porretta Terme c’è un centro termale.
Qui, si assapora il lento scorrere della vita, il dolce far niente e la dolcezza della vita stessa. C’è continuamente la presenza di una nota comica che alleggerisce il tutto e tiene alta la concentrazione del pubblico, la scoperta delle terme è un viaggio affascinante e allo stesso tempo denso di ironia. Si rivela un’esperienza mistica, rigenerante, dove donne vengono ricoperte di fanghi come mostri usciti dalla laguna. Una vera e proprio spa per anziani, un’oasi di pace e benessere. Spiccano tra i vari personaggi, alcuni iconici individui come ad esempio la contessa, emblema di un tempo passato, glorie decadute e antichi miti di epoche dorate. Sono questi incontri che arricchiscono la storia raccontata nel film, questo continuo passaggio tra il presente ed il passato. Si passa dalla luce del sole al lume di candela, alle tenebre della notte. Dove un maggiordomo accoglie il signor Fantini, un altro personaggio che vaga in questi luoghi.
Gli scenari continuano a cambiare, spesso questo causa un po’ di spaesamento, ma forse è il fluire del fiume che guida il viaggio tortuoso del narratore. Ogni nuova scena trasporta lo spettatore in un’altra dimensione, misteriosi luoghi che generano domande che spesso non presentano risposte, il signor Fantini ad esempio si aggira per questo sontuoso palazzo/albergo e sembra vivere un viaggio nel tempo alla riscoperta di un passato dimenticato. Qui incontra il popolo del Reno, uomini e donne in abiti eleganti, donne di successo e signori dai folti baffi.
Chi sono queste persone? Qual è la loro storia? Da quanto tempo vivono quei luoghi? Domande e ancora domande, ma il film sembra non voler offrire nessuna risposta, ma solo presentare la vastità della popolazione che vive lungo il corso del piccolo Reno italiano.
Il film evoca momenti e situazioni differenti, si passa dalle scene più leggere e comiche delle terme all’intensa poesia intrisa di mistero tra luci e ombre del palazzo dove il signor Fantini alloggerà per una notte prima di ripartire per Firenze. Il ritmo dell’Oro del Reno è lento, forse a volte anche troppo.
Le immagini presentate sono come fotografie in movimento, molto interessanti ma queste scene che evocano quadri mitologici o racconti antichi fanno perdere un po’ il senso unitario del film, rendendo la visione tortuosa e difficile seppure molto interessante.
C’è sempre spazio per citare il mito, come nella scena degli uomini che fanno il bagno nel fiume, in quel momento il narratore cita Narciso. Un susseguirsi insomma di scene che raccontano storie diverse, ci sono bambini, uomini, donne, persone di ogni ceto sociale ma unite da un singolo fiume.
Il popolo del sole e i cercatori d’oro
Uno degli incontri più significativi è con il popolo del sole, ovvero un gruppo di persone che si incontrano spesso per prendere il sole tutto l’anno, godersi la vita, la bella stagione e il semplice stare insieme, mangiando anguria o giocando a carte. Una tribù di bagnanti senza regole che vivono il momento presente, senza annoiarsi mai.
L’oro del Reno non può rinunciare alla ricerca dell’oro, infatti viene evocata la leggenda di questi uomini che di notte con delle luci vanno alla ricerca dell’oro nascosto nel fiume, chissà se riusciranno trovare qualcosa?
Il film è costellato di riflessioni, spesso vere e proprie meditazioni sul senso della vita.
Non mancano esperienze nel mondo sotterraneo, dove abitano solo il buio e una tetra atmosfera che genera paura e crea una tensione da film horror. Il narratore si trova nei tunnel sotto la città e guidato da un lavoratore che vive quei luoghi angusti esplora il sacro (ed il profondo) di un altro mondo, dove apparizioni di curiosi personaggi sono come fantasmi, una sorta di follia vivida che evoca il celebre paese delle meraviglie di Alice.
La tradizione: un ricordo lontano
Tra i campi e la pianura c’è anche la riscoperta di una tradizione antica, con l’incontro delle popolazioni autoctone della regione. Qui ci sono delle persone che mangiano insieme, stanno facendo un pic-nic e nel mentre cantano canzoni popolari, il popolo del Reno è anche e soprattutto questo.
Naturalmente c’è posto anche per il passato ed in particolare per i tragici eventi legati ai disastri naturali. Un campanile è tutto ciò che resta dopo l’alluvione e la distruzione del borgo di Durazzo. Viene ricordato come “il borgo scomparso”, un vero e proprio luogo fantasma. L’evento risale al 1823 e successive alluvioni che continuano a spazzare del tutto il borgo nel corso del Novecento.
Il film rievoca il disastro con una sorta di “rievocazione storica” in costume degli eventi, la protagonista di questa sequenza è una giovane ragazza in abito da sposa che rema su una zattera (ovvero un letto), con lei sua sorella. Sono profughi, pochi abitanti sopravvissuti e costretti a restare sul fiume senza una casa, senza nessuna dimora. Ci sono solo macerie, un cimitero galleggiante.
“A me il fiume non mi ferma mica” dice la giovane ragazza, lei spera di navigare e ritrovare il borgo di Durazzo, la chiesa e il suo sposo. Questo documentario ricco di finzione è anche un modo per far conoscere la storia di una parte dell’Italia, una storia forse dimenticata ma che merita di essere celebrata.
Nel finale del film si alza una nebbia nella foresta e altri personaggi popolano la storia, tutti insieme sono alla ricerca di una persona scomparsa. L’onda di mistero continua fino alla fine, quando poi ci sarà uno sviluppo inaspettato.
In conclusione
Il film infine si rivela un riflessione intesa di una regione, non solo un omaggio al Reno, ma un segno di rispetto per tutti coloro che abitano i luoghi circostanti. Il lavoro di Lorenzo Pullega è profondo, ricco di idee interessanti e racconti di vita. L’Oro del Reno è un film aulico, comico, triste, una narrazione appassionante che attraversa i genere del cinema e propone una raccolta di spaccati di diverse vite e diversi luoghi.
Note positive
- Racconto originale e poetico
- Fotografia
- Personaggi
Note negative
- Una leggera lentezza
- Troppe domande e poche risposte
- Un senso di confusione
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Regia |
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Fotografia |
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Sceneggiatura |
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Colonna sonora e sonoro |
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Interpretazione |
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Emozione |
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SUMMARY
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3.8
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