Il 20 settembre 2025, ha preso ufficialmente il via la ventunesima edizione del Lucca Film Festival, con il primo incontro pubblico dedicato al regista e sceneggiatore Pietro Marcello, ospite d’onore della manifestazione. Il festival, diretto da Nicola Borrelli e sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, si conferma anche quest’anno come uno degli appuntamenti culturali più rilevanti del panorama cinematografico italiano, capace di coniugare ricerca autoriale, formazione e dialogo con il pubblico.
Marcello ha presentato il suo nuovo lavoro, Duse, in un pomeriggio speciale realizzato in collaborazione con PiperFilm. Il film ha già avuto la sua première ufficiale alla Mostra del Cinema di Venezia, ma la proiezione lucchese anticipa la sua uscita nelle sale italiane prevista per il 18 settembre 2025, offrendo al pubblico del festival un’occasione privilegiata per vederlo in anteprima nazionale. Interpretato da Valeria Bruni Tedeschi, Duse racconta gli ultimi anni della leggendaria attrice Eleonora Duse, attraverso un punto di vista inedito: quello della figlia. Il film, scritto da Marcello insieme a Letizia Russo e Guido Silei, si avvale di una squadra tecnica di alto profilo, tra cui Marco Graziaplena alla fotografia, Fabrizio Federico e Cristiano Travaglioli al montaggio, e le musiche originali di Marco Messina, Sacha Ricci e Fabrizio Elvetico. La scenografia è firmata da Gaspare De Pascali, i costumi da Ursula Patzak, e il casting da Davide Zurolo. Duse è una produzione Palomar (a Mediawan company), Avventurosa con Rai Cinema e PiperFilm, in co-produzione con Ad Vitam Films.

Durante l’incontro, Pietro Marcello ha dialogato con il pubblico, rispondendo a numerose domande che hanno toccato aspetti del suo processo creativo, il lavoro di scrittura condivisa, la scelta del punto di vista narrativo e il rapporto con la figura di Eleonora Duse.
La musica elettronica contemporanea è stata molto azzeccata in alcune scene. Era già prevista in sceneggiatura? E la scena in cui Valeria Bruni Tedeschi fa le corna alla tomba è stata improvvisata o scritta?
Le musiche nei miei film hanno sempre avuto una base di musica elettronica mescolata alla composizione classica. La parte classica è ispirata a Marin Piero, un grande compositore del Novecento. Per la musica elettronica, è un rapporto di spirito e fantascienza, una teologia che mi interessa molto. Ho sempre utilizzato l’elettronica in connessione con la classica, anche in altri film. Quanto alla scena delle corna, ogni giorno filmare con Valeria era un’epifania. Lei ama l’imprevisto, e anch’io. Il nostro aiuto regista, Ciro Spognardi, ci lasciava sempre tempo per improvvisare. Quelle scene le inventavamo insieme, perché avevo bisogno di una figura viva, e Valeria ha questa quintessenza, questo talento straordinario di vivere in scena. Il film parla di teatro, ma il teatro è sempre in conflitto con il cinema. Ho portato personaggi teatrali nel cinema, con i tempi del cinema.
Quanto conta, percentualmente, lo spazio che si prende il regista, quello che si prende l’attore e quello della sceneggiatura, nel creare ciò che vediamo sullo schermo?
Credo che la parte più mediana sia la sceneggiatura. Nella storia del cinema ci sono sceneggiature bellissime che non sono diventate grandi film, e viceversa. Pensate a Stalker di Tarkovskij: se leggi quella sceneggiatura, non ci capisci niente, ma è uno dei film più grandi della storia del cinema. Dipende da come viene trasposta. La sceneggiatura resta un’opera incompleta, perché deve essere trasposta cinematograficamente. Nel caso della scena in cui la Duse legge ai nipoti, lì si fonde arte e vita. Valeria Bruni Tedeschi viveva il film come se fosse l’ultimo. Era profondamente posseduta dal fare quello che faceva. E poi arriva Enrichetta, che rappresenta l’ordine, e non riesce a capire questa esigenza, questa necessità
Quando si inizia un film, si parte dalla scrittura. Ma è l’approccio del regista che fa davvero la differenza: come immagina il film mentre lo scrive e lo visualizza. Mi è piaciuto molto che tu abbia iniziato con i soldatini, e poi ci porti in un’Italia raccontata attraverso immagini d’archivio, che sembrano quasi scenografie. Il repertorio è molto curato, e sei sempre vicinissimo agli attori, con tanti primi piani. Come hai pensato tutto questo?
Allora, i soldatini rappresentano la parte più economica del film. Li ho realizzati in una casetta insieme al direttore della fotografia e allo scenografo, Gaspare De Pascali. Erano piccoli soldatini d’epoca che avevo comprato a Parigi: tutti rotti, con teste, gambe amputate… Erano residui del tempo, trovati in un mercatino. Ne avevamo tanti, e con quelli abbiamo costruito un piccolo set, girando in modo molto domestico, con della pellicola. E vi va Dio a fare tutti i film così.
Spero di riutilizzare quel set anche in altri lavori. La qualità di quelle immagini è molto bella, perché sembra davvero di vedere qualcosa che appartiene a quell’epoca. Il film è girato in pellicola. Gli altri film li considero un po’ come i bizantini, perché prima o poi la pellicola scomparirà. È un privilegio poter girare in pellicola: non è solo una posizione contraria al digitale, è proprio un altro tempo del cinema. Mi piace il processo, l’aspetto alchemico dell’attesa. Non posso vedere subito quello che ho girato: devo aspettare lo sviluppo. Con il digitale invece si gira tutto, subito, e non si aspetta mai. Mi piace questo tempo della pellicola, e finché potrò, continuerò a usarla. Ma non sono contrario al digitale: anche con un telefonino si possono realizzare film bellissimi.
Per scoprire tutte le dichiarazioni e gli interventi del regista, è possibile guardare il video completo dell’incontro:
Il Lucca Film Festival 2025 prosegue con un ricco programma di proiezioni, masterclass, incontri e laboratori. Tra le iniziative più attese, il corso gratuito di sceneggiatura “Scrivere Cinema”, rivolto a giovani autori e autrici dai 16 anni in su. Le iscrizioni sono aperte fino al 26 agosto e tutte le informazioni sono disponibili sul sito ufficiale: luccafilmfestival.it.