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Maldoror
Titolo originale: Maldoror
Anno: 2024
Genere: Drammatico, Thriller
Casa di produzione: Frakas Productions, The Jokers Films
Distribuzione italiana: –
Durata: 155 minuti
Regia: Fabrice Du Welz
Sceneggiatura: Domenico La Porta, Fabrice Du Welz
Fotografia: Manu Dacosse
Montaggio: Nico Leunen
Musiche: Vincent Cahay
Attori: Anthony Bajon, Alba Gaïa Bellugi, Alexis Manenti, Sergi López, Laurent Lucas, David Murgia, Béatrice Dalle, Lubna Azabal, Jackie Berroyer, Mélanie Doutey, Félix Maritaud
Trailer di “Maldoror”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Biennale di Venezia, Settembre 2024. Il Lido è salpato verso l’ennesima celebrazione cinematografica, e tra le perle presentate fuori concorso spunta un nome che ai cinefili più attenti non è affatto nuovo: Fabrice du Welz. Il regista belga, una firma riconoscibile per un cinema spesso viscerale, ai limiti del grottesco e intriso di una cupa disperazione, torna con “Maldoror”, un’opera che segna un’interessante evoluzione nel suo percorso. Qui, du Welz si misura con un thriller psicologico d’azione, più accessibile forse, ma non per questo meno incisivo nel sondare le profondità del male umano e le zone d’ombra in cui la giustizia stenta a farsi strada. È un film che ti afferra e ti trascina in un abisso, dove la ricerca della verità può condurre alla follia.
Trama di “Maldoror”
Maldoror ci precipita in un Belgio ancora ferito dagli echi di un passato recente e doloroso, prendendo liberamente ispirazione dallo sconvolgente scandalo Dutroux, che negli anni ’90 scosse le fondamenta di una nazione. Il protagonista è Paul Chartier (interpretato da Anthony Bajon), una giovane recluta della polizia, animo impulsivo e un senso di giustizia che rasenta l’ossessione. Quando la scomparsa di due giovani getta un’ombra sinistra sulla comunità, Chartier si ritrova assegnato a Maldoror, un’unità segreta e controversa con il compito di monitorare un pericoloso maniaco sessuale. Ma di fronte ai limiti della legge, alla farraginosità burocratica e all’incompetenza istituzionale che sembra frustrare ogni tentativo di indagine, Paul inizia a sentire un fuoco interiore divampare. Questa frustrazione si trasforma rapidamente in una furia cieca: decide di abbandonare le vie convenzionali e intraprendere una caccia solitaria e implacabile per catturare i colpevoli. La sua sete di giustizia lo spinge oltre ogni confine di legalità, in un vortice di scelte moralmente ambigue che mettono a dura prova non solo la sua sanità mentale, ma l’intero suo codice etico. Il film diventa così un viaggio inquietante nelle pieghe più oscure dell’animo umano, dove il desiderio di vendetta si mescola alla disperazione e la ricerca della verità si confonde pericolosamente con la follia.
Recensione di “Maldoror”
La prima cosa che colpisce in Maldoror è l’impressionante prova di Anthony Bajon. La sua performance nel ruolo di Paul Chartier è il motore emotivo che traina l’intera pellicola. Bajon, con una credibilità disarmante, riesce a mantenere la nostra empatia per il suo personaggio, anche quando quest’ultimo si spinge in territori moralmente ambigui nella sua spasmodica ricerca di giustizia. La sua trasformazione da poliziotto zelante a vendicatore quasi maniacale è resa con una calibrazione tale da trasmettere ogni singola sfumatura della sua frustrazione e della sua discesa nell’abisso dell’ossessione. Accanto a lui, un cast di supporto di solida caratura, con nomi come Alba Gaïa Bellugi, Alexis Manenti, Sergi López, Laurent Lucas e Béatrice Dalle, contribuisce a tessere una rete di personaggi complessi, ciascuno con le proprie ombre e motivazioni.
In questa pellicola si percepisce la mano di Fabrice du Welz, un regista che con “Maldoror” opera un cambio di registro spettacolare. Se eravamo abituati ai suoi incubi rurali di “Calvaire”, alle atmosfere asfissianti e allucinate di “Vinyan”, o alla brutalità viscerale di “Alleluia”, qui du Welz incanala la sua cifra stilistica in un thriller più strutturato. Non è la violenza gratuita o il grottesco a guidare la narrazione, ma una tensione psicologica palpabile. La sua capacità di creare atmosfere opprimenti rimane intatta, ma è al servizio di una storia ancorata alla realtà, pur filtrandola attraverso una lente di genere. Il suo intento è chiaro: scavare nella natura del male e nell’insostenibile peso della giustizia quando le istituzioni falliscono. Il film, presentato fuori concorso, ha un respiro più ampio, più “mainstream” forse, ma ciò non ne scalfisce la forza. La regia è controllata, precisa nel costruire la suspense, anche se la lunga durata (155 minuti) può, in alcuni passaggi, rallentare il ritmo, concedendosi qualche pausa di troppo. Tuttavia, du Welz dimostra ancora una volta la sua maestria nel portare lo spettatore al limite, anche senza ricorrere ai suoi consueti eccessi visivi.
Le parole del regista riportano tutta l’attenzione a questa pellicola: “Quando ho iniziato a parlare di fare un film “ispirato” allo scandalo Dutroux, ho dovuto sopportare molta ostilità. Ho dovuto trovare l’angolazione giusta, la lente giusta, la distanza giusta, senza mai ferire le vittime. Cosa più importante, ho capito che era fondamentale ambientare la storia a Charleroi, dove le persone sono ancora colpite dallo scandalo. È una città industriale, che era molto ricca nell’Ottocento e che da allora è stata duramente colpita dal declino sociale ed economico. Essendo io stessa residente a Bruxelles, proveniente da una famiglia dell’alta borghesia, non avevo idea, mentre cercavo location a Charleroi, che la città fosse un personaggio a sé stante. Era fondamentale avvicinare con la massima dignità le persone della classe operaia che vi abitano e le persone di origine siciliana che lavoravano nelle miniere”.
La colonna sonora è originale ed è composta da Vincent Cahay e si rivela come elemento cruciale, tessendo una tela sonora che amplifica il dramma. I motivi fischiettati, ricorrenti e quasi ossessivi, accompagnano il viaggio tormentato di Paul, evocando sensazioni di desiderio, liberazione e persino di una strana redenzione. La musica non sovrasta mai le immagini, ma le avvolge, intensificando il senso di inquietudine. La scenografia, ci trasporta senza esitazioni nel Belgio degli anni ’90. L’estetica vintage è riprodotta con una cura maniacale per i dettagli, che non è mai fine a sé stessa. Un esempio lampante è la parete nell’appartamento di Chartier, una sorta di altare all’ossessione: foto di ragazze rapite, ritagli di giornale, mappe dei sospettati. Questi elementi non solo rafforzano il senso di disperazione e la psiche tormentata del protagonista, ma contribuiscono a costruire un’atmosfera tesa e quasi claustrofobica, riflettendo la sua inesorabile discesa nell’abisso emotivo.
In conclusione
Maldoror si configura come un’opera avvincente che, pur distaccandosi in parte dalle precedenti incursioni di Fabrice du Welz nell’horror più puro, dimostra la capacità del regista di affrontare tematiche complesse e socialmente rilevanti con una nuova prospettiva, offrendo uno sguardo crudo e intenso sulla ricerca di giustizia in un mondo che sembra averla smarrita. È un film che ti resta dentro, non per la violenza esplicita, ma per la sua capacità di scavare nelle paure più recondite.
Note positive
- L’Interpretazione di Anthony Bajon: La sua performance è il cuore pulsante del film, capace di veicolare tutta la complessità e l’ossessione del suo personaggio.
- Le scelte stilistiche della regia che dimostra di saper tessere un thriller avvincente, mantenendo lo spettatore incollato alla poltrona, abilmente dosando suspense e dramma.
- L’Approccio Profondo al Tema del Male: Il film va oltre la semplice narrazione di un fatto di cronaca, esplorando le reazioni umane estreme di fronte all’ingiustizia e la sottile linea che separa la ricerca della verità dalla follia.
Note negative
- La Durata Sostenuta: I 155 minuti del film, pur essendo funzionali allo sviluppo narrativo, possono talvolta portare a qualche fase di stanca, richiedendo una certa resistenza allo spettatore.
- La “Conversione” al Mainstream: Per i puristi del cinema più radicale e disturbante di Du Welz, questo approccio più accessibile potrebbe risultare meno “scioccante” o innovativo rispetto a opere come “Calvaire” o “Alleluia”.
- La delicatezza Tematica: La vicinanza a fatti reali estremamente delicati impone una gestione molto attenta della narrazione, e sebbene il film sia ispirato liberamente, l’argomento potrebbe risultare particolarmente sensibile o disturbante per alcuni spettatori.
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| Sceneggiatura |
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4.1
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