
I contenuti dell'articolo:
Orfeo
Titolo originale: Orfeo
Anno: 2025
Nazione: Italia
Genere: animazione, fantastico
Casa di produzione: Fantasmagoria
Distribuzione italiana: Double Line
Durata: 74 minuti
Regia: Virgilio Villoresi
Sceneggiatura: Virgilio Villoresi, Alberto Fornari
Fotografia: Marco De Pasquale
Montaggio: Virgilio Villoresi
Musiche: Angelo Trabace
Attori: Luca Vergoni, Giulia Maenza, Vinicio Marchioni, Aomi Muyock
Trailer di “Orfeo”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Virgilio Villoresi, cineasta toscano con una formazione che spazia dalla danza classica al pianoforte fino al teatro d’avanguardia, ha iniziato il suo percorso nel mondo del cinema nel 2005 con Frigidaire, cortometraggio realizzato attraverso la tecnica dello stop-motion e del collage. Quattro anni più tardi ha firmato J, opera che mescola live action e animazione, presentata a Miami Art Basel e al New York International Children’s Festival. Da quel momento la sua carriera si è sviluppata tra corti d’autore, spot e videoclip per artisti come Vinicio Capossela, John Mayer, Riva Starr, Blonde Redhead e per realtà istituzionali e commerciali quali RAI, Valentino, Smythson, Bulgari, Fendi, Moncler, Fornasetti, Emergency e ONU. Le sue produzioni hanno ottenuto riconoscimenti in festival internazionali, tra cui Cartoons on the Bay, New York Film Festival e Amsterdam Film Festival, oltre alla nomination al “Young Director Award” ai Cannes Lions del 2014. Nel 2016 gli sono state dedicate due retrospettive di rilievo: una al Festival International d’Animation d’Annecy e l’altra alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. La sua opera completa è stata raccolta nell’edizione DVD Fantasmagorie di Rarovideo, curata da Bruno Di Marino con testo critico di Giona A. Nazzaro.
Nel 2025 Villoresi, vent anni dopo il suo primo cortometraggio, debutta nel lungometraggio con Orfeo, un film ibrido che unisce stop motion e recitazione. La sceneggiatura è scritta insieme a Marco Missiroli, autore nato a Rimini e trasferitosi a Milano, vincitore del Premio Campiello con il romanzo d’esordio Senza coda (2005), del Premio Super Mondello con Atti osceni in luogo privato (2015) e del Premio Strega Giovani nel 2019 con Fedeltà, opera poi adattata in una serie originale Netflix. Alla scrittura partecipa anche Alberto Fornari, al suo primo lavoro per il cinema. La pellicola è l’adattamento cinematografico di Poema a fumetti (1969) di Dino Buzzati, opera dello scrittore e pittore italiano considerata tra i primi graphic novel realizzati in Italia. In questo fumetto, Buzzati rielabora la vicenda di Orfeo ed Euridice trasponendola nella Milano degli anni Sessanta, fondendo mito classico e contemporaneità urbana.
La pellicola ha avuto la sua première il 1 settembre 2025 alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, fuori concorso, dove ha ricevuto il riconoscimento come Film della Critica. Successivamente è stata presentata al Lucca Comics & Games 2025 e distribuita nei cinema italiani dal 27 novembre grazie a Double Line. Nei ruoli principali compaiono Luca Vergoni, già interprete in Aldebaran (2023) e La scuola cattolica (2021), e Giulia Maenza, protagonista in Breve storia d’amore (2025), The Bad Guy (2022) e Il filo invisibile (2022). Orfeo segna così un passaggio importante nella carriera di Villoresi, che porta nel lungometraggio la sua esperienza maturata tra sperimentazione visiva, animazione e videoclip, intrecciando linguaggi diversi in una narrazione che unisce innovazione tecnica e attenzione autoriale.
Vuoi aggiunger il titolo alla tua collezione Home video?
Trama di “Orfeo”
Fin da bambino, Orfeo aveva alimentato la propria immaginazione inventando racconti e visioni attorno a una villa abbandonata situata di fronte alla sua casa, luogo avvolto da leggende e misteri che ne accendevano la sua fantasia. Cresciuto, diventa un pianista solitario e visionario, abituato a esibirsi al Polypus. È proprio lì che, in una sera come tante, incrocia lo sguardo di Eura, ballerina di danza classica: tra i due nasce un amore improvviso, intenso e assoluto, capace di travolgere le loro vite. Tuttavia, Eura custodisce un terribile segreto al proprio amato, una malattia che ben presto la porterà via, una malattia di cui Orfeo non verrà mai a conoscenza, almeno fino a quando la giovane ballerina si spegne, morendo.
Orfeo sofferente per quella perdita per lui inaccettabile, ricerca costantemente la donna amata, nella speranza che quella morte non sia altro che un brutto sogno. Una notte, dalla finestra del suo appartamento, la vede entrare, come un fantasma, attraverso una piccola porta della villa abbandonata che aveva popolato i suoi sogni da bambino. Spinto dal desiderio di ritrovarla decide di seguirla. Sulla soglia dell’ingresso s’imbatte in un enigmatico personaggio, l’Uomo Verde, che sembra conoscere i misteri di quella dimora, mettendolo in guardi sui pericoli che corre attraversando quella prima porta.
Intenzionato a ricongiungersi con la propria amata, Orfeo, varca la soglia della villa, ritrovandosi catapultato in un aldilà visionario e perturbante, un mondo sospeso tra immaginazione e incubo, popolato da creature insolite e da scheletri in uniforme militare. In questo universo surreale incontra tre teste fantasmagoriche e, in particolare, la Giacca, il diavolo custode, figura ambigua che gli svela il destino di Eura: la giovane si trova alla stazione, pronta a partire per sempre, lasciando Orfeo di fronte alla scelta di inseguirla oltre ogni limite o accettare la sua perdita definitiva.
Recensione di “Orfeo”
Il cinema con la C maiuscola. Orfeo di Villoresi è una pellicola che porta una ventata di aria fresca all’interno della cinematografia italiana del 2025, spesso ancorata a linguaggi stantii, dove registi e sceneggiatori preferiscono rimanere saldati nella loro comfort zone, limitandosi a svolgere il “compitino” senza sperimentare, senza creare qualcosa di realmente nuovo, capace di spiazzare lo spettatore non solo sul piano sceneggiativo ma persino su quello visivo. In fin dei conti, la settima arte mette nelle mani dei cineasti del XXI secolo un’ampia gamma di strumenti visivi, permettendo di scegliere a piacimento tra le numerose tecniche cinematografiche ereditate dal cinema artigianale — dal muto ai film degli anni ’50-’70 — o da quelle digitali, con l’uso onnipresente dei computer e l’invasione della CGI. Strumentazioni che hanno cambiato per sempre il modo di intendere il cinema: basti pensare ad Avatar di James Cameron, pellicola che senza l’evoluzione digitale non avrebbe mai visto la luce, o a Il Signore degli anelli, con il personaggio di Gollum reso possibile dalle tecniche digitali allora emergenti.
Diversamente, e probabilmente in maniera opposta rispetto a quanto realizzato da James Cameron nella sua filmografia, Villoresi ha saputo creare, con questo suo primo lungometraggio, qualcosa di nuovo, qualcosa di mai visto nel panorama cinematografico italiano mainstream. Con Orfeo, il cineasta toscano dà vita a una pellicola profondamente visionaria, capace di generare un’atmosfera visiva onirica e poetica, sfruttando la storia del cinema stesso e rielaborando, secondo il proprio gusto, elementi provenienti dal cinema muto d’avanguardia. Si parte dal cinema tedesco espressionista, con la citazione di Nosferatu, eine Symphonie des Grauens (1922) di Murnau — presente anche nel fumetto originale di Buzzati — fino al cinema astratto di Viking Eggeling (1923).
Evidenti sono anche i richiami scenografici e di costume al Cinema Futurista, in particolare a Thaïs (1917) di Bragaglia e Cassano, evocato visivamente nella sequenza in cui il protagonista viene tentato da donne infernali. Guardando la pellicola si nota chiaramente come il film operi una serie di citazioni dal cinema che fu, passando dal visionario sperimentale Jan Švankmajer fino al cinema d’animazione dei primordi, con uno sguardo rivolto — seppur minimo — anche alla Trilogia orfica, ciclo di film surrealisti di Jean Cocteau incentrato proprio sulla figura di Orfeo. A completare questo mosaico citazionista, troviamo la riproposizione della colonna sonora di Quando l’amore è sensualità (1973), film erotico musicato da Ennio Morricone, qui rielaborata e restituita come tessuto sonoro della pellicola.
Orfeo di Villoresi: artigianalità e visione onirica
Pur essendo presenti nel lungometraggio svariate citazioni, Orfeo di Villoresi non risulta un mero accozzo di rimandi intellettuali per cinefili. Al contrario, il cineasta si rifà in maniera evidente a un certo tipo di cinema avanguardistico tedesco, francese e italiano, con alcuni accenni anche al cinema di genere nostrano degli anni ’50 e ’60, ma rilegge gli elementi tipici di quel modo d’intendere e di fare cinema sotto la propria visione personale, andando infine a creare qualcosa di nuovo: un’opera non eccessivamente ancorata al passato, bensì proiettata verso il futuro.
Villoresi riprende suggestioni sia dal mondo del cinema che da quello architettonico e del design, oltre — ovviamente — dalle tavole illustrate di Buzzati, che rivivono nel film, per dar vita a una visione autoriale segnata dall’artigianalità, creando dunque qualcosa di mai visto. Anche sul piano realizzativo ci troviamo di fronte a un prodotto audiovisivo che richiama il modo di fare cinema del passato, quando le grandi troupe realizzavano i loro film entro i teatri di posa di Cinecittà. Qui Villoresi rifiuta le riprese in esterni, prediligendo la creazione del film all’interno di un teatro di posa, dove può dar libero sfogo al suo estro creativo, supportato da scenografi e costumisti impegnati in un notevole lavoro visivo.
Tutto ciò che vediamo nel film è costruito appositamente per il film stesso, al fine di portare sullo schermo esattamente ciò che il cineasta intendeva trasmettere. Questa scelta ha consentito a Villoresi di creare un’opera visivamente potente, grazie alla possibilità di controllare ogni singolo elemento presente sul set. I personaggi si muovono così entro un universo che non appare realistico ma onirico: un onirismo mai finto, mai inverosimile, poiché la bravura registica del cineasta consiste proprio nel dar vita a un prodotto audiovisivo coeso, che funziona perfettamente entro le sue peculiarità. Persino il passaggio dalla stop-motion al cinema dal vero non appare straniante o fuori luogo, ma coerente. Anche la sequenza realizzata in found-footage, con l’uso di materiali d’archivio, non risulta fuori posto a livello estetico, bensì ben amalgamata nello stile del film. Orfeo riesce così a creare un mondo che funziona, un mondo dove le battute dei protagonisti e i loro atteggiamenti diventano autentici, mentre in un contesto realistico le stesse battute sarebbero potute apparire fuori luogo e poco verosimili.
Ho voluto realizzarlo pensando al cinema come a un luogo dei sogni, in cui lo spettatore inizi un viaggio onirico. Rispetto a una narrazione tradizionale, ho scelto un ritmo che seguisse la logica instabile del sogno. Ho girato in pellicola 16mm, in studio, con scenografie costruite a mano e tecniche legate a illusioni ottiche. La scenografia di Orfeo nasce da un’intenzione chiara: restituire un mondo che non imita il reale, ma lo reinventa attraverso una lente artigianale, evocativa, profondamente cinematografica. Ogni ambiente del film è stato concepito e costruito all’interno dello studio Fantasmagoria, a Milano, trasformato per l’occasione in un vero e proprio teatro di posa artigianale. Una particolare attenzione è stata data alla coesistenza tra elementi animati e attori in carne e ossa all’interno dello stesso spazio scenico. Per le animazioni ho usato stop-motion, animando tutte le creature con una Bolex 16mm. La stop-motion è stata integrata direttamente sul set: i personaggi animati si muovono all’interno delle scenografie costruite per il live action, evitando qualsiasi effetto post-prodotto. In una sequenza di danza ho impiegato il found-footage: vecchi filmati di repertorio in Super8 di mia madre che balla, ricostruendo maniacalmente in studio la scena originale. Attraverso un gioco di montaggio, ho fuso le coreografie d’epoca con quelle interpretate da una compagnia di danza e dall’attrice, creando una scena fluida, come se si svolgesse in uno stesso spazio. È un omaggio intimo a mia madre, che è stata una ballerina.
Dichiarazioni del regista
La fotografia e le divergenze da Poema a fumetti
La fotografia di Orfeo si caratterizza per una resa cromatica volutamente “sporca”, con un evidente rumore visivo che attraversa lo schermo. Questa scelta registica non è casuale: contribuisce a creare un effetto retrò che avvicina la pellicola a un immaginario analogico, richiamando la matericità del cinema artigianale e conferendo alla visione un senso di imperfezione poetica. Il film si configura come un’opera di genere ibrida, capace di fondere elementi grotteschi e romantici in una favola drammatica che alterna dolcezza e inquietudine. In questo contesto, la voce narrante del protagonista assume un ruolo centrale: introduce lo spettatore alla vicenda e ne scandisce i passaggi emotivi. Tuttavia, la sua assenza prolungata nella parte centrale del film, quando Orfeo si addentra nell’aldilà, crea un vuoto narrativo che accentua la sensazione di smarrimento e richiama, per analogia, la discesa nei gironi danteschi, dove la guida sembra mancare e il protagonista deve confrontarsi da solo con l’ignoto.
Il sonoro amplifica questa dimensione drammaturgica. La traccia acustica è volutamente sporca, costruita su rumori costanti che restituiscono un senso di realtà imperfetta e vissuta. A questa base si affianca la colonna musicale composta da Angelo Trabace, che realizza una partitura raffinata: il pianoforte, con la sua melodia dolce e sensibile, diventa il contrappunto emotivo alla vicenda, mentre la fisarmonica, inserita in momenti selezionati, aggiunge un tono realistico e popolare, radicando la storia in un contesto quotidiano e tangibile.
Dal punto di vista delle fonti, Orfeo si ispira a Poema a fumetti di Dino Buzzati, ma non ne riproduce fedelmente la trama. Villoresi seleziona alcuni elementi iconici del fumetto – la casa “stregata”, la giacca, l’architettura della città – e li rielabora visivamente, conferendo loro un aspetto più vicino al genere fantastico. La differenza emerge soprattutto nei costumi: se Buzzati ricorreva spesso al nudo per sottolineare la fragilità e la sensualità dei personaggi, Villoresi preferisce abiti che accentuano la dimensione fiabesca e visionaria, con rimandi diretti al fumetto limitati alla giacca e all’abito di Eura sul treno.
Sul piano narrativo, la divergenza è ancora più evidente. Nel fumetto, il protagonista è un chitarrista di fama milanese, figura legata alla modernità urbana e al mondo dello spettacolo. Nel film, invece, Orfeo diventa un pianista solitario, scelta che conferisce maggiore forza poetica alla vicenda e che riflette il vissuto e la sensibilità del regista stesso. Questo spostamento di prospettiva trasforma il personaggio da icona pop metropolitana a figura intimista e visionaria, rendendo la sua ricerca di Eura un percorso esistenziale e artistico più vicino al mito originario.
In questo modo, Villoresi realizza un’opera prima solida e coerente, che dialoga con Buzzati senza limitarsi a trasporne la trama, ma reinterpretandola attraverso un linguaggio visivo e sonoro personale, capace di fondere sperimentazione, poesia e memoria cinematografica.
In conclusione
Orfeo di Villoresi si configura come un’opera prima sorprendente, capace di fondere artigianalità e visione onirica in un linguaggio personale e coerente. Pur attingendo a un vasto mosaico di citazioni il regista non si limita a un esercizio intellettuale, ma rielabora i riferimenti per costruire un mondo nuovo, sospeso tra sogno e memoria cinematografica. La scelta di girare in pellicola 16mm, in studio, con scenografie costruite a mano e animazioni integrate direttamente sul set, restituisce un immaginario analogico e poetico che si distingue nettamente dal mainstream italiano. Nonostante alcune imperfezioni narrative, come la voce narrante discontinua e alcuni passaggi leggermente forzati, Orfeo rimane un film solido e visionario, capace di dialogare con il passato e proiettarsi verso il futuro.
Note positive
- Regia artigianale e visivamente potente
- Atmosfera onirica e poetica ben costruita
- Universo narrativo
- Scenografia
- Colonna sonora
Note negative
- La voce narrante, se intesa come narratore della fiaba, non sarebbe dovuta scomparire nella parte centrale del film.
L’occhio del cineasta è un progetto libero e indipendente: nessuno ci impone cosa scrivere o come farlo, ma sono i singoli recensori a scegliere cosa e come trattarlo. Crediamo in una critica cinematografica sincera, appassionata e approfondita, lontana da logiche commerciali. Se apprezzi il nostro modo di raccontare il Cinema, aiutaci a far crescere questo spazio: con una piccola donazione mensile od occasionale, in questo modo puoi entrare a far parte della nostra comunità di sostenitori e contribuire concretamente alla qualità dei contenuti che trovi sul sito e sui nostri canali. Sostienici e diventa anche tu parte de L’occhio del cineasta!
| Regia |
|
| Fotografia |
|
| Sceneggiatura |
|
| Colonna sonora e sonoro |
|
| Interpretazione |
|
| Emozione |
|
|
SUMMARY
|
4.2
|

