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The Carter Effect
Titolo originale: The Carter Effect
Anno: 2017
Paese: Stati Uniti d’America, Canada
Genere: documentario
Produzione: Uninterrupted
Distribuzione: Toronto International Film Festival, Netflix
Durata: 60 min.
Regia: Sean Menard
Sceneggiatura: –
Fotografia: Tomasz Kurek
Montaggio: Sean Menard
Musiche: Tom Caffey
Attori: Vince Carter, Tracy McGrady, Steve Nash, David Stern, Drake
Prodotto dalla stella dei Los Angeles Lakers LeBron James insieme a Maverick Carter, Drake e Adel Future Nur, The Carter Effect è stato presentato al Toronto International Film Festival 2017. A dirigere e a curare il montaggio del documentario è Sean Menard, già autore di Fight Mom (2016) e The Perfect Storm: Story on the 1994 Montreal Expos (2015). Nominato nella categoria Miglior documentario al Cleveland International Film Festival 2018 (il vincitore è stato Love Means Zero di Jason Kohn), The Carter Effect è curato dal direttore della fotografia Tomasz Kurek, fedele collaboratore di Menard, e dal compositore Tom Caffey, recentemente protagonista nella serie Netflix The Last Dance (J. Hehir, 2020).
Trama di The Carter Effect
Nel 1998 Vince Carter è la nuova stella dei Toronto Raptors, una franchigia fondata nel ‘95 (insieme ai Vancouver Grizzlies) per espandere i confini della National Basket Association (NBA) in Canada. A Toronto, l’NBA non è acclamata come negli USA e i Toronto Maple Leafs (squadra della National Hockey League vincitrice di 13 Stanley Cup) detengono il primato di team più popolare. Nel contempo, i primi anni dei Raptors (ancora privi di Carter), nonostante alcune buone scelte al draft, non ottengono i risultati sperati, con un record di 16 vittorie e 66 sconfitte nella stagione 1997-1998. Ma dalla regular season successiva in città arriva proprio Vince, scelto al numero 5 della lotteria e promettente talento della futura NBA. Le sensazionali doti atletiche di Carter, già espresse durante il suo anno da rookie, attirano immediatamente sui Raptors l’attenzione dei media. 51 punti di Vince segnano il debutto televisivo dei Toronto sulla tv nazionale e l’anno successivo arrivano persino i playoff. Ora non c’è solo l’hockey in Canada. Le capacità di Vince Carter vengono riconosciute da un pubblico sempre più vasto. E l’NBA All-Star Weekend 2000 è soltanto in programma…
Vince Carter in The Carter Effect
Recensione di The Carter Effect
Rispetto alle strade narrative percorse dall’ottimo The Last Dance (J. Hehir, 2020) e dal recentissimo Tony Parker: The Final Shot (F. Bodin, 2021), Sean Menard decide d’intraprendere una via diversa, meno affine alla logica del documentario sportivo, ma al contempo potenzialmente ricca di spunti. The Carter Effect è infatti certamente incentrato sul cestista nato a Daytona Beach, vera icona degli anni Duemila, pur tuttavia affrontando svariati temi che riguardano l’espansione della NBA, l’affermazione del basket a Toronto, il rapporto con il marketing e la vita “fuori dal campo”. Del resto, quando Carter viene scelto dai Raptors in seguito ad uno scambio con Antawn Jamison (suo compagno al college), l’anno corrente è il 1998 e David Stern, allora commissioner della lega, è concentrato sulla programmazione della nuova fase dell’NBA. Scrivo “nuova fase” perché il ’98 coincide con l’ultimo anello vinto dai Chicago Bulls, ovvero quello straordinario ultimo ballo (citando Phil Jackson) di una dinastia irripetibile.
Vince Carter durante lo Slam Dunk Contest 2000 a Oakland. A sinistra è presente suo cugino Tracy McGrady
Poi, ovviamente, il 1998 coincide con il secondo ritiro di Michael Jordan, atleta simbolo dell’NBA che, concludendo la propria carriera (in seguito ci sarebbe stata l’esperienza con i Washington Wizards dal 2001 al 2003), cala il sipario su un’era sportiva. Un periodo che, ripensandoci meglio, corrisponde proprio a quel primo step, coordinato dall’abilissimo Stern, nell’incrementare l’attenzione mediatica sulla lega. Argomento, quest’ultimo, proprio alla base di The Carter Effect, poiché l’NBA (allora) non era come quella di oggi, ed è proprio grazie alle intuizioni del commissioner e soprattutto alle gesta d’incredibili giocatori (da Larry Bird a Magic Johnson, da Julius Erving a Michael Jordan, fino ad arrivare a Kobe Bryant e LeBron James), che la National Basket Association è divenuta così popolare.
Un fotogramma del documentario Vince Carter
Vince Carter si colloca proprio in tale sistema, non soltanto per le sue doti atletiche (allenate nei North Carolina Tar Heels, la stessa squadra di college di Jordan), ma anche per il suo impatto mediatico (e dilagante) nella città di Toronto. Perché se a Chicago, prima dell’arrivo di MJ, la gente preferiva seguire football americano, baseball e hockey, in Canada l’espansione della NBA era poco più che un azzardo. La National Hockey League (NHL) dominava incontrastata, e quel team di basket con un logo ispirato a Jurassic Park (S. Spielberg, 1993), non destava altro che commenti disinteressati. Ma poi arrivò Vince, quello soprannominato in seguito Vinsanity e Half Man, Half Amazing (idea di Shaquille O’Neal), e di colpo i Raptors diventarono un team attrattivo, non soltanto una squadra che condivideva mestamente lo SkyDome con i Toronto Blue Jays e i Toronto Argonauts.
Alcuni tifosi accorsi all’Air Canada Centre per vedere Vince Carter Il cestista DeMar DeRozan, ai Raptors fino al 2018, insieme a Drake
Riguardo a questo aspetto, il documentario di Sean Menard conquista le note più positive, comunicando allo spettatore quel (lento) progresso ispirato dalla stella di Daytona Beach a Toronto e al Canada stesso. Il basket, e l’NBA, assumono sempre più valore: la città diventa un nuovo polo della lega e i ragazzini cominciano ad imitare le straordinarie schiacciate di Carter. Tuttavia, se da un lato ciò viene affrontato da Menard con la necessaria autenticità, leitmotiv di documentari come The Last Dance; dall’altra, l’intenzione di produrre “qualcosa di diverso”, realizza degli eccessi autoreferenziali, avvicinando The Carter Effect a quelle “infiltrazioni” commerciali che, pur importanti in questo racconto, non permettono di sottolineare la vera essenza di Vinsanity. Che in fondo resta strettamente collegata al campo, e soprattutto allo Slam Dunk Contest del 2000, in cui Vince, totalizzando 98 punti in finale, realizzò qualcosa di (forse) irripetibile, contribuendo ad inaugurare una nuova era dell’NBA.
Un fotogramma di The Carter Effect
Note positive
- La prospettiva del documentario, incentrata anche su temi non strettamente sportivi
- Il racconto del cambiamento di Toronto, da città disinteressata all’NBA a incredibilmente empatica nei confronti dei Raptors (vincitori del campionato 2019)
- La scena in cui Vince torna a Toronto con la maglia dei Memphis Grizzlies
Note negative
- L’inserimento di numerosi temi e la durata limitata (60 min.) non approfondiscono alcune parti della storia di Vince Carter
- L’aspetto commerciale prodotto da “L’effetto Carter”, riduce, in alcune sequenze, l’autenticità tipica di un documentario