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The Dark Nightmare
Titolo originale: The Dark Nightmare
Anno: 2022
Nazione: Norvegia
Genere: Horror, Drammatico, Thriller
Casa di produzione: Nordisk Film Production, Handmade Films in Norwegian Woods
Distribuzione italiana: BIM Distribuzione
Durata: 100 minuti
Regia: Kjersti Helen Rasmussen
Sceneggiatura: Kjersti Helen Rasmussen
Fotografia: Oskar Dahlsbakken
Montaggio: Brynjar Lien Aune
Musiche: Sjur Aarthun
Attori: Eili Harboe (Mona), Herman Tømmeraas (Robby), Dennis Storhøi (Dr. Aksel Bruun), Gine Therese Grønner (Siren), Siri Black Ndiaye (Liv), Peter Førde (Martin)
Trailer di “The Dark Nightmare “
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Dopo essersi laureata alla Danish Film School nel 2002 e aver lavorato come sceneggiatrice, consulente creativa e regista in svariati cortometraggi, Kjersti Helen Rasmussen approda al lungometraggio nel 2022 con la sua opera prima: l’horror Marerittet, un film che vede protagonisti l’attore norvegese Herman Tømmeraas (Ninjababy, Ragnarok) e l’attrice Eili Harboe (Thelma, Succession, The Wave).
La pellicola norvegese è stata presentata in anteprima mondiale all’Austin Fantastic Fest nel 2022, per poi avere la sua prima europea al London Film Festival e in seguito approdare al Sitges Film Festival, il 6 ottobre 2022, dove ha partecipato come film in concorso.
Per quanto riguarda la distribuzione cinematografica, il lungometraggio è uscito nelle sale norvegesi il 17 febbraio 2023, mentre in Italia arriva con un certo ritardo, distribuito al cinema da Bim Distribution a partire dall’11 giugno 2025
Trama di “The Dark Nightmare “
Mona e Robby sono una giovane coppia dalla vita apparentemente perfetta, che ha appena acquistato la loro prima casa: un appartamento situato in una palazzina piuttosto squallida e malmessa. L’abitazione, acquistata a buon prezzo a causa di un decesso avvenuto in passato, necessita di un completo restauro — un lavoro di cui si occupa interamente Mona, poiché Robby trascorre le giornate interamente al lavoro.
Tuttavia, questo trasferimento e l’inizio della convivenza non hanno un effetto positivo sulla venticinquenne, che comincia a sentirsi schiacciata e sopraffatta, oltre che profondamente infelice. Non si sente realizzata, al contrario di Robby, soddisfatto della propria carriera e già proiettato verso il desiderio di avere figli.
Mona lavora incessantemente al restauro, ma dentro di sé cresce una sensazione di solitudine e angoscia, acuita dalla presenza opprimente dei vicini: personaggi inquietanti che urlano costantemente e il cui neonato non smette mai di piangere.
La situazione precipita quando Mona inizia a soffrire di disturbi del sonno: dopo poco tempo dal trasloco, la ragazza è tormentata da strani incubi e improvvisi episodi di sonnambulismo, che la rendono, a tratti, pericolosa anche per chi le sta accanto.
Ben presto, scoprirà di non essere l’unica ad aver vissuto questi disturbi in quell’appartamento, e forse non è neppure l’unica a essere stata segnata da quella palazzina.
Recensione di “The Dark Nightmare “
Una pellicola sicuramente intrigante sulla carta, grazie a un concept drammaturgico originale e affascinante: la rappresentazione, in chiave marcatamente orrorifica, del disturbo del sonno — un tema raramente affrontato nel panorama horror, tanto europeo quanto americano, se escludiamo la saga Nightmare.
Kjersti Helen Rasmussen, in The Dark Nightmare, sceglie di esplorare questa patologia clinica che colpisce milioni di persone nel mondo (in Italia, ad esempio, 13,4 milioni di individui soffrono di insonnia o altri disturbi del sonno, secondo i dati dell’Associazione Italiana Medicina del Sonno), tentando di bilanciare una narrazione a metà tra approccio scientifico — inserito nel racconto tramite la figura del Dr. Aksel Bruun — e suggestione mitologica, legata alla figura del Mara.
Amo utilizzare la scienza come mezzo per avvicinarmi all’incomprensibile, per indagare le regole invisibili che ci imponiamo. La paralisi del sonno, ad esempio, può generare allucinazioni vivide, in cui la persona percepisce ogni dettaglio dell’ambiente circostante, pur essendo completamente immobilizzata e incapace di parlare. La ricerca sul funzionamento del cervello ha compiuto enormi progressi, ma ancora non comprendiamo pienamente il significato dei sogni. E proprio questa zona d’ombra è il punto di partenza ideale per un horror in cui la paura più profonda proviene da dentro di noi. – Dichiarazione della regista
Purtroppo, la regista non riesce a mantenere un equilibrio convincente tra le due componenti, scivolando progressivamente in un disequilibrio drammaturgico dove l’elemento mitologico finisce per prendere il sopravvento. Ne risulta una trattazione solo superficiale dell’aspetto clinico del disturbo, togliendo spessore alla pellicola, che si riduce — in parte — a un classico horror soprannaturale, incapace di generare un’autentica tensione nello spettatore, non possedendo al suo interno scene significative connesse al gore.
La cineasta avrebbe potuto (e forse dovuto) indagare con maggiore forza la dimensione scientifica del disturbo del sonno, sfruttando al meglio, nei limiti del genere (non si tratta di un documentario), gli elementi legati alla neurologia e alla psicofisiologia del sonno. Temi come i sogni lucidi, la fase NREM e la fase REM (Rapid Eye Movement) vengono soltanto accennati, privi di un reale approfondimento, e inseriti nella narrazione in un modo che risulta quasi decorativo. Alla fine dei conti, l’aspetto scientifico risulta del tutto marginale e quasi inutile all’interno della narrazione. The Dark Nightmare diventa così, in sostanza, la storia di una donna che combatte contro una presenza demoniaca con le sembianze del proprio compagno — una dinamica carica di potenziale simbolico, ma che, qui, perde forza a causa della sua esecuzione parziale e poco stratificata, seppur interessante.
La regista e sceneggiatrice esordisce nel lungometraggio con un horror psicologico dal tono fortemente intimista, realizzando una pellicola che, tanto per tematiche quanto per ambientazione, richiama alla mente Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York (1998), senza però raggiungerne la forza drammaturgica tipica del capolavoro indiscusso di Roman Polański. Al centro della vicenda di The Dark Nightmare troviamo il personaggio di Mora, una giovane donna che affronta un periodo profondamente delicato e caotico della propria esistenza: una fase di transizione, quasi un rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Il suo compagno, con cui ha appena iniziato a convivere, la mette davanti al desiderio di avere presto un figlio e formare una famiglia.
In questo senso, la pellicola — attraverso un racconto incentrato su incubi e disturbi del sonno — costruisce una narrazione che riflette sul senso della maternità, ponendo al centro la dimensione onirica come proiezione distorta dell’inconscio. Il sogno, qui, si trasforma in espansione oscura della psiche della protagonista, che nei suoi incubi riversa paure e tensioni irrisolte, fino al punto da trasfigurare il proprio compagno in un’entità maligna e inquietante.
Si dice che, attraverso i sogni, elaboriamo traumi e paure, e che essi cerchino di dirci qualcosa di importante su noi stessi. Gli incubi, in particolare, possono essere interpretati come campanelli d’allarme, messaggi simbolici che ci costringono a confrontarci con ciò che evitiamo di affrontare. Molti credono che gli incubi esistano non per spaventarci, ma per aiutarci a comprendere ed elaborare i nostri problemi. – Dichiarazione della regista
Nel film The Dark Nightmare, i sogni di Mona non sono semplici allucinazioni notturne, ma vere e proprie manifestazioni visive e sensoriali delle sue paure interiori. Tutto ciò che vive durante il giorno — ansie, dubbi, insicurezze — riaffiora in forma distorta e terrificante durante la notte, assumendo le sembianze di incubi che la paralizzano, tanto metaforicamente quanto fisicamente, attraverso episodi di paralisi del sonno. Rileggendo i suoi incubi, la figura dell’amato, che nei sogni si trasforma in una creatura mostruosa e brutale, simboleggia il timore profondo di un legame capace di annullare la sua identità (trasformandola in una casalinga che attende il ritorno del marito da casa). Ancora più eloquenti sono i sogni ricorrenti legati alla maternità: visioni oscure e disturbanti di una nascita rappresentano il rifiuto inconscio di un ruolo — quello di madre — per il quale Mona non si sente affatto pronta.
La protagonista rappresenta, con rara intensità, una figura femminile che sfugge ai dualismi classici del genere horror: non è né eroina salvatrice né vittima sacrificale, ma una sintesi dissonante di aspirazioni e paure contemporanee. È l’unico personaggio davvero tridimensionale del film (gli altri restano piuttosto abbozzati), perché su di lei si concentra tutta la tensione tra ciò che la società si aspetta e ciò che lei, nel profondo, desidera o teme.
Non è un caso che gli altri personaggi rimangano sfuocati, quasi evanescenti: The Dark Nightmare non è una storia corale, ma una discesa intima e claustrofobica nelle contraddizioni della soggettività femminile moderna.
Il film fa emergere una critica sociale chiara, ma mai didascalica: quella pressione, sottile e normalizzata, secondo cui una giovane donna del XXI secolo dovrebbe saper conciliare carriera, indipendenza emotiva e desiderio materno — come se tutto fosse compatibile, lineare, auspicabile. Mona incarna la frattura fra queste istanze: da un lato la volontà di affermarsi, di rivendicare il proprio diritto di scegliere; dall’altro, il senso di colpa implicito nel non sentire il richiamo biologico alla maternità, come se questa omissione la rendesse manchevole o inadeguata.
Il corpo che cambia — tema ricorrente nel film attraverso sogni, visioni e sintomi psicosomatici — non è solo simbolo, ma diventa palcoscenico di un conflitto tra natura e volontà, tra istinto e costruzione sociale. L’orrore non nasce da una creatura esterna, ma da una frattura interna, che si insinua nella carne, nei sogni, nella paralisi stessa.
Il film mette in scena una forma di terrore sottile ma potente: non la paura di essere aggrediti, ma quella — ben più intima — di non sapere più chi si è, né chi si desidera diventare, in un mondo che pretende risposte semplici e immediate.
È proprio in questo spazio d’indeterminatezza che The Dark Nightmare trova la sua forza evocativa più profonda e, forse, il suo senso ultimo: un cinema dell’inquietudine che non offre risposte, ma apre ferite. E nel farlo, dona voce — finalmente — a un’esperienza femminile troppo spesso elusa, semplificata o relegata ai margini del genere horror.
Il vero nodo critico di The Dark Nightmare è la sua riluttanza a immergere lo spettatore nella fragilità percettiva della protagonista, preferendo invece una narrazione che accompagna, anziché disorientare. Il potenziale per creare una tensione psicologica duratura c’era tutto: una giovane donna preda di un conflitto identitario, divisa tra la pressione sociale e la propria interiorità; un’entità (il Mare) che potrebbe essere tanto reale quanto proiezione psicosomatica; sogni che sfumano in incubo e realtà che scricchiola sotto il peso dell’ambiguità. Tuttavia, invece di esasperare questo scollamento tra ciò che è reale e ciò che è simbolico, il film sembra optare per una struttura rassicurante — per quanto inquietante nei toni — che svela troppo presto la natura tangibile della creatura, togliendo al pubblico la possibilità di dubitare davvero. Il cuore drammaturgico dell’horror psicologico si nutre del dubbio: quando non sai se il male viene da fuori o da dentro, allora tutto diventa potenzialmente minaccioso. Questa sospensione, qui, manca. Lo spettatore non viene destabilizzato, non sperimenta mai l’impasse di Mona, e quindi si limita a osservarla da una distanza analitica, quasi clinica.
La psicologia del personaggio, sebbene delineata con finezza, non trova un corrispettivo adeguato nella costruzione narrativa e visiva, che avrebbe potuto adottare soluzioni più radicali: ellissi temporali disorientanti, sogni incorporati nella veglia, salti di realtà emotiva senza marcatori visivi netti. Ciò che resta è un film interessante nelle premesse, ma parzialmente svilito da una drammaturgia prevedibile, che non osa oltrepassare la soglia del conscio.
Con una scrittura più coraggiosa, The Dark Nightmare avrebbe potuto non solo raccontare il trauma, ma farlo vivere direttamente allo spettatore, consegnandogli il privilegio — e l’angoscia — di sentirsi parte dell’incubo, invece che semplice spettatore.
Il film si ispira alla figura del Mare, il demone nordico degli incubi da cui derivano le parole “nightmare” in inglese e “cauchemar” in francese. Il Mare è una creatura leggendaria che tormenta i dormienti premendo loro sul petto, provocando un senso di soffocamento e terrore. Le storie di inquietanti visite notturne sono un mito condiviso da culture di tutto il mondo, e trovo affascinante che per innumerevoli generazioni le persone abbiano vissuto la stessa, terrificante esperienza. – Dichiarazione della regista
In conclusione
The Dark Nightmare è una pellicola che stimola la curiosità e affascina per le sue premesse tematiche, ma non riesce a cogliere pienamente il suo potenziale. È un film che può interessare chi apprezza l’horror psicologico più introspettivo e simbolico, specialmente se accompagnato da una forte componente femminile. Tuttavia, chi cerca tensione autentica, ambiguità percettiva o innovazione narrativa, rischia di rimanere parzialmente deluso. È un’opera prima che promette, ma non incide in profondità, limitandosi a raccontare il terrore invece che farlo vivere davvero.
Note positive
- Tematica originale legata ai disturbi del sonno e alla paralisi notturna
- Interpretazione intensa della protagonista
- Visione femminile dell’orrore con sottotesti sociali e simbolici
Note negative
- Trattazione superficiale della componente scientifica
- Mancanza di ambiguità percettiva e tensione psicologica autentica
- Personaggi secondari poco sviluppati
- Sceneggiatura e regia che non sfruttano appieno il potenziale simbolico
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3.2
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