The Last Spark of Hope (2023). Eva e il robot Arthur

Recensione, trama e cast del film The Last Spark of Hope (2023). Fantascienza filosofica e distopica che esplora solitudine, IA e devastazione ambientale.

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Locandina di The Last Spark of Hope (2023)

The Last Spark of Hope

Titolo originale: W nich cała nadzieja

Anno: 2023

Nazione: Polonia

Genere: Fantascienza

Casa di produzione: K&K Film Selekt, Polski Instytut Sztuki Filmowej

Distribuzione italiana: Non specificata

Durata: 88 minuti

Regia: Piotr Biedroń

Sceneggiatura: Piotr Biedroń

Fotografia: Tomasz Wójcik

Montaggio: Marceli Majer

Musiche: Łukasz Pieprzyk

Attori: Magdalena Wieczorek (Ewa), Jacek Beler (voce del robot)

Trailer di “The Last Spark of Hope”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Presentato in anteprima mondiale all’Octopus Film Festival l’8 agosto 2023, W nich cała nadzieja, pellicola di genere distopico-fantascientifico, segna il debutto nel lungometraggio del cineasta e sceneggiatore polacco Piotr Biedroń. Reduce dalla realizzazione dei cortometraggi PM 2.5 (2017) e Good Job (2020), Biedroń si cimenta con una produzione a basso budget che, nella sua versione internazionale, porta il titolo The Last Spark of Hope.

Nel ruolo della protagonista spicca l’attrice polacca classe ’95 Magdalena Wieczorek (Erotica 2022, 2020; Zadra, 2022; Prosta sprawa, 2024), mentre la voce del robot è affidata a Jacek Beler (Wataha, 2014; Po pierwsze…, 2021; Inni ludzie, 2021).

Piotr Biedroń ha presentato il film in diversi festival per garantirne una maggiore visibilità, sfidando le difficoltà di una complessa distribuzione cinematografica. La pellicola è stata proiettata al Polish Film Festival, dove ha ricevuto una menzione speciale nella categoria “Film a Microbudget”. In Italia, invece, è stata presentata il 31 ottobre 2023, alla presenza del regista e della produttrice, come opera in competizione al Trieste Science+Fiction Festival. Qui ha conquistato il Premio Méliès d’argent – Lungometraggi TS+FF 2023, accompagnato dalla seguente motivazione:

La decisione della giuria sul film vincitore è stata unanime. Ci ha fatto rimanere sulle spine durante tutta la visione. Abbiamo amato il calore e l’umanità delle relazioni fra i personaggi principali. Ci ha spinti a riflettere sulle sfide che ci troviamo ad affrontare: la crisi climatica e ambientale, lo spettro di una pandemia globale, la crisi dei rifugiati, la crudeltà di una burocrazia Kafkiana e il modo in cui la complessità dell’Intelligenza Artificiale ci condiziona tutti. Nonostante tutto questo, il film commuove ed è, per di più, incredibilmente divertente, trovando l’elemento comico anche nella disperazione. Si tratta, essenzialmente, di un film sulla speranza. Scritto e diretto da Piotr Bedroń con maestria visiva e sensibilità, fotografato stupendamente da Tomasz Wojcik, montato con eleganza da Marceli Majer, e interpretato mirabilmente dai protagonisti Magdalena Wieczorek e Jacek Beler.

Trama di “The Last Spark of Hope”

Dopo le devastanti guerre climatiche, la Terra è diventata quasi completamente inabitabile. Le città sono contaminate, e i rappresentanti del governo hanno abbandonato il pianeta nella speranza di trovare un nuovo mondo abitabile. Chi è rimasto ha dovuto lottare per sopravvivere in un ambiente ostile, avvelenato da radiazioni chimiche che hanno compromesso aria, cibo e acqua.

Nonostante il pianeta sembri ormai privo di vita, in una base isolata tra le colline vive una giovane ragazza, Eva (Magdalena Wieczorek). La sua unica compagnia è un robot da guerra, Arthur, il cui unico scopo è proteggere la casa di Eva da eventuali intrusi. La base rappresenta l’unico rifugio sicuro per Eva: perderla significherebbe affrontare condizioni mortali all’esterno.

Nel corso degli anni, tra Eva e Arthur si sviluppa una sorta di legame, quasi un’amicizia, ma unidirezionale. Mentre Eva prova sentimenti per la sua unica compagnia, Arthur rimane una macchina programmata per eseguire procedure prive di empatia. Il suo compito principale è difendere la base, regolato da rigide istruzioni. Persino Eva, per accedere alla casa, deve fornire una password; solo se questa è corretta, Arthur le permette di entrare.

Un giorno, dopo essere uscita dalla base, Eva sbaglia la password al suo ritorno, poiché questa si è automaticamente modificata. Sebbene Arthur riconosca Eva e sappia chi è, non le consente di entrare, rispettando rigorosamente la sua programmazione. Eva rimane confinata in una piccola area del campo, mentre la sua sopravvivenza è messa seriamente a rischio. Determinata a rientrare, Eva deve trovare un modo per superare le rigide regole del robot e riprendere possesso della sua casa. Se non riuscisse, la morte sarebbe inevitabile.

Magdalena Wieczorek in The Last Spark of Hope
Magdalena Wieczorek in The Last Spark of Hope

Recensione di “The Last Spark of Hope”

Con W nich cała nadzieja, Piotr Biedroń realizza un piccolo film di genere che conquisterà senza dubbio gli appassionati di fantascienza dal sapore rétro. Un’opera che rifiuta l’azione per abbracciare il lato più filosofico e distopico del genere, sviluppando una drammaturgia intrisa di temi ecologisti, ma non solo. Il film esplora questioni legate all’intelligenza artificiale e alla robotica, soffermandosi anche sulle sfide esistenziali di un essere umano costretto a vivere in una condizione di profonda solitudine, una solitudine opprimente, che genera un malessere interiore difficile da superare.

La protagonista, Eva (il cui nome richiama volutamente quello della prima donna biblica, nata dalla costola di Adamo), si trova a vivere in un mondo morente, soffrendo ogni istante per la sua condizione di isolamento. La sensazione di essere l’ultima persona rimasta sul pianeta Terra rende la sua esistenza insopportabile, segnata dalla mancanza di affetto, amore e significato. Eva incarna una vita vuota, priva di speranza, un’esistenza fine a sé stessa. La drammaturgia, in particolare nei primi venticinque minuti, descrive con cura e sensibilità la condizione di solitudine di Eva e il suo disperato desiderio di un contatto umano.

Ogni giorno, Eva tenta disperatamente di mettersi in contatto con eventuali sopravvissuti, lasciando le proprie coordinate nella città deserta o messaggi vocali tramite una radiotrasmittente situata nella sua abitazione. Nonostante i numerosi tentativi, nessuno sembra rispondere. Se da un lato, Eva è animata dalla frenetica ricerca di altri esseri umani; dall’altro, cerca conforto e affetto in Arthur, il robot da pattuglia incaricato di proteggere la sua casa. La ragazza proietta su Arthur il desiderio di trovare una forma di calore umano, sperando di risvegliare in lui un lato empatico e umano. Completamente sola, Eva cerca in Arthur un sostituto dell’umanità, un affetto che possa aiutarla a sopravvivere psicologicamente e a non sprofondare in una profonda depressione. Perché, in una condizione di assoluta solitudine, la vita rischia di trasformarsi in un fardello insostenibile. Ma un robot può davvero essere amico di qualcuno? Può provare empatia, o sarà sempre limitato dagli schemi rigidi per cui è stato programmato?

Al di là del racconto incentrato sulla ricerca di un contatto tra una donna e il suo robot, la pellicola esplora, seppur in modo non del tutto approfondito, temi legati all’ecologismo. Invita l’essere umano a prendersi cura del proprio ambiente e del pianeta prima che sia troppo tardi, ascoltando la voce degli scienziati e arrestando l’utilizzo folle di prodotti chimici sulla Terra. Questa tematica è sviluppata principalmente nei primi minuti del film, durante l’introduzione, dove la voce fuori campo della protagonista descrive gli eventi che hanno devastato il pianeta, passando dalle guerre chimiche fino all’abbandono da parte delle élite di potere, quando il pianeta era ormai inabitabile. Attraverso questo incipit, il lungometraggio cerca di mettere lo spettatore in guardia, lanciando un monito: fermartevi prima che il disastro diventi irreversibile. Non a caso, il film si apre con la didascalia: “Potrebbe essere basato su una storia vera“. Un avvertimento sottile ma efficace, che sottolinea come il nostro pianeta sia già gravemente colpito dall’inquinamento e che se l’umanità non cambia rotta, il mondo di Eva potrebbe trasformarsi in una realtà inquietante e tangibile.

Oltre all’aspetto ecologico, il film si focalizza, grazie a un’ottima scrittura dei dialoghi e della sceneggiatura, su una riflessione approfondita riguardante le tecnologie di intelligenza artificiale (IA). Ponendo una domanda cruciale allo spettatore: cosa accadrebbe se queste tecnologie diventassero onnipresenti e acquisissero un controllo significativo sulle nostre vite? L’intelligenza artificiale è davvero affidabile?

Rimanendo fedele alle responsabilità proprie del genere fantascientifico, il lungometraggio dipinge uno scenario oscuro sul rapporto tra esseri umani e IA. Vengono messi in evidenza sia i vantaggi che le insidie di questa cooperazione, mostrando come le macchine possano essere estremamente affidabili… ma solo fino a quando non interviene un errore o una dimenticanza umana. Un esempio emblematico di questo rischio è rappresentato dalla vicenda di Eva, che si ritrova in una situazione disperata a causa della propria negligenza: dimentica di verificare l’aggiornamento della password necessaria per accedere alla sua base. Un errore che mette a repentaglio la sua vita, trasformando il suo robot da alleato a potenziale nemico.

In un certo senso, Eva, all’interno della pellicola, incarna l’archetipo della persona comune costretta a confrontarsi con un sistema opprimente e incomprensibile, che entra in conflitto con la logica umana. Una condizione che richiama alla mente quella del capolavoro kafkiano Il Processo, in cui il povero Josef K. si ritrova intrappolato in una situazione assurda, un po’ come accade a Eva. Nonostante le drammaturgie divergenti nel genere, entrambi i protagonisti si trovano a lottare contro procedure rigide e astratte, che non solo limitano la loro libertà d’azione, ma li spogliano anche del controllo sulla propria esistenza. Nel film W nich cała nadzieja (“In loro tutta la speranza”), il sistema che regola e organizza la realtà si presenta come una macchina spietata e impersonale, incapace di considerare le sfumature delle emozioni umane o le complessità della vita. Un esempio di questo viene mostrato nel momento in cui, pur riconoscendo Eva e sapendo che è lei, il robot le impone comunque di dire una password che la ragazza non conosce. Perché costringerla a compiere un passaggio così elementare? Perché rifiutarsi di aiutarla, superando una barriera programmata? Soprattutto se lui, il robot, la riconosce?

Questo robot, costruito apparentemente per proteggere, si rivela, infine, paradossalmente una forza distruttiva e assurda, pronta a ribaltarsi contro chi dovrebbe tutelare. Arthur, il robot destinato a salvaguardare Eva, agisce seguendo un codice rigido e privo di flessibilità, senza empatia o umanità. La sua missione di protezione, apparentemente benevola, si trasforma in una minaccia letale per Eva a causa di una minima infrazione o errore. È sufficiente una piccola negligenza da parte della ragazza affinché Arthur, con il suo cieco attaccamento alle regole, diventi pericoloso. Ciò dimostra quanto un sistema privo di empatia e comprensione possa rivelarsi crudele e inumano.

Il film va oltre la semplice rappresentazione di un futuro distopico basato sull’automazione. Spinge lo spettatore a riflettere su questioni più ampie, come il ruolo crescente degli algoritmi che regolano sempre più aspetti delle nostre vite, i limiti intrinseci dei sistemi legali e il peso opprimente della burocrazia. Attraverso la storia di Eva e Arthur, W nich cała nadzieja ci invita a interrogarci sul prezzo che paghiamo per la nostra dipendenza da sistemi rigidi e automatizzati, sottolineando l’urgenza di ridefinire il rapporto tra tecnologia e umanità, per evitare di perdere ciò che ci rende veramente umani.

Tutto ciò ci viene raccontato attraverso una storia semplice, scritta con efficacia e che non ricade mai nel banale. Ambientato quasi esclusivamente in un’unica location reale (non ricreata in CGI o in un set), il film dimostra il grande amore per il genere fantascientifico che tutti i componenti della troupe, dai macchinisti al regista, fino all’attrice e al scenografo, hanno infuso nella realizzazione di questo piccolo film. Non un capolavoro, ma un ottimo film di fantascienza.

La pellicola è stata realizzata con un vero e proprio micro-budget di soli 250 mila euro, ma questo non si percepisce più di tanto durante la visione. La scenografia è curata nei minimi dettagli, non dando la sensazione che il film abbia risparmiato sulla creazione delle location. Anche la regia si distingue per la scelta sapiente delle inquadrature, evitando di ripetere costantemente le stesse angolazioni. Seppur il film sia stato girato in soli nove giorni di riprese, il risultato finale è egregio. La domanda che mi sorge è: perché non dare più soldi a film come questo, che si basano su una sceneggiatura solida? Perché sprecare grandi budget in film con grandi attori ma sceneggiature poco interessanti?

Fotogramma di The Last Spark of Hope
Fotogramma di The Last Spark of Hope

In conclusione

“W nich cała nadzieja” è un piccolo gioiello del cinema di fantascienza, capace di coniugare temi profondi come l’ecologismo e il rapporto tra umanità e tecnologia con una narrazione intima e coinvolgente. Nonostante il budget ridotto, il film riesce a costruire un mondo credibile e a proporre riflessioni che restano impresse. Un’opera non perfetta ma sorprendente, che merita attenzione per la sua capacità di coniugare semplicità narrativa e profondità tematica.

Note positive

  • Ottima sceneggiatura e scrittura dei dialoghi.
  • Ambientazioni curate, nonostante il budget ridotto.
  • Regia attenta e dinamica nelle inquadrature.

Note negative

  • Alcuni temi, come l’ecologismo, non sono approfonditi a dovere.
Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Interpretazione
Emozione
SUMMARY
3.9
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.