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The Ugly Stepsister
Titolo originale: The Ugly Stepsister
Anno: 2025
Genere: horror
Casa di produzione: Mer Film, Lava Films, Motor, Scanbox Entertainment, Zentropa International Sweden
Distribuzione italiana: I Wonder Pictures
Durata: 105 minuti
Regia: Emilie Blichfeldt
Sceneggiatura: Emilie Blichfeldt
Fotografia: Marcel Zyskind
Montaggio: Olivia Neergaard-Holm
Musiche: John Erik Kaada, Vilde Tuv
Attori: Lea Myren, Thea Sofie Loch Næss, Ane Dahl Torp, Flo Fagerli, Isac Calmroth, Malte Gardinger, Ralph Carlsson, Adam Lundgren, Willy Ramnek Petri, Philip Lenkowsky
Trailer di “The Ugly Stepsister”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
“The Ugly Stepsister” è un film horror scritto e diretto da Emilie Blichfeldt. La pellicola è l’adattamento cinematografico in chiave horror della fiaba Cenerentola dei Fratelli Grimm. Il cast è formato da Lea Myren, Thea Sofie Loch Næss, Ane Dahl Torp, Flo Fagerli, Isac Calmroth, Malte Gardinger, Ralph Carlsson, Adam Lundgren, Willy Ramnek Petri, Philip Lenkowsky. “The Ugly Stepsister” è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2025 il 23 gennaio 2025 nella sezione Midnight ed è stato proiettato nella sezione Panorama del 75º Festival Internazionale del Cinema di Berlino il 16 febbraio 2025. Nelle sale italiane esce il 30 ottobre 2025 distribuito da I Wonder Pictures.
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Trama di “The Ugly Stepsister”
Il film racconta la storia di Elvira, una ragazza sgraziata che deve competere con la sua bellissima e incantevole sorellastra acquisita, Agnes, per conquistare l’attenzione di un principe e salvare la famiglia dalla povertà. In un regno dove l’aspetto fisico è fondamentale, Elvira è disposta a tutto, ricorrendo a misure estreme, inclusi interventi di chirurgia e torture, per cercare di ottenere la bellezza richiesta.
Recensione di “The Ugly Stepsister”
Con “The Ugly Stepsister”, la regista e sceneggiatrice Emilie Blichfeldt firma un’opera disturbante e coraggiosa che ribalta completamente le convenzioni delle fiabe classiche, trasformando l’archetipo della sorella cattiva in una tragica protagonista intrappolata in un sistema che mercifica il corpo femminile. Questo film non è semplicemente un horror fiabesco: è un manifesto viscerale contro gli standard di bellezza imposti, una satira feroce delle aspettative sociali e un body horror che scava nel dolore di chi è disposto a mutilare se stesso pur di conformarsi.
Una fiaba capovolta
La genialità narrativa di Blichfeldt risiede nell’inversione di prospettiva. Mentre le fiabe tradizionali ci hanno sempre invitato a simpatizzare con la bella e virtuosa Cenerentola, “The Ugly Stepsister” ci chiede di guardare attraverso gli occhi di Elvira (Lea Myren), la “brutta” sorellastra che la cultura popolare ha sempre dipinto come antagonista superficiale e crudele. Ma qui Elvira diventa una figura tragica, una giovane donna il cui unico torto è quello di essere nata con lineamenti considerati inadeguati in un regno dove la bellezza è letteralmente moneta di scambio.
La trama prende avvio dalla morte improvvisa del padre di Agnes (Thea Sofie Loch Næss), evento che getta entrambe le famiglie in una spirale di disperazione economica. La madre di Elvira (Ane Dahl Torp) vede in Agnes, con la sua bellezza eterea e la sua grazia naturale, l’ancora di salvezza: la ragazza potrebbe conquistare il principe e salvare tutti dalla povertà. Ma c’è un colpo di scena crudele: invece di permettere ad Agnes di brillare, la madre decide che sarà Elvira a competere per il trono, mentre Agnes viene relegata al ruolo di serva, una Cenerentola moderna privata persino della possibilità di sognare il ballo.
Questa scelta narrativa è tanto brillante quanto devastante. Agnes, che possiede naturalmente tutto ciò che il regno desidera, viene degradata e sfruttata, mentre Elvira, che non ha mai chiesto di competere in questa gara impossibile, viene spinta sotto i ferri chirurgici del sinistro dottor Esthétique e nelle mani manipolatrici di Madame Sophie, una maestra di galateo che insegna alle giovani donne come trasformarsi in bambole perfette e prive di volontà.
Body horror come metafora sociale
“The Ugly Stepsister” appartiene al sottogenere del body horror, ma lo utilizza con una precisione tematica rara. Non si tratta di orrore gratuito: ogni intervento chirurgico, ogni tortura estetica che Elvira subisce è una metafora brutale della violenza che la società esercita sui corpi femminili. Il dottor Esthétique, figura inquietante che ricorda i medici sadici del cinema espressionista tedesco, rappresenta l’industria della bellezza nella sua forma più distopica: un carnefice mascherato da salvatore, che promette trasformazione ma consegna solo dolore.
Le scene di chirurgia e modificazione corporea sono probabilmente tra le più difficili da guardare del film. Blichfeldt non risparmia allo spettatore nulla: vediamo il corpo di Elvira essere tagliato, rimodellato. Ogni procedura è un atto di violenza autorizzata, compiuto nel nome di un ideale estetico irraggiungibile. Ma ciò che rende queste scene ancora più strazianti è la consapevolezza che Elvira si sottopone volontariamente a tutto questo, convinta che la bellezza sia l’unico percorso verso l’amore, l’accettazione e la sopravvivenza economica.
Il film pone domande scomode: quanto siamo disposti a sacrificare di noi stessi per corrispondere alle aspettative altrui? Dove finisce l’autodeterminazione e dove inizia la coercizione sociale? Elvira crede di scegliere liberamente, ma le sue decisioni sono il prodotto di un sistema che le ha sempre detto di non essere abbastanza.
Vulnerabilità e disperazione
Lea Myren offre una performance straordinaria nel ruolo di Elvira. L’attrice riesce a bilanciare la vulnerabilità della protagonista con una determinazione disperata che sconfina nell’autodistruzione. Myren ci fa provare empatia anche quando Elvira compie atti crudeli verso Agnes: comprendiamo che ogni sua azione nasce dalla sofferenza, dall’invidia corrosa dall’ingiustizia, dalla rabbia di chi è stato sempre considerato “meno di”.
Il volto di Myren diventa una tela su cui Blichfeldt dipinge la progressiva trasformazione (o deformazione) della protagonista. Nei suoi occhi leggiamo la speranza iniziale, poi il dolore lancinante delle modifiche fisiche, infine una sorta di vuoto esistenziale quando Elvira realizza che, anche cambiando tutto di sé, non riuscirà mai a sentirsi abbastanza.
La bellezza come condanna
Thea Sofie Loch Næss interpreta Agnes con una delicatezza che contrasta magnificamente con l’oscurità del film. Agnes non è la tipica Cenerentola: la sua bellezza, invece di essere una benedizione, diventa una condanna. Viene oggettificata, sfruttata e infine privata della sua umanità, ridotta a puro valore di mercato. Loch Næss riesce a trasmettere la graduale perdita di speranza di Agnes, che passa dall’essere una giovane donna con sogni e aspirazioni a una prigioniera della propria genetica fortunata.
Il rapporto tra Elvira e Agnes è il cuore emotivo del film. Non sono semplicemente rivali: sono due vittime dello stesso sistema patriarcale e capitalista che giudica le donne esclusivamente in base al loro aspetto. Blichfeldt evita la trappola di demonizzare completamente Elvira o di santificare Agnes: entrambe sono complesse, umane, spezzate dalle circostanze.
Carnefici del sistema
Ane Dahl Torp, nel ruolo della madre di Elvira, incarna perfettamente la figura della donna che, interiorizzando gli standard patriarcali, diventa complice dell’oppressione delle proprie figlie. Non è necessariamente malvagia: è pragmatica, disperata, convinta che sfruttare la bellezza sia l’unica via di fuga dalla miseria. La sua tragedia è che perpetua lo stesso sistema che probabilmente l’ha danneggiata in gioventù.
Il dottor Esthétique (Adam Lundgren) è una figura da incubo: un Frankenstein moderno che non crea mostri per sfida alla morte, ma per profitto e controllo sociale. La sua clinica è un teatro dell’orrore dove l’anestesia è facoltativa e il consenso informato è un concetto sconosciuto.
Il principe (Isac Calmroth), pur essendo l’oggetto del desiderio attorno a cui ruota la trama, è paradossalmente una figura marginale. E questo è parte della brillantezza satirica del film: il principe non ha personalità, non ha voce. È un simbolo, un trofeo, la chiave per l’ascesa sociale. La sua umanità è irrilevante quanto quella delle donne che competono per lui.
Tra fiaba gotica e orrore clinico
Visivamente, “The Ugly Stepsister” è uno straordinario ibrido di estetica fiabesca e realismo brutale. I costumi e le scenografie evocano un regno da favola, con abiti sontuosi, castelli imponenti e atmosfere fiabesche, ma tutto è leggermente “sbagliato”, distorto, come se guardassimo una fiaba attraverso uno specchio deformante.
La clinica del dottor Esthétique contrasta violentemente con questo mondo incantato: è asettica, moderna, spaventosamente reale. Questo contrasto visivo sottolinea come la violenza della bellezza imposta non sia un residuo medievale, ma un fenomeno contemporaneo. Il body horror non è fantasia gotica: è la realtà di milioni di donne che si sottopongono a procedure chirurgiche, diete estreme, trattamenti dolorosi per avvicinarsi a un ideale impossibile.
La fotografia alterna momenti di bellezza onirica a sequenze di crudo realismo. Le scene di trasformazione di Elvira sono filmate con un’attenzione quasi documentaristica al dettaglio fisico, mentre i momenti nel regno mantengono una patina da favola illustrata, creando un disorientamento visivo che rispecchia la dissociazione psicologica della protagonista.
Una satira feroce delle favole romantiche
“The Ugly Stepsister” è, fondamentalmente, una decostruzione spietata delle favole romantiche che hanno plasmato l’immaginario collettivo per secoli. Blichfeldt smantella sistematicamente ogni elemento delle storie di principesse: l’idea che la bellezza sia sinonimo di virtù, che il matrimonio con un principe sia il massimo obiettivo femminile, che l’amore romantico risolva ogni problema economico e sociale.
Il film espone come queste narrazioni siano strumenti di controllo sociale: insegnano alle bambine che il loro valore risiede nell’aspetto fisico, che devono competere tra loro per l’attenzione maschile, che la sofferenza e il sacrificio sono percorsi necessari verso la felicità. Elvira è il prodotto di queste narrazioni tossiche portate alle loro logiche estreme conseguenze.
Ma il film va oltre la semplice critica femminista. Esplora anche le dinamiche di classe: la povertà è il vero mostro che spinge le famiglie a sacrificare le proprie figlie sull’altare del matrimonio vantaggioso. In questo regno da favola, come nel mondo reale, la bellezza è capitale economico, e chi non la possiede è condannato all’invisibilità e alla miseria.
C’è anche una riflessione sulla maternità e sulla solidarietà femminile tradita: la madre di Elvira, invece di combattere il sistema che opprime entrambe le sue figlie (biologica e acquisita), ne diventa complice e perpetratrice. Questa scelta narrativa è dolorosa ma necessaria: ricorda come l’oppressione non richieda solo carnefici esterni, ma anche la collaborazione di chi è già stato vittimizzato.
Onestà senza speranza
Senza rivelare dettagli specifici, è probabile che “The Ugly Stepsister” non offra un finale confortante o catartico nel senso tradizionale. I migliori horror satirici non forniscono soluzioni facili, e questo film sembra posizionarsi in quella tradizione. La domanda non è se Elvira conquisterà il principe, ma a quale costo, e se la vittoria in un sistema corrotto possa mai essere considerata tale.
Il film probabilmente lascia lo spettatore con un senso di inquietudine persistente, costringendoci a riflettere sulle nostre stesse complicità con gli standard di bellezza imposti. Ogni volta che valutiamo qualcuno in base all’aspetto, ogni volta che internalizziamo il giudizio estetico come metro di valore umano, diventiamo parte del regno distopico che Blichfeldt ha creato.
In conclusione
“The Ugly Stepsister” non è un film facile da guardare, né dovrebbe esserlo. Emilie Blichfeldt ha creato un’opera viscerale, intelligente e politicamente urgente che usa il linguaggio del body horror per parlare di temi universali: l’ossessione culturale per la bellezza fisica, la mercificazione dei corpi femminili, la violenza silenziosa della conformità sociale.
Lea Myren offre una performance coraggiosa che ancora il film emotivamente, mentre il cast di supporto costruisce un mondo in cui ogni personaggio è simultaneamente vittima e carnefice del sistema. La regia di Blichfeldt è sicura, la sua visione chiara e senza compromessi.
Questo film si inserisce in una tradizione di horror femminista che include opere come “Raw” di Julia Ducournau, “The Substance“ e “Titane“, film che usano il corpo come campo di battaglia per esplorare identità, trauma e trasformazione. Ma “The Ugly Stepsister” ha una voce propria, unica nella sua fusione di fiaba e horror, nella sua satira feroce delle narrazioni romantiche che ci hanno cresciuto.
Non è un film per tutti. Richiede uno stomaco forte per le scene di body horror e un cuore ancora più forte per affrontare le verità scomode che solleva. Ma per chi è disposto ad affrontare il proprio rapporto con la bellezza, con le aspettative sociali, con le favole che ci raccontiamo, “The Ugly Stepsister” è un’esperienza cinematografica essenziale.
Blichfeldt ci ricorda che le fiabe non sono mai state innocenti: sono sempre state strumenti pedagogici, modi per insegnare alle bambine quale fosse il loro posto nel mondo. “The Ugly Stepsister” riscrive quella lezione con sangue, bisturi e una feroce determinazione a esporre la crudeltà nascosta dietro ogni “vissero felici e contenti”.
Note positive
- Scrittura
 - Regia
 - Recitazione
 
Note negative
- /
 
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