Titane (2021): una metamorfosi d’amore fatta di carne e metallo

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Trailer del film Titane

Titane è il secondo film della regista francese Julia Ducournau, dopo la sua opera prima Raw presentata nella sezione Settimana Internazionale della Critica al Festival di Cannes 2016 e vincitrice del premio FIPRESCI. Ducournau, però, si è consacrata internazionalmente grazie all’opportunità che il rinomato regista e produttore M. Night Shyamalan gli ha dato per dirigere due episodi della sua serie tv di successo Servant. Dopo aver vinto la Palma d’Oro alla 74° edizione del Festival di Cannes, Titane arriverà nelle sale italiane il 1° ottobre 2021, distribuito da I Wonder Pictures.

“Credo che la mia vittoria e l’interesse per il film c’entrino con il fatto che la mia generazione, in tutto il mondo, non ha mai avuto vergogna ad abbracciare il codice dell’horror, in senso lato, come linguaggio, modo di pensare.”

Julia Ducournau, regista e sceneggiatrice di Titane

Trama di Titane

Alexia (Agathe Rousselle) adora le automobili, sin da quando bambina un incidente le ha donato una placca di titanio nella testa. Questo episodio l’ha fatto rinascere gonfia di rabbia e d’amore represso che la trasformeranno in un essere ibrido e nuovo. Perché la metamorfosi si completi, dovrà scoprire la forza potente che muove le cose del mondo: gli esseri umani.

Recensione di Titane

Sono passati cinque anni da quando Julia Ducournau ha esordito con il non meno polemico coming of age, Raw, dove già mostrava una visione molto particolare e una determinazione nel fare cinema molto autoriale in un’epoca in cui prevale il mainstream: un cinema crudo, senza riserve, estremamente metaforico, con un tocco di “follia” che non solo risulta accattivante ma che, paradossalmente, è più realtà che finzione. Sulla stessa via, la regista francese torna con Titane, un film destinato a dividere sia il pubblico che la critica perché schietto, perché anche se esplicito in ciò che mostra in moltissime inquadrature, è narrativamente complesso da capire perché molto metaforico e fuori dagli schemi. Certamente, la pellicola rappresenta uno sforzo abbastanza “titanico” per lo spettatore, ma non per questo impossibile da capire. Rimanere nella superficie delle immagini è tutt’altro che un modo per vedere e interpretare i lavori d’autore di Ducournau.

In Raw, vediamo Justine (interpretata da Garance Marillier, attrice che appare nel secondo film con il nome di questo personaggio. Coincidenze?), una ragazza proveniente da una famiglia vegetariana, che diventa cannibale dopo aver assaggiato un pezzo di carne cruda la prima settimana di università; mentre in Titane, vediamo Alexia (interpretata dall’esordiente Agathe Rousselle), una donna di una trentina di anni che dopo un incidente automobilistico con il padre quando era bambina, viene salvata da un intervento in cui gli aderiscono una placca di metallo nel cranio. – “Si potrebbe muovere?”, chiede la madre; – “No, è di titanio”, dice il medico. Il titanio, forte e resistente ai cambiamenti, proprio come lo è la protagonista rispetto al mondo che la circonda.

Da questo episodio onnipresente quanto la ferita che gli rimane, Alexia sente una forte attrazione per le automobili, diventando una ballerina go go i cui movimenti seducenti che ripercorrono un Cadillac non solo attirano l’attenzione di tanti uomini, ma addirittura della stessa vettura con cui poi si accoppia e rimane incinta. Questo che potrebbe sembrare una follia (e lo è abbastanza) risponde metaforicamente alla mancanza di rapporti umani veri e propri. Alexia ha dei genitori indifferenti (il padre soprattutto, e anche molto freddo nei confronti della figlia), un rapporto famigliare quasi inesistente. Fuori le mura della sua casa, lei trova solo gente (maggiormente uomini) che la cerca solo perché famosa, solo per approfittarsene senza dare a lei possibilità di scelta (come succede con un suo “fan” che la costringe a baciarlo). Perciò, oltre al fatto che ormai lei ha un corpo ibrido grazie alla placca di titanio, il rapporto (se si può chiamare così) con il Cadillac è l’unico “legame” che ha, anche se vuoto, anche senza anima, perché lei non conosce altro.

Ma Alexia diventa anche una serial killer per via di queste mancanze, di questa assenza di rapporti umani. Per bisogno più che per voglia, lei poi sceglie un’identità maschile per “nascondersi” occupando il posto di Adrien, un ragazzo scomparso dieci anni prima. È così come conosce Vincent (interpretato da Vincent Lindon: The Measure of a Man, Diary of a Chambermaid, Anything for Her), pompiere e padre di Adrien, un uomo che si consuma tra gli steroidi e il lavoro per affrontare la vulnerabilità del dolore. Due anime che si incrociano nell’abisso della solitudine e nel bisogno di affetto, cose che possono dare solo gli umani e che sì, possono anche negare.

Risulta impossibile definire Titane unicamente come un body horror anche se questo sottogenere è, innanzitutto, una specie di filo conduttore nel film. Come chiaramente ribadisce Ducournau in molte dichiarazioni, lei non prende soltanto ispirazione, ad esempio, dal “padre del body horror”, David Cronenberg (rimandando in maniera particolare a Crash), ma mescola altre influenze di film con cui è cresciuta come Terminator, Alien, e anche un po’ del cinema italiano attraverso la libertà dei lavori di Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini.

Da una prospettiva molto personale, la regista francese usa il linguaggio dell’horror e anche un po’ del thriller per raccontare una storia prevalentemente drammatica, a tratti anche comica, in cui i protagonisti eccedono per sopravvivere e si trasformano parallelamente a livello fisico e psicologico. È un film che non vuole etichette di generi per poter evolversi verso un cinema nuovo.

Tra vetture e umani, metallo e olio motore, ballerine e pompieri, gravidanza e paternità, sessualità e omicidi seriali, Titane mette in risalto tanti argomenti quanto interpretazioni. Al centro di tutte le tematiche c’è l’identità personale e di genere, e la ricerca dell’amore per guarire le ferite del passato e per riempire il vuoto della solitudine. Nella loro metamorfosi, Alexia e Vincent trovano nell’altro il loro senso di appartenenza, della famiglia, del rapporto genitore – figli, la salvezza di una realtà in cui si sentono ormai alieni.

In tutto questo, prendono inoltre spazio i discorsi sulla diversità, l’inclusione e il femminismo tramite la rappresentazione del mondo maschilista in cui “mutano” i protagonisti, che si allontanano dagli stereotipi che gli impone la società. Un mix di tematiche che, oggi come oggi, garantiscono a qualsiasi tipo di produzione audiovisiva un posto costantemente “privilegiato” nell’era del “politicamente corretto”. La differenza e il pregio di questo film è che Ducournau, abile nel lavorare con le metafore, lo fa in modo discreto, poco scontato, originale e per niente forzato, raccontando soprattutto per immagini e, perciò, facendo cinema e non semplicemente un prodotto scarso e “compiacente”.

Alexia e Vincent creano un mondo nuovo, ibrido e fluido, quasi mitologico, pieno di sfumature quanto di amore e libertà di scelta. Un mondo che basti a loro, nonostante tutto, nonostante il resto… Un mondo che rispecchia il cinema d’autore di Ducournau: spiazzante per molti, ma sufficiente per se stessa perché come dice lei su Titane, “Non pretendo di piacere a tutti […] Ognuno lo giudichi come vuole.

“Non voglio sapere chi sei, me ne frego. Sei mio figlio, se sempre lo sarai, chiunque tu sia.”

Vincent Legrand (Vincent Lindon) Cit. Titane

Quando la follia diventa poesia

Titane ha tutte le carte in regola per attirare l’attenzione dentro l’industria cinematografica attuale, non solo quella francese, ma soprattutto quella internazionale. Oltre alla somma di tematiche che emergono dal film, c’è inoltre il fatto della “regista donna” in un anno praticamente tutto al femminile: l’Oscar a Chloé Zhao, a Julia Ducournau la Palma d’Oro e ora anche il Leone d’Oro per Audrey Diwan.

Non passa, allora, inosservato che a distanza di 28 anni, Ducournau è diventata la seconda donna a vincere alla Croisette, dopo la regista neozelandese Jane Campion con Lezioni di Piano (1993). Nonostante lei si è mostrata fiera dalla vittoria di donne in prestigiose premiazioni, Ducournau ha messo in risalto, sia in questo film sia in alcune dichiarazioni, l’importanza di non essere definiti da un genere perché ciò non riguarda l’identità delle persone: “Non mi piace quando si sottolinea che sono una regista donna perché sono prima di tutto una persona che fa film, e li faccio perché sono io e non perché sono una donna. Con il personaggio di Alexia volevo giocare con gli stereotipi e dimostrare che la femminilità è molto più flessibile e indefinita di quello che pensa la gente.

Mettendo da parte il suo genere e valutando il film come dovrebbe essere (e come ben dice Ducournau come “una persona che fa film”), merita Titane tutto il riconoscimento di cui già gode?

Modesto di budget (si parla di circa €5.700.000) ma enorme a livello narrativo, questo film conferma, senza dubbio, il talento registico di Ducournau. La storia di Titane, caratterizzata da una particolare “follia” o meglio, fuori dagli schemi, maschera una logica narrativa più profonda di quanto si possa pensare a primo impatto. La cineasta francese, anche sceneggiatrice del film, si risparmia i dialoghi per dare spazio a un racconto quasi al cento per cento visivo, il cui peso risiede principalmente nella comunicazione non verbale dei due protagonisti interpretati meravigliosamente da Vincent Lindon, con una carriera già longeva nel cinema, e da Agathe Rousselle nel suo esordio indimenticabile sul grande schermo. Non sono le parole, perciò, a dare vita a questa curiosa trama, ma i primi piani scioccanti e gli elementi ben pensati che accompagnano lo svolgimento dei fatti, come la notevole cicatrice di Alexia dove l’hanno messo la protesi di titanio e la bacchetta per capelli con cui lei uccide tutte le sue vittime.

Oltre a partire da un’idea interessante e molto provocatoria, che presenta in maniera innovativa tematiche già riviste, la storia di Titane si regge su una struttura che va al di là dei classici tre atti: i generi e toni che la regista mette insieme divide il film in due parti narrativamente notevoli. Nel primo atto e la metà del secondo predominano l’horror e il thriller (qui si vede Alexia diventare una serial killer); mentre la seconda metà del secondo atto e il terzo si incamminano più verso il dramma fino ad arrivare a una chiusura potente e commovente che sintetizza la metamorfosi di entrambi i protagonisti. La progressione delle azioni e il ritmo costante rendono il film complesso, ma molto intrattenente. Bisogna dire, però, che alcuni aspetti sono stati trascurati nella sceneggiatura, specialmente le motivazioni della protagonista che risultano non molto forti come la sua placca di titanio. Questo impedisce di sentire abbastanza empatia per lei e il suo destino, nonché di “capire” le sue scelte.

Così come il lavoro di Ducournau è probabilmente superiore in questo film rispetto al primo (a livello di regia, ma non tanto di sceneggiatura), così è quello del belga Ruben Impens, responsabile anche della fotografia de Raw, che dona al film un’elevata qualità estetica in ogni inquadratura e movimento di macchina, che vengono rafforzate da una stupenda colonna sonora in parte originale (firmata da Jim Williams) e in parte nutrita da pezzi musicali preesistenti, includendo canzoni come Nessuno mi può giudicare di Caterina Caselli.

Indubbiamente, Titane è un film estremo ed eccessivo in molti sensi, ma è nel suo complesso una produzione che funziona nel trattamento metaforico di tutte le tematiche che coinvolge. L’universo fluido di “mostri” creato da Julia Ducournau non fa solo una rivisitazione moderna del body horror, ma scommette su un cinema più libero a livello espressivo e, perciò, a un cinema futurista (ri)pensato come forma d’arte.

Il film non ha la pretesa di piacere a tutti, come neanche Ducournau, nonostante hanno entrambi delle qualità che li rendono meritevoli di riconoscimento per fare cinema in tutto il senso della parola. Titane è una poesia contemporanea sul potere dell’amore, la solitudine e la diversità, che risalta proprio per non seguire degli schemi e stereotipi ordinari, che spiazza e abbaglia allo stesso tempo e che, nell’esperienza viscerale che offre, nasconde un cuore tenero che, alla fine, non lascia indifferente a nessuno.

“Sono io che mi prendo cura di te, non il contrario.”

Vincent Legrand (Vincent Lindon) Cit. Titane

NOTE POSITIVE

● Idea e trattamento innovativo e provocatorio di temi già rivisti, portando sul grande schermo una storia drammatica in chiave horror. Buona proposta moderna del sottogenere body horror.

● Ottima regia di Julia Ducournau, supportata dal grande lavoro di fotografia del belga Ruben Impens.

● Colonna sonora originale di Jim Williams, nutrita dalle canzoni preesistenti scelte.

● Interpretazioni dei protagonisti Vincent Lindon e Agathe Rousselle.

NOTE NEGATIVE

● Alcuni aspetti della storia potevano essere trattati in maniera più approfondita per rafforzare, soprattutto, le motivazioni delle scelte della protagonista.

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