A volte nel buio, sometimes in the dark (2021): un cammino che sembra quasi non finire mai

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Trailer di A volte nel buio

Il film, presentato alla 21° edizione del Trieste Science+Fiction Festival, è una coraggiosa (forse troppo) opera prima che flirta con vari generi, senza però dichiararsi a nessuno.

Trama di A volte nel buio, sometimes in the dark

In un luogo non precisato, in un tempo non precisato, una comunità è afflitta da morti improvvise e da una misteriosa malattia. Giacomo, un bambino capace di vedere i morti, si lega misteriosamente a Gorecki, il capo dei malati. Il rapimento del piccolo scatenerà la terribile e violenta reazione degli abitanti.

Recensione di A volte nel buio

Ho basato la realizzazione di un film complesso come “A volte nel buio” su aspetti per me imprescindibili e che riguardano da vicino il mio modo di fare cinema. Al netto della necessità che avevo di curare personalmente nel modo più maniacale che conoscessi la fotografia e la sonorizzazione del film stesso, ho voluto narrare, partendo da approcci culturali esistenzialisti a me cari, dell’angoscia dell’Uomo, in questo caso coniugato con la figura dell’abitante di un paese montano isolato dal mondo, minacciato da un pericolo incombente, e collegando quella stessa disperazione agli antagonisti, così da rendere l’entanglement così creato una sorta di tema alternativo del film.

Carmine Cristallo Scalzi

Carmine Cristallo Scalzi, qui alla sua prima prova, mette in scena un’opera ermetica e complicata. Un film simbolista che fluttua tra vari generi, dal dramma all’horror, dall’horror al fantasy. Il film è stato pensato dal duo stesso autore come un’opera visuale all’interno della quale la narrazione potesse svolgersi soprattutto attraverso le immagini; e infatti sono proprio le immagini a essere il punto forte di A volte nel buio.

La qualità del lavoro svolto dietro la macchina da presa, un one man show da parte di Cristallo Scalzi, è ineccepibile, quasi da applausi. Le immagini create, a livello strutturale ed estetico, sono formidabili; l’utilizzo del mezzo espressivo da parte del regista/direttore della fotografia è fluido e ben studiato, diviso tra inquadrature fisse e lenti carrelli. La camera diventa qui una biro, e la calligrafia di Scalzi è perfetta. Il contenuto è interessante ma la sintassi è (a malincuore) complicata, molto, troppo.

La sceneggiatura, infatti, risulta essere troppo poco chiara e complicata, quasi impossibile da comprendere a una prima visione (o una seconda, o una terza). Inoltre, il ritmo eccessivamente cadenzato della narrazione rende difficile la normale fruibilità dell’opera.

Un altro passo falso, questa volta eseguito in fase di post produzione, è rappresentato da alcuni effetti speciali che danno l’impressione di essere dozzinali e (troppo) sperimentali.

Positiva, invece, è la scrupolosa e ordinata direzione degli attori, per la maggior parte non professionisti. Tra i protagonisti, per mestiere e carica espressiva, brilla Anna Bellato, già interprete tra gli altri in film di Moretti, Salvatores e Gipi; attrice considerata dallo stesso autore un punto cardine di A volte nel buio. Eccellente è anche la scenografia scarna e l’ambientazione da post apocalisse.

Il film nel suo toto presenta luci e ombre: le belle e ben studiate immagini non alleviano la narrazione, e non evitano di stancare lo spettatore. In breve, il tocco e le capacità del novello regista si sentono e sono evidenti, ma, forse, vengono soffocate della natura sperimentale e indipendente del film; natura che si scontra con le (alte) ambizioni artistiche.

Note positive

  • Grande lavoro tecnico da parte di Carmine Cristallo Scalzi

Note negative

  • Sceneggiatura troppo pesante ed enigmatica
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