Alpha (2024). Una metamorfosi incompiuta tra body horror e coming-of-age

"Alpha" si presenta come un'opera che testimonia il talento visivo e concettuale di Julia Ducournau, ma anche i rischi di un approccio autoriale che non sempre riesce a mantenere l'equilibrio tra ambizione artistica e coerenza narrativa.

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Alpha (2025) ®MANDARIN & COMPAGNIE, KALLOUCHE CINEMA, FRAKAS PRODUCTIONS, FRANCE 3 CINEMA
Alpha (2025) ®MANDARIN & COMPAGNIE, KALLOUCHE CINEMA, FRAKAS PRODUCTIONS, FRANCE 3 CINEMA

Alpha

Titolo originale: Alpha

Anno: 2024

Nazione: Francia, Belgio

Genere: drammatico, horror, thriller

Casa di produzione: Petit Film, Mandarin & Compagnie

Distribuzione italiana: I Wonder Pictures

Durata: 128 minuti

Regia: Julia Ducournau

Sceneggiatura: Julia Ducournau

Fotografia: Ruben Impens

Montaggio: Jean-Christophe Bouzy

Musiche: Jim Williams

Attori: Emma Mackey, Golshifteh Farahani, Tahar Rahim, Finnegan Oldfield, Jean-Charles Clichet, Christophe Perez, Mélissa Boros

Trailer di “Alpha”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

“Alpha” è un film scritto e diretto da Julia Ducournau. La pellicola è prodotta da Petit Film e Mandarin & Compagnie ed è interpretata da Emma Mackey, Golshifteh Farahani, Tahar Rahim, Finnegan Oldfield, Jean-Charles Clichet, Christophe Perez e Mélissa Boros. L’opera, presentata in anteprima il 19 maggio 2025 al 78º Festival di Cannes, esce nelle sale cinematografiche italiane il 18 settembre 2025 grazie a I Wonder Pictures.

Trama di “Alpha”

Negli anni ’80, Alpha, una tredicenne di origini berbere cresciuta dalla madre, torna a casa un giorno con la lettera “A” incisa sul braccio per bravata: sua madre comincia a temere che abbia contratto in questo modo una malattia trasmessa col sangue che pietrifica letteralmente le persone, trasformandole in statue di marmo, come già accaduto a suo fratello Amin anni prima.

Recensione di “Alpha”

Il film di Julia Ducournau, regista che aveva conquistato critica e pubblico con il crudo “Grave” (2016) e il visionario “Titane” (2021), si presenta come un’opera ambiziosa ma profondamente diseguale. “Alpha” tenta di fondere il cinema di genere con una riflessione sui riti di passaggio adolescenziali, ambientando la storia negli anni ’80 e seguendo le vicende di Alpha, una tredicenne di origini berbere che si ritrova al centro di un incubo familiare quando una bravata apparentemente innocua – incidersi la lettera “A” sul braccio – scatena i timori della madre riguardo a una misteriosa malattia che trasforma le persone in statue di marmo.

La premessa narrativa è indubbiamente intrigante. Ducournau costruisce un mondo in cui l’horror corporeo si intreccia con dinamiche familiari complesse, utilizzando la figura del fratello Amin – già vittima della stessa patologia pietrificante – come spettro che aleggia sulla famiglia e sulla protagonista. L’ambientazione anni ’80 viene sfruttata con una certa efficacia visiva, ricreando un’atmosfera nostalgica ma inquietante attraverso una palette cromatica che privilegia toni caldi e terrosi, perfettamente in linea con l’estetica che caratterizza il cinema della regista francese.

Maestria tecnica, fragilità narrativa

Dal punto di vista tecnico, il film presenta alcuni momenti di indiscutibile maestria. La fotografia di Ruben Impens riesce a catturare sia l’intimità domestica che l’orrore crescente con transizioni fluide e inquadrature che sanno quando essere claustrofobiche e quando aprirsi a panoramiche più ampie. Gli effetti speciali, realizzati con un mix di makeup prostetico e CGI, raggiungono picchi di notevole impatto visivo, specialmente nelle sequenze di trasformazione che mostrano il progressivo irrigidimento dei corpi. Ducournau dimostra ancora una volta la sua capacità di rendere il corpo umano un territorio di esplorazione cinematografica, trasformando la carne in qualcosa di alieno e perturbante.

Tuttavia, è proprio nella gestione narrativa che “Alpha” rivela le sue maggiori debolezze. Se “Titane” riusciva a mantenere una coerenza interna nonostante la sua natura surreale, questo nuovo lavoro sembra perdere il controllo della propria trama man mano che procede. Il primo atto costruisce efficacemente l’atmosfera e i rapporti familiari, ma il secondo e terzo atto si disperdono in una serie di subplot che non trovano mai una vera risoluzione soddisfacente. La malattia pietrificante, che dovrebbe costituire il motore principale della tensione drammaturgica, rimane troppo vaga e inconsistente nelle sue manifestazioni, oscillando tra spiegazioni pseudo-scientifiche e suggestioni più apertamente fantastiche senza mai trovare un equilibrio convincente.

La performance di Aïssa Maïga nel ruolo della madre è probabilmente l’elemento più solido del film. L’attrice riesce a trasmettere con credibilità la paura ancestrale di una madre che vede ripetersi un trauma familiare, alternando momenti di protezione materna a esplosioni di panico che risultano genuine e toccanti. Meno convincente risulta invece la giovane Lyna Khoudri nel ruolo della protagonista: pur dimostrando un carisma naturale, la sua interpretazione rimane spesso in superficie, non riuscendo a esplorare completamente la complessità psicologica di un personaggio che dovrebbe fungere da ponte tra innocenza infantile e consapevolezza adulta.

Simbolismo didascalico e ibridazione di genere

Il tema del passaggio all’età adulta, centrale nell’economia narrativa del film, viene trattato con una certa pesantezza simbolica che non sempre risulta efficace. L’incisione della lettera “A” sul braccio – che oltre al nome della protagonista evoca ovviamente “Adult” – rappresenta un simbolismo piuttosto didascalico che Ducournau non riesce a sviluppare con la sottigliezza che caratterizzava i suoi lavori precedenti. La dimensione culturale berbera, che avrebbe potuto arricchire la narrazione con specifici rituali di iniziazione e tradizioni familiari, viene accennata ma mai davvero esplorata, risultando più come un elemento decorativo che come parte integrante della storia.

Dal punto di vista del genere, “Alpha” si colloca in una zona ibrida che non sempre funziona. I momenti di body horror sono certamente efficaci e disturbanti, ma vengono alternati a sequenze più tradizionalmente drammatiche che rallentano il ritmo senza aggiungere particolare profondità emotiva. La regista sembra voler replicare la formula che aveva reso “Grave” un successo internazionale – ovvero l’utilizzo dell’horror come metafora del cambiamento adolescenziale – ma lo fa in modo meno organico e convincente.

La colonna sonora di Jocelyn Pook contribuisce a creare un’atmosfera inquietante ma risulta talvolta ridondante, sottolineando con troppa insistenza momenti che avrebbero beneficiato di una maggiore sottilità. L’editing, pur mantenendo un ritmo generalmente sostenuto, presenta alcuni passaggi poco fluidi che interrompono il flusso narrativo, particolarmente evidenti nelle transizioni tra le scene di vita familiare e quelle più apertamente horror.

Un finale tradito e potenzialità sprecate

Un altro elemento problematico è la gestione del finale, che sembra tradire le premesse stabilite nella prima parte del film. Senza entrare nei dettagli per evitare spoiler, si può dire che Ducournau opta per una risoluzione che risulta insieme troppo aperta e troppo didascalica, lasciando irrisolte questioni narrative fondamentali mentre fornisce spiegazioni eccessive per aspetti che avrebbero beneficiato di maggiore ambiguità.

Nonostante questi difetti, “Alpha” presenta alcuni momenti di genuina potenza cinematografica. Alcune sequenze – in particolare una scena di trasformazione che avviene durante un pranzo familiare – dimostrano come Ducournau sia ancora capace di creare immagini che rimangono impresse nella memoria dello spettatore. La sua capacità di utilizzare il disgusto e la fascinazione come strumenti narrativi rimane intatta, anche se qui viene impiegata con minore precisione rispetto ai lavori precedenti.

Il film solleva anche questioni interessanti riguardo all’eredità familiare del trauma e al modo in cui le paure dei genitori possano influenzare lo sviluppo dei figli. La madre di Alpha, terrorizzata dalla possibilità che la figlia possa subire la stessa sorte del fratello, diventa essa stessa un elemento di pericolo, trasformando l’ambiente domestico in un luogo di sorveglianza e controllo. Questo aspetto psicologico avrebbe potuto costituire il cuore pulsante del film, ma viene sviluppato in modo insufficiente.

In Conclusione

“Alpha” si presenta come un’opera che testimonia il talento visivo e concettuale di Julia Ducournau, ma anche i rischi di un approccio autoriale che non sempre riesce a mantenere l’equilibrio tra ambizione artistica e coerenza narrativa. Il film funziona a tratti come esperienza sensoriale e come riflessione sui meccanismi dell’horror familiare, ma fallisce nel creare quella sintesi perfetta tra forma e contenuto che aveva caratterizzato i successi precedenti della regista. Per gli estimatori del cinema di genere e dell’opera di Ducournau rimane comunque una visione interessante, pur con tutti i suoi limiti. Per il pubblico più ampio, potrebbe risultare un’esperienza frustrante, che promette più di quanto riesca effettivamente a mantenere.

Un film che conferma il talento della sua autrice ma che la mostra ancora alla ricerca di una nuova formula espressiva dopo i trionfi passati. Un passo laterale più che un passo avanti nel percorso artistico di una delle voci più interessanti del cinema contemporaneo francese.

Note Positive

  • Regia
  • Recitazione
  • Effetti visivi
  • Trucco

Note Negative

  • Scrittura
Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Interpretazione
Emozione
SUMMARY
3.5
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Renata Candioto
Renata Candioto

Diplomata in sceneggiatura alla Roma Film Academy (ex Nuct) di Cinecittà a Roma, ama il cinema e il teatro.
Le piace definirsi scrittrice, forse perché adora la letteratura e scrive da quando è ragazzina.
È curiosa del mondo che le circonda e si lascia guidare dalle sue emozioni.
La sua filosofia è "La vita è uguale a una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita".