Caltiki il mostro immortale (1959): Tra fantascienza e horror

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Caltiki il mostro immortale locandina

Caltiki il mostro immortale

Titolo originale: Caltiki – Il mostro immortale

Anno: 1959

Paese: Italia

Genere: HorrorFantascienza

Distribuzione: Lux Film

Durata: 76 min

Regia: Riccardo Freda

Sceneggiatura: Filippo Sanjust

Fotografia: Mario Bava

Montaggio: Salvatore Billitteri

Musiche: Roman Vlad, Roberto Nicolosi

Attori: John Merivale, Didi Perego, Gérard Herter, Daniela Rocca, Giacomo Rossi Stuart, Daniele Vargas, Rex Wood, Gail Pearl, Vittorio André, Nerio Bernardi, Arturo Dominici, Daniele Pitani

Trailer americano di Caltiki il mostro immortale

Trama di Caltiki il mostro immortale

Durante una spedizione in una giungla messicana, Fielding e Gunther, due scienziati, scoprono un’antica statua raffigurante la dea della morte Caltiki. Da questo ritrovamento un orribile mostro riemergerà dalle profondità di un lago aggredendo lo scienziato Gunther, ma ormai è stato contagiato ed è destinato a mutarsi in un terrificante mostro.

Recensione di Caltiki il mostro immortale

Caltiki il mostro immortale ha l’importanza di far esordire insieme a La Morte viene dallo spazio la fantascienza nel panorama cinematografica italiano, per la regia di Riccardo Freda, sotto le pseudonimo di Robert Hampton, cineasta che nel corso della sua carriera ha sperimentato vari generi filmici. Questo lungometraggio del 1959 è erroneamente considerato un film minore nella filmografia di Freda, tanto da venire erroneamente attribuito a Mario Bava che lavora esclusivamente all’immagine essendo nella veste di direttore della fotografia apportando importanti miglioramenti tecnici a livello degli effetti speciali.

In verità Caltiki il mostro immortale risulta essere un film di svolta nella carriera del regista che dal ’59 al ’60 cambia completamente il suo tipo di approccio narrativo e cinematografico, passando dalle grandi opere peplum basate su un’interazione molto forte con la cultura e la letteratura soprattutto ottocentesca rivolta al gusto popolare, diviene il cineasta della claustrofobia inondando le sue opere di una cupezza generale e introducendo il genere dello scienziato che mette in dubbio tutta la propria esistenza, oltre a imporre la centralità assoluta della figura femminile all’interno del racconto visivo, come possiamo denotare già nel manifesto originale del lungometraggio.

Nonostante abbi trovato poco successo da parte della critica del tempo che guardò con poco interesse il film di Freda scrivendo su di esso poche righe, Caltiki il mostro immortale appare come un film di enorme complessità possedendo una struttura dipartita molto forte, poiché se la prima parte della sceneggiatura propone un genere tendente all’avventura con sfumature archeologiche legate al mitologico in uno scenario come la Guatemala nel Centro America, la seconda parte del film rimescola tutte le carte drammaturgico trasportandoci all’interno di un film di genere completamente divergente.

Fin dal suo incipit il lungometraggio di Freda e Bava assume una sua connotazione molto divergente dai classici film di fantascienza girati nella terra di Hollywood, aprendosi con una voce narrante che risulta al fine una falsa pista risultando una scelta molto forte del cineasta. Il prologo stesso va a collocare molto precisamente l’orizzonte narrativo del film al pubblico andando a spiegare il legame di un’antica popolazione con l’astronomia e l’avanzamento della scienza e il grande enigma della storia come la scomparsa dalla civiltà Maya, poi si mette l’accento sulla leggenda popolare che fa riferimento alla Dea immortale Caltiki, che risulta essere una falsa pista all’interno del lungometraggio poiché non abbiamo la Dea che compare e distrugge tutto ma un Blob, una sostanza che è futto e simbolo di una degenerazione organica e non certo l’immaterialità che evocherebbe la Dea con lo spirito sovrannaturale. Nell’incipi lo sceneggiatore gioca sun un terreno di forte esibizione: da un lato abbiamo la presenza della voce over con il narratore che spiega leggende e dona informazione con nozioni false che danno vita al lato della falsa pista.

In Caltiki il mostro immortale passato e futuro vengono mesi in forte interazione, per non dire in collisione tra loro. Da un lato la civiltà dei Maya, dall’altro la maledizione che proietta i suoi anatemi nel futuro, quindi da un lato la leggenda, dall’altro la profezia; il passato delle rovine contro un paesaggio che visivamente e iconograficamente richiama le lande desolate post – apocalittiche o lunari, e non il sito archeologico rigoglioso, ricco di tradizione e passato. Il tema dell’archeologia del futuro compare qui per la prima volta nella storia del cinema venendo successivamente ripreso da Bava, Ridley Scott e Kubrik, sia enunciato a livello verbale, sia a quello visivo.

Le sfumature narrative di Caltiki il mostro immortale

Il lungometraggio, che possiede una commistione di generi tra fantascienza e horror possiede in sé numerose tematiche o filino di genere che verranno sviluppati nel proseguo del cinema. In primis è riscontrabile il tema della possessione; già all’inizio del film pensavamo di stare guardando l’esplosione della distruzione della civiltà Maya, ma le stesse immagini viste nel prologo ottengono una nuova ricontestualizzazione all’interno del film con il nostro archeologo impazzito e allucinato. Collegato a questo rintracciamo il tema del contagio mostrato con l’archeologo in stato allucinatorio, che sembra pronunciare parole che non si capisce nemmeno se arrivano dalla sua coscienza definendo una perdita di sé dovuta ad un contagio.

Possiamo inoltre rintracciare la tematica epica della discesa agli inferi collegata con l’archeologia del futuro, della discesa, del ritorno nel passato per riuscire a capire il futuro, in parte ripresa da varie leggende come quella di Maciste stesso che va all’inferno, oltre a una ripresa della tradizione cristiana: l’itinerario verso Dio, la discesa, che diventa un elemento molto forte. C’è questo laghetto maledetto, ed è la discesa del passato, il tempo sembra essersi fermato a quello dei Maya, con anche i suoi mostri che si sono bloccati lì, e che vengono liberati

Elemento fortemente Frediano: La presenza della donna. Tutta la cinematografia di Freda è fortemente accostata alla figura femminile, addirittura a quella particolare della Canale, sua moglie, che interpreta molti dei suoi film. La figura della donna diventa elemento centrale fin da subito anche in questo film; non è semplicemente la moglie di un personaggio, ma è una protagonista a tutti gli effetti, stabilisce delle decisioni, e nella seconda parte narrativa diventa il vero motore della storia. Narrativamente si intuisce non essere solo una vittima, spettatrice, comprimaria, e anche visivamente, con questa caratterizzazione di matrice Hollywoodiana, tra la bionda e la mora, quella dai lineamenti delicati, e quella con quelli pesanti, e da lì a poco viene anche amplificata attraverso il personaggio di Linda che si cimenta in una danza selvaggia, rituale, che anche lì rilancia il tema della perdita di se, e di coscienza, che diventa la parte negativa, contrapposta la figura della donna delicata alla figura della donna malefica in modo manicheo, che si accompagna al male, sarà compagna fin dall’ultimo del nostro contagiato e trasformato studioso.

Elemento tecnologico estraneo al peplum, anche all’horror, ma tipico della fantascienza: il rilevamento delle radiazioni, altro tema legato al nucleare e all’atomica, grande tema di attualità. Poi provette, prelievi. La cinepresa che viene trovata e documenta una testimonianza diretta; la seconda parte di questo inizio è dominata da questa testimonianza oculare. Tematica del testimone oculare, della sua fallacia, della sua limitatezza della visione, si giocherà tutto il giallo all’italiana, che anche lo stesso Freda si cimenta, col mito del testimone oculare che certifica coi suoi occhi l’accadimento.

L’effetto speciale tecnologico, lo schermo nello schermo, lo sfruttamento di un mascherino che consente di creare l’illusione di questa proiezione, trucco che valorizza l’aspetto tecnologico. Il fatto che si cominci con chi li ha riprese è geniale, è messo a tema che se c’è un’ immagine ha un origine, ha una fonte, un punto da cui è stata ripresa. L’inserimento di questo elemento è lasciato in tutta la sua complessità, non è solo la possibilità di andare a vedere e trovare il mostro, tipico funzionamento fantascientifico dello smascheramento, non solo l’ipertecnologia che riporta questo orizzonte mitologico e avventuroso alla realtà, alla cronaca e alla concretezza della fantascienza, ma anche l’interrogarsi sulla visione: Chi vede? Chi guarda Chi riprende?

Freda lavora su un riciclo parziale interno, l’ostentata esibizione del riuso, come prima l’immagine del vulcano che erutta del prologo che la rivediamo identica, però diversa; quando anche il nostro archeologo impazzito scappa, ripercorriamo la discesa tre o quattro volte con lo stesso punto di vista. L’immagine traballa, e questo differisce dall’immagine precedente, è una variazione.

La presenza femminile si connota con un erotismo molto forte: Lei è a letto, i baci sono appassionati; anche la relazione tra Linda e l’altro ricercatore è impostata subito in modo molto carnale. Lei in tutto il finale sarà in camicia da notte, in una svolazzante camicia da notte, estremamente erotica. L’ingresso della donna è l’ingresso dell’erotismo ed è un altra caratteristica tipicamente italiana non solo nella fantascienza ma anche di contaminazione con l’horror. Nella terza discesa, si va ancora più nella profondità del lago. Parallelismo tra l’astronauta e il palombaro, colui che va sott’acqua. Da una situazione idilliaca a quella più tragica, il tutto sottolineato dalla musica. C’è una ripetizione che gioca sul concetto delle immagini; la dimensione narrativa si sfrangia, è sempre la stessa roba, ma si valorizza la percezione visiva, e il fatto che non succede niente favorisce il concetto della suspense, lo spettatore sa che qualcosa deve succedere, è in attesa, costruendo una temporalità in modo molto forte. E’ la parte in cui l’ibridazione con l’horror è più forte, lo show down. Noi rimaniamo con gli occhi spalancati di questo subacqueo, il fuori campo ci è completamente precluso nella tipica logica dell’horror, e poi ecco che abbiamo il volto scarnificato dal mostro, e poi l’immagine successiva ci mostra addirittura dal punto di vista del mostro, con la macchina immersa nel blob che ci mostra la reazione degli archeologi. Freda in questa scena ci spiega già che l’unica cosa che può ammazzare il mostro è il fuoco, e venti minuti dall’inizio il nostro scienziato ci scaglia contro un camion pieno di benzina  e riuscirà a eliminare questo blob, peccato però che la scienza avrà la meglio, con questi residui di materia decomposta (Separata, disgregata) che sono rimasti nel braccio di Max, vengono portati nella civiltà per essere studiati ed esaminati.

L’incipit gioca sulla ripetizione alternando elementi solo apparentemente eterogenei tra di loro; nella parte centrale la scienza e la biologia dominano, con l’astronomia, e una matrice fantascientifica molto forte che poi nella storia del genere si perderà. C’è l’entrata in scena con questo film del contagio; Max è stato colpito nel braccio trasformandosi progressivamente nel corso del film in un essere molto malvagio, con la donna vero punto di riferimento e motore. L’aggressività nel finale, con la rivalità professionale, si scatena contro John, e si scatena anche contro la ragazza. Uomo deformato dal contagio, con la materia che si sta riproducendo e sta costituendo una seria minaccia, perché John il laboratorio ce l’ha in casa ed è a stretto contatto con la famiglia. Per il passaggio di una cometa, le radiazioni sono fortissime, e John corre a casa perché ha paura che i piccoli campioni di laboratorio possano crescere; atmosfere cariche di cupezza e ambiguità semantica: Nella fotografia che Bava utilizza per questo film. La donna, pur madre e sposa, ma visivamente è tutt’altro, sembra la femme fatal del noir, con le ombre, le linee che la tagliano, con lo sguardo e la mise che va nella direzione dell’erotismo, nella dimensione provocante. E’ l’oggetto del desiderio sia del blob, che del pazzo posseduto e trasformato che cerca d’insidiarla.

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