
I contenuti dell'articolo:
Clinical
Titolo originale: Clinical
Anno: 2017
Nazione: Stati Uniti d’America
Genere: Drammatico, Thriller
Casa di produzione: Campfire
Distribuzione italiana: Netflix
Durata: 104 minuti
Regia: Alistair Legrand
Sceneggiatura: Luke Harvis, Alistair Legrand
Fotografia: John Frost
Montaggio: Blair Miller, Yvonne Valdez
Musiche: Ian Hultquist
Attori: Vinessa Shaw, Kevin Rahm, India Eisley, Aaron Stanford, Nestor Serrano, Wilmer Calderon, Sydney Tamiia Poitier, William Atherton, Dion Basco, Adrian Flowers
Trailer di “Clinical”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Il 13 gennaio 2017 è stato distribuito su Netflix il thriller Clinical, secondo lungometraggio diretto dal cineasta Alistair Legrand, che torna dietro la macchina da presa dopo aver diretto, nel 2015, l’horror fantascientifico The Diabolical. La pellicola, sceneggiata dallo stesso Legrand insieme a Luke Harvis — con cui aveva già collaborato per la realizzazione del film precedente — vede nei ruoli principali Vinessa Shaw (Le colline hanno gli occhi, 2006; Quel treno per Yuma, 2007; Hocus Pocus, 1993), Kevin Rahm (Lo sciacallo – Nightcrawler, 2014; Mad Men, 2010–15) e India Eisley (Underworld – Il risveglio, 2012; Look Away – Lo sguardo del male, 2018).
Trama di “Clinical”
È il periodo di Natale. Jane Mathis, psicologa specializzata in terapia del confronto, aiuta i suoi pazienti a superare traumi personali. Si trova nel suo studio, al lavoro come sempre, quando si presenta davanti a lei una sua paziente: Nora Green, affetta da un grave disturbo post-traumatico. La giovane è completamente ricoperta di sangue — non suo — e stringe in mano un pezzo di vetro tagliente. Nora, in stato confusionale, aggredisce la psicologa, ferendola alle braccia, per poi tentare il suicidio, tagliandosi la gola.
Due anni dopo, sempre nel periodo natalizio, Jane fatica ancora a elaborare ciò che è accaduto, traumatizzata da quella notte. La psicologa si sente colpevole, non essendo riuscita a salvare quella povera ragazza, ora rinchiusa in un ospedale psichiatrico. A causa di ciò che è successo, Jane ha cambiato approccio professionale e modo di relazionarsi ai pazienti. In primis, ha deciso di non seguire più casi gravi di traumi personali; in secondo luogo, ha scelto di non somministrare più farmaci, quelle pillole che, forse, hanno contribuito a distruggere la mente di Nora. Nonostante questa decisione, Jane fa costante uso di medicinali, nel tentativo di dormire e di non pensare più a quella notte.
Un giorno, però, Mathis riceve una strana chiamata: un uomo misterioso, segnato da un profondo trauma interiore, vuole essere curato da lei — e solo da lei. Inizialmente la psicologa rifiuta, non sentendosi pronta, ma su insistenza dell’uomo accetta di incontrarlo. Alex — questo il suo nome — è rimasto gravemente sfigurato al volto in seguito a un incidente automobilistico, trasformandosi in una sorta di “freak”. Non riesce ad accettare la nuova immagine di sé e prova un profondo smarrimento personale.
La dottoressa cercherà di aiutarlo, ma i suoi fantasmi interiori, connessi a Nora Green, stanno tornando sempre più forti. Jane teme di essere seguita dalla giovane, recentemente dimessa dall’ospedale psichiatrico — non perché guarita, ma perché nessuno pagava più per la sua cura.
Recensione di “Clinical”
Non è una pellicola malvagia Clinical — è un film che, se sviluppato diversamente, avrebbe potuto presentare elementi drammaturgici interessanti e risvolti non del tutto banali, soprattutto per via dei suoi personaggi, che possiedono una loro tridimensionalità interiore, risultando agli occhi del pubblico sfaccettati e complessi, dove il bianco e il nero si mescolano profondamente, dando vita a figure ricche di sfumature e dunque dal sapore realistico.
I caratteri principali della vicenda possiedono, senza ombra di dubbio, una certa complessità narrativa, almeno sulla carta — una profondità che però il film non riesce a sviluppare sullo schermo, per via di uno script non all’altezza nella scrittura dei dialoghi (seppur mai completamente finti) e nella costruzione delle scene; per via di una regia fin troppo didascalica, incapace di generare pathos; per via di una fotografia piatta e banale, che non valorizza né ambientazione né personaggi; e infine per delle prove attoriali poco riuscite, in particolare quella di Vinessa Shaw e degli interpreti secondari, che non riescono a calarsi nei rispettivi ruoli, ripetendo la stessa espressione per gran parte della narrazione. Il risultato è una rappresentazione falsata e artificiale, aggravata anche da un doppiaggio italiano poco incisivo. Più interessante risulta la performance di Kevin Rahm nei panni di Alex — probabilmente il personaggio più riuscito — ma anche la sua interpretazione, alla lunga, perde forza, non riuscendo a donare la tensione necessaria a un ruolo che, a livello visivo e concettuale, risulta invece ben costruito.
Il problema centrale della pellicola è proprio la sua volontà di costruire una narrazione fondata su un colpo di scena forte e potente. Il guaio è che, a causa della sceneggiatura non riuscita, delle prove attoriali deboli e di una regia anonima, il film rivela il twist narrativo già a metà pellicola — svelando in modo evidente il suo stesso inganno. Questo toglie ulteriore forza al racconto, che nell’ultima parte drammaturgica diventa prevedibile, vanificando quel minimo di pathos che avrebbe potuto salvare almeno il finale. Persino lo scontro tra villain e protagonista, che dovrebbe rappresentare il climax, è costruito attraverso una regia incapace di valorizzare il materiale drammaturgico. Dunque, il film, sulla carta, presenta personaggi intriganti (non quelli secondari però) e un potenziale emotivo interessante, ma lo script non riesce a trasformare quella promessa in efficacia narrativa. Peccato
L’impossibilità di guarire dai propri traumi
Ciò che è possibile salvare in questa pellicola è il tema stesso del film: un elemento che dona spessore ai suoi personaggi principali — Dottoressa Jane Mathis, Alex e Nora — tre caratteri narrativi resi interessanti proprio grazie ai traumi interiori che li definiscono a livello umano e psicologico. La narrazione affronta le loro difficoltà e la lotta per superare un passato doloroso, delineando percorsi emotivi tutt’altro che semplici.
La dottoressa Mathis deve confrontarsi con l’aggressione fisica subita e, soprattutto, con il senso di colpa per non essere riuscita a salvare una paziente. Per affrontare tutto questo, assume farmaci, in aperto contrasto con le scelte terapeutiche che propone ai propri pazienti. Alex deve superare i traumi interiori del passato e quelli derivanti dalla sua sfigurazione, cercando di accettarsi per ciò che è diventato — per il volto che ha ora. Allo stesso tempo, Nora è costretta ad affrontare la violenza sessuale subita da parte del padre, un abuso costante che l’ha condotta a una profonda crisi e a una disperazione interiore.
Il trauma è dunque il motore narrativo che caratterizza sia i personaggi principali sia il tessuto drammaturgico della storia. Tuttavia, il film pecca di una costruzione realmente avvincente, soprattutto per quanto riguarda i personaggi secondari, che avrebbero potuto — e dovuto — contribuire maggiormente alla definizione psicologica della protagonista, mettendo in luce aspetti più sfaccettati della sua personalità attraverso situazioni rivelatrici.
Il trauma, così, risulta il nucleo tematico dominante ma anche il limite dell’opera, che non riesce mai a superarlo né a espanderlo in modo dinamico. Il risultato è una struttura narrativa che, alla lunga, diventa prevedibile e ridondante, impoverendo l’intera drammaturgia.
Parallelamente alla narrazione centrata sul trauma, il film sembra proporre una critica al sistema psicologico americano. Da un lato, mostra come gli psicologi, in fondo, siano persone come tutte le altre, con problemi irrisolti — come nel caso della protagonista, Jane Mathis, che non riesce a gestire la propria colpa e dipendenza farmacologica. Dall’altro, viene messa in discussione l’istituzione stessa, che dimette una paziente non guarita, Nora Green, soltanto perché, dopo la morte dei familiari, nessuno paga più la retta per mantenerla nell’istituto. Una decisione che mette in libertà una persona potenzialmente pericolosa — per gli altri e soprattutto per sé stessa.
Anche la parte finale della pellicola sembra esprimere una critica esplicita agli ospedali psichiatrici, ritenuti non adatti a prendersi realmente cura dei propri pazienti. Il film suggerisce che dietro l’apparente neutralità clinica si celino meccanismi sistemici disfunzionali, incapaci di garantire supporto umano e sostenibilità terapeutica.
In conclusione
Clinical è un film che ambisce a scavare nell’animo umano attraverso i traumi e le fragilità dei suoi protagonisti, ma si ferma a un passo dal riuscirci davvero. Pur toccando tematiche forti e potenzialmente profonde — dal senso di colpa alla violenza, dalla dipendenza alla deformazione del corpo — il film inciampa nella sua stessa messa in scena, sacrificando tensione e verosimiglianza a favore di un twist che arriva troppo presto e troppo scoperto. Ne risulta un’opera che promette molto, ma offre poco, lasciando il pubblico con la sensazione che un buon soggetto sia stato raccontato nel modo sbagliato.
Note positive
- Personaggi principali strutturati con un interessante background psicologico
Note negative
- Regia piatta e incapace di creare tensione
- Sceneggiatura debole e twist narrativo troppo prevedibile
- Prove attoriali poco efficaci, in particolare nel cast secondario
- Fotografia banale e doppiaggio italiano poco incisivo
- Finale anticlimatico e privo di impatto
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Fotografia |
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Colonna sonora e sonoro |
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Interpretazione |
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Emozione |
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1.9
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