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Diamanti
Titolo originale: Diamanti
Anno: 2024
Nazione: Italia
Genere: Commedia, Drammatico
Casa di produzione: GreenBoo Production, R&C Produzioni, Faros Film
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 135’
Regia: Ferzan Özpetek
Sceneggiatura: Elisa Casseri, Carlotta Corradi, Ferzan Özpetek
Fotografia: Gian Filippo Corticelli
Montaggio: Pietro Morana
Scenografia: Deniz Göktürk Kobanbay
Costumi: Stefano Ciammitti
Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
Attori: Luisa Ranieri, Jasmine Trinca, Sara Bosi, Loredana Cannata, Geppi Cucciari, Anna Ferzetti, Aurora Giovinazzo, Nicole Grimaudo, Milena Mancini, Paola Minaccioni, Elena Sofia Ricci, Lunetta Savino, Vanessa Scalera, Carla Signoris, Kasia Smutniak, Mara Venier, Giselda Volodi, Milena Vukotic, Stefano Accorsi, Luca Barbarossa, Vinicio Marchioni, Valerio Morigi, Edoardo Purgatori, Carmine Recano
Trailer di “Diamanti”
Informazioni sul film e dove vederlo
Diamanti è il quindicesimo film diretto dal regista Ferzan Özpetek. L’autore turco torna al grande schermo dopo la parentesi con Netflix – Nuovo Olimpo (2023). La nuova opera, che nella consuetudine di Özpetek va a spezzare il suo legame con il mondo queer, è ambientata a Roma negli anni Settanta, con dei richiami quasi documentaristici al presente che si ricollegano a momenti di preparazione del film.
La sceneggiatura è scritta dallo stesso Özpetek insieme a Carlotta Corradi ed Elisa Casseri e segna una linea di discontinuità rispetto alla collaborazione con Gianni Romoli, coautore in quasi tutte le sue pellicole precedenti. Diamanti è un film corale che vede la partecipazione di diciotto attrici italiane, molte delle quali hanno già lavorato con l’autore turco.
La colonna sonora contiene due brani inediti che vedono il ritorno alla collaborazione di Mina e Giorgia. Prodotto da Greenboo Production di Marco Belardi in collaborazione con R&C Produzioni e in co-produzione con Faros Film, Diamanti è distribuito nelle sale italiane da Vision Distribution a partire dal 19 dicembre 2024.
Trama di “Diamanti”
Il film racconta il cinema dal punto di vista del costume, immergendosi in una narrazione che intreccia solitudini, passioni, ansie e legami indissolubili. Le vite delle attrici si fondono con quelle dei loro personaggi, mescolando realtà e finzione, competizione e sorellanza, visibile e invisibile.
Il tutto avviene in una Roma anni Settanta, nella Sartoria Canova, dove i personaggi vivono intricati nei ricordi di amori perduti, nella nostalgia di vite passate, nelle bugie confortanti, nella reticenza, nel divismo e nell’ansia da prestazione. La sartoria è un crocevia di storie personali e collettive, impegnata nella titanica impresa di completare i costumi di un kolossal ambientato nel Settecento.
Alberta gestisce l’attività con pugno di ferro, mentre la sorella Gabriella, con un lutto ancora non risolto, cerca di mediare tra la rigidità della sorella e le esigenze delle lavoratrici. Intorno a loro gravitano le più disparate figure: la ragazza madre in difficoltà economica, la donna maltrattata dal marito, l’emancipata, la lavoratrice sopra le righe che nasconde un dolore privato e la giovane ribelle in fuga dalla polizia che scopre il suo talento.
Un viaggio che intreccia storie personali e collettive, solitudini e legami, in un’ode alla resilienza e alla dignità delle donne.
Recensione di “Diamanti”
Partiamo da un dato di fatto: Ferzan Özpetek sa fare il suo mestiere. Riesce a circondarsi di professionisti che lo supportano nella sua visione artistica e quei pochi che magari non sono ancora svezzati li accompagna per mano. La sua linea autoriale è riconoscibile da quasi trent’anni: fotografia vivida e spesso satura, costumi ben ricercati, musiche d’accompagnamento ad amplificare status emotivi già di per sé evidenti.
Il regista turco, poi, usa furbamente un cast attoriale che conosce, su cui andare sul sicuro e quelle poche eccezioni se le concede grazie a una lungimiranza che raramente lo porta a sbagliare. In questo caso specifico, avere un cast con diciotto attrici non lo ha distolto dalla sua idea ma, anzi, lo ha agevolato.
Una storia di donne con ogni singola attrice perfetta nel proprio ruolo
Le donne coinvolte sono, in mero ordine alfabetico: Sara Bosi, Loredana Cannata, Geppi Cucciari, Anna Ferzetti, Aurora Giovinazzo, Nicole Grimaudo, Milena Mancini, Paola Minaccioni, Luisa Ranieri, Elena Sofia Ricci, Lunetta Savino, Vanessa Scalera, Carla Signoris, Kasia Smutniak, Jasmine Trinca, Mara Venier, Giselda Volodi e Milena Vukotic.
Alcune alla prima esperienza con Özpetek, altre invece sono delle vecchie conoscenze. E non ha senso identificare chi fa parte della prima e chi della seconda categoria perché tutte sono funzionali e hanno espresso al massimo le loro capacità interpretative. Alcune sono state magari relegate a ruoli più caratterizzati, di rottura drammatica, come Signoris, Cucciari e Venier – quest’ultima confinata a fare la “zia” delle donne dell’atelier, cosa che ripropone da anni sugli schermi di Rai1. Ma nessuna di loro si è fatta fagocitare dal personaggio.

Luisa Ranieri e Jasmine Trinca, che sono il trait d’union della storia, danno uno spessore emotivo, in maniera molto differente, che va oltre il personaggio. L’attrice napoletana calza la maschera neutra, a volte implacabile per il tono assunto, che la porta a ben contenere un carattere disegnato in maniera aspra dalla sceneggiatura. Trinca, come la collega, ha trovato la giusta via per dosare la sofferenza de suo personaggio rinchiudendolo in un limbo di astrazione che le conferisce spessore emotivo.
Nuovi ingressi femminili e uomini oggetto superflui
Fra le new entry, da segnalare Geppi Cucciari, che ha preso il ruolo di rottura una volta a carico di Paola Minaccioni – in questo film in una veste nuova. La sua comicità irriverente è quella a cui siamo abituati ma che è ben innestata in tutto il meccanismo filmico. Altro nuovo ingresso è Vanessa Scalera, attrice che ha raggiunto la popolarità grazie alla serie tv Imma Tataranni – Sostituto Procuratore e che, ad ogni nuova produzione, non fa altro che confermare la sua abilità nel calzare personaggi differenti.
In un cast attoriale femminile senza alcuna sbavatura, quello maschile risulta secondario, quasi irrilevante. Stefano Accorsi, Luca Barbarossa, Vinicio Marchioni, Edoardo Purgatori, Carmine Recano, Lorenzo Franzin, Antonio Iorio, Antonio Adil Morelli, Valerio Morigi, Dario Samac, Edoardo Stefanelli ed Erik Tonelli.
Ai più strutturati, fra cui Accorsi, Marchioni e Purgatori, si affiancano ruoli di giovin virgulti che hanno sempre aleggiato nei film di Özpetek. La differenza sta nel fatto che ogni personaggio maschile è secondario alla storia, non è indispensabile, e per quanto possano essere funzionali alla narrazione, se ne sarebbe potuto fare a meno. Ciò non inficia sulla loro resa che non sfigura rispetto a quello delle colleghe, ma i personaggi sono decisamente caricaturali e asserviti a una storia per certi versi banale.
Una storia svogliata non all’altezza della narrazione
Perché, in tutto ciò, quello che funziona meno è proprio la storia. L’autore turco, orfano di Gianni Romoli, in questo caso si affida a diversi canovacci che cerca poi di imbastire insieme. Alcune di queste storie sono oramai consuete e non hanno lo spessore che meriterebbero. La violenza domestica, i figli disagiati, persino il lutto per la perdita di un figlio vengono gettati sullo schermo senza un minimo di approfondimento. E se gli attori coinvolti sono bravi a cercare di dare il giusto spessore, ciò non toglie che rimane qualcosa di incompiuto, a maggior ragione se rapportato all’ambientazione anni Settanta – appena sventolata fra qualche ripresa tv d’epoca e una manifestazione politica.
Özpetek pare annoiato, in qualità di sceneggiatore, e invece si affida completamente al suo cast. Non solo attoriale ma anche tecnico, che lo supporta in questo suo sogno. I costumi di Stefano Ciammitti, le scenografie di Deniz Kobanbay e la fotografia di Gian Filippo Corticelli donano alla pellicola un surplus non indifferente. Anche le musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia, per quanto ridondanti, riportano alla magia ferzaniana. Per non parlare degli innesti delle canzoni inedite di Giorgia e Mina.

Milena Mancini in un frame (credit Stefania Casellato)
La noia del regista turco, del resto, non è una novità ed è il proseguimento di ciò che aveva iniziato con Nuovo Olimpo. La sensazione è che non voglia raccontare delle storie ma sia più concentrato a portare sugli schermi la “sua” storia. Con la scusa del meta-cinema, Özpetek vuole diventare altrettanto protagonista quanto i suoi interpreti. E se in Nuovo Olimpo ciò era affidato ad alcune battute – ad esempio, l’intervista al giovane regista – o scene, in questo caso non lesina a mostrarsi e a prendersi prepotentemente lo spazio sulla pellicola.
Navigando fra meta-cinema ed egocentrismo
La scena iniziale – il classico banchetto che Özpetek non tralascia mai – è l’incipit di una storia dove afferma e determina la sua presenza. Una partecipazione che gli prende la mano e che ce lo ripropone in alcuni momenti decontestualizzati che poco hanno a che fare con il poietico e molto con l’egoriferimento. A Özpetek non riesce ciò che fece, ad esempio, Fellini con il suo 8½ dove il regista romagnolo aveva creato una struttura autoincensante ma velata dall’onirico.
Perfino la scena con una delicata Elena Sofia Ricci diventa una forzatura, consegnandole la parte della deferente attrice che poco che le si confà. Il regista turco sembra abbia la necessità di un riconoscimento plateale e, guarda caso, si espone direttamente in un film in cui la tematica lgbtqi+ è completamente assente. Sarà un caso ma porta a riflettere, soprattutto chi segue il suo lavoro dagli albori.
In conclusione
Diamanti è un film delicato, violento ironico, estetico. Non può lasciare indifferente. Il lavoro corale dei tecnici e degli attori è davvero degno di nota, ma non ci si aspetti di trovare un film compiuto. Le tante suggestioni impresse nella pellicola colpiscono ma, allo stesso tempo, lasciano un senso di vuoto che contrasta con la continua presenza del regista sullo schermo.
Diamanti è la rappresentazione della sua locandina: un bel vestito passionale ed ampio che però è diverso da quello che poi si vede sul grande schermo, fatto di coni e una dinamica che contrastano con l’aspettativa.
Note positive
- Ottimo cast
- Costumi ben contestualizzati
- Colonna sonora e canzoni calzanti
Note negative
- L’ego del regista
- Storia non lineare e, per certi versi, banale
Regia |
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Fotografia |
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Sceneggiatura |
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Musiche |
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Interpretazione |
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SUMMARY
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6.6
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