Dichiarazioni sul lungometraggio Piggy (2022)

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Sinossi film:

L’adolescente Sara è schernita e bullizzata costantemente dai suoi coetanei. Incompresa anche dalla sua stessa famiglia, la ragazza vive un’esistenza isolata. Ma quando, dopo l’ennesimo abuso da parte di alcune compagne, avrà l’inaspettata occasione di vendicarsi delle sue aguzzine, scoprirà quanto può essere semplice passare da vittima a carnefice.

Tra Carrie e Non aprite quella porta, Piggy è uno slasher psicologico mozzafiato, inquietante e sanguinario splendidamente diretto dalla nuova maestra dell’horror iberico Carlota Pereda e sorretto dalla feroce interpretazione di Laura Galán.

Di cosa parla Piggy?

Carlota Pereda – Regista

PIGGY è la storia di una ragazza che vuole integrarsi. Fa paura perché è tutto vero, è l’adolescenza nella sua forma più brutale e ci si può rispecchiare in Sara. Per un adolescente in sovrappeso, l’ansia sociale può essere paralizzante e orribile quanto un omicidio. PIGGY è la storia di Sara. Una storia che la maggior parte di noi ha vissuto da una parte o dall’altra. Siamo stati tutti adolescenti, goffi e senza cervello. È capitato a tutti di non opporsi alle ingiustizie o di aver nascosto chi siamo veramente per integrarci. Da giovane appartenente alla comunità LGBTQIA, sono cresciuta non dichiarata, nascondendo i miei veri sentimenti, ridendo quando le persone facevano battute a mie spese e partecipando quando, invece, erano rivolte agli altri. Tutto pur di sopravvivere. La storia di Sara è simile alla mia e a quella di innumerevoli adolescenti impacciati e oppressi dal peso delle loro famiglie e di una società che impedisce loro di essere sé stessi. La differenza è che Sara non può nascondere il suo corpo o il suo senso di colpa. Nessuno è indifferente in un piccolo paesino. Ci si conosce tutti. L’invisibilità non è un’opzione. Da qui il detto: piccola città, grande inferno. Come autrice, mi sento in dovere di mostrare le conseguenze di questo tipo di violenza che è ormai completamente normalizzata. È fondamentale che questa storia venga raccontata e che venga raccontata ora. PIGGY è un inno a tutti i tipi di diversità. Anche morale. Sara non è magra, né bella, né buona. Ma è umana e, in quanto tale, alla fine riesce ad accettare sé stessa e a essere libera. PIGGY è anche una storia di redenzione. Perché se non riusciamo a spezzare il ciclo della violenza, continuerà all’infinito. Il cinema non può cambiare il mondo, ma può mostrarci la vita da una prospettiva diversa. Mettersi nei panni dell’altro è importante e una volta che lo si fa, non si può più guardarlo allo stesso modo. Come disse Marcel Proust: “Un vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Questo è PIGGY. Quella del viaggio dell’eroe è una storia trita e ritrita, così come lo sono le storie di formazione di ragazzine innamorate che scoprono la sessualità. Ma non abbiamo mai visto la storia di una ragazza come Sara, imperfetta, vittima del suo aspetto e del ruolo assegnatole dalle persone che vivono nel paesino in cui, per caso, è nata. Una ragazza che commette un errore imperdonabile e, senza compromessi, riesce a capire e perdonare sé stessa e a emergere come l’eroina della storia. PIGGY è un racconto di formazione con una giovane protagonista femminile che affronta sé stessa, i suoi mostri interiori e il suo desiderio. Mi piace l’idea del “fidanzato cattivo”. L’adolescenza ci cambia, la pressione ci spinge a perdere la verginità o a dare il primo bacio il prima possibile. La più vaga manifestazione di interesse da parte di un ragazzo risveglia improvvisamente un coro di cosiddetti amici che ti spinge verso questo rito di passaggio. Proprio come fa la narratrice con lo sconosciuto, guidando lo spettatore, dicendogli: “Quest’uomo sexy e misterioso (sovrappeso, in effetti, ma celebriamo i corpi e il sesso, perché tutta la carne è sensuale e quindi bella) ti vuole, Sara. Ha visto qualcosa in te. Ti desidera, è sufficiente questo”. Poi le carte in tavola cambiano, quando ci rendiamo conto, insieme a Sara, che ciò che lui vede in lei è la sua passività, la sua debolezza, la sua rabbia e i suoi complessi. Quest’uomo non è altro che un predatore e un pessimo partner. Ecco perché, nella sua frustrazione sessuale e nella sua rabbia giustificata, Sara lo divora. Non senza compiangere ciò che avrebbero potuto avere con lui. In questo ultimo atto, Sara smette di essere un oggetto passivo e diventa una donna che non si nasconde più. In tutto ciò che scrivo e dirigo, mi piace restituire il potere alle vittime. Che si tratti delle presunte stupide bionde di Las rubias, la mia adorata Sara o la protagonista di There Will be Monsters, che resiste a un branco di uomini che vogliono violentarla. C’è bellezza nel potere catartico della finzione. Lo stesso si può dire del finale di PIGGY, in cui Sara rivendica il potere senza calpestare le altre ragazze che, alla fine, sono vittime tanto quanto lei. Sara non ristabilisce l’ordine, lo divora.

Produttrice del film

PIGGY è l’adattamento in versione lungometraggio dell’omonimo cortometraggio di Carlota Pereda. Il progetto ha catturato l’interesse della critica e del pubblico, è stato selezionato per oltre 300 festival internazionali, ha ricevuto più di 90 premi, tra cui i premi Goya e Forque per il miglior cortometraggio. PIGGY, il cortometraggio, ci ha immersi in un universo da cui è stato difficile tornare indietro una volta finito. Carlota è riuscita magistralmente a rappresentare uno dei temi sociali più urgenti del nostro tempo: il bullismo. E lo ha fatto con un genere e un’estetica raramente usati per questo tipo di problema nel cinema. È proprio grazie al tono da thriller che rasenta l’horror e al ritmo frenetico che Carlota riesce a criticare e condannare questa situazione coinvolgendo e intrattenendo lo spettatore in ogni momento. È un cortometraggio che, oltre a far rabbrividire, fa pensare: “E poi cosa succede?” Che è proprio la storia che volevamo raccontare. Questo progetto è il primo lungometraggio di Carlota Pereda, un film con un tema sociale molto lontano dal politicamente corretto. Anche se PIGGY è il suo primo lungometraggio, Carlota ha una vasta esperienza come autrice e regista di televisione. Negli ultimi 15 anni ha lavorato come sceneggiatrice e regista in serie TV come Aguila Roja, Acacias 38 e Los Hombres de Paco. La sua variegata esperienza le ha permesso di sviluppare un senso unico del ritmo, dell’intrattenimento, dell’universalità delle storie e del linguaggio audiovisivo. Inoltre, Carlota è sotto i riflettori internazionali come regista. È stata invitata a partecipare a eventi e workshop come Oxbelly Labs, Les Nuits en Or tour, organizzato dalla French Academy of Film, e Talent Village, organizzato da Les Arcs Film Festival. Il suo ultimo cortometraggio, There Will be Monsters, prodotto in collaborazione con la French Academy of Film, è stato selezionato a festival come San Sebastian Horror e Fantasy Film Festival, ALCINE, Medina del Campo e Brussels Fantastic Film Festival (BIFFF). Allo Slamdance dello scorso anno, Carlota ha ricevuto l’AGBO Fellowship Award, un programma di mentoring presentato dai fratelli Russo, autori e registi di Avengers: Infinity War ed Endgame, Captain America e Community. Vale la pena notare che, mentre era ancora in fase di sviluppo, il progetto del lungometraggio di PIGGY è stato selezionato per partecipare al Focus CoPro di Cannes, dove ha vinto il Pop Up Residency. Ha inoltre vinto il premio Ventana Sur al Ventana CineMad e ha partecipato a Oltrecorto del Torino Film Festival e all’EFM della Berlinale. È chiaro che PIGGY non verrà presto dimenticato. Lascerà il segno e cambierà le regole del cinema horror (e anche del cinema sociale). Proprio come Coralie Fargeat con Revenge e Jordan Peele con Scappa – Get Out e Noi, Carlota si unisce alla nuova ondata di cinema critico e sociale che utilizza la suspense del thriller per discutere degli orrori della società moderna. Viviamo in una società pluralistica e diversificata in cui anche le paure delle persone, che fino a poco tempo fa erano state trattate tutte allo stesso modo, sono diverse. Questo è ciò che mi interessa di più di Carlota come regista. Come regista, come donna e come narratrice horror che non ha bisogno di creare mostri, perché i suoi mostri ci circondano già: sono i nostri vicini, persone che ci assomigliano. È la società, quel luogo spesso malato, che dobbiamo esaminare, non i mondi fantastici della nostra immaginazione. E PIGGY fa esattamente questo. Oltre ai formidabili talenti di Carlota, vedo la necessità di una storia come PIGGY, la reinvenzione del genere e una portata globale sia nel progetto che nella stessa Carlota, e in quanto produttrice, sento un senso di responsabilità nei confronti delle donne, poiché siamo decisamente sottorappresentate nei media. Ecco cos’ha significato intraprendere l’avventura di produrre questo film, scritto e diretto da una donna, caratterizzato da un cast in gran parte femminile e le cui intenzione, forma ed estetica sono rivolte a un vasto pubblico globale disposto a godersi un film che mescola l’impegno sociale con del puro divertimento sfrenato. È un progetto entusiasmante. Il nostro impegno per la rappresentazione delle donne nel cinema ha caratterizzato anche le riprese: la troupe era composta principalmente da donne, dal cast tecnico alle posizioni di alto livello. Degne di nota sono: la direttrice della fotografia Rita Noriega; la prima assistente alla regia Sara San Martín; la responsabile della produzione e delle location Clara Salvador; la costumista Arantxa Ezquerra; la responsabile del trucco Paloma Lozano; la produttrice associata María Soler; la supervisora alla post-produzione di Morena Films Elena Alcolea; la produttrice di linea Sara Garcia; le responsabili del casting Arantza Velez e Paula Cámara; e la produttrice esecutiva di Morena Films Pilar Benito. Ad accompagnare questo formidabile gruppo di donne: il responsabile dei suoni Nicolas Mas e il sound editor Nacho Arenas; il direttore artistico Oscar Sempere; il compositore Olivier Arson e il montatore Davíd Pelegrín. Le riprese hanno rispettato l’ambiente e PIGGY è stato il primo film spagnolo ad avere un asilo nido in loco per facilitare il lavoro della troupe con bambini piccoli. Questo film, carico di tensione, vendetta, paura, sporcizia e sudore è stato prodotto da MORENA FILMS in coproduzione con BACKUP STUDIO e CERDITA AIE, in associazione con La Banque Postale 15, Indéfilms 10 e Triodos Bank; con il sostegno di: RTVE, Movistar+, Istituto spagnolo di cultura e arti audiovisive, Junta de Extremadura, Eurimages, EU Creative Europe – MEDIA Programme e Comune di Madrid. lo credo che PIGGY sia un progetto importante. Una storia unica, originale, divertente, ma anche terrificante, che ha bisogno di essere raccontata. E nessuno ha saputo raccontarla meglio di Carlota Pereda, al fianco della quale io, come produttrice, sono stata orgogliosa di intraprendere questo viaggio. PIGGY è una storia dell’orrore realistica. Raccontata in pieno giorno, sotto il cocente sole estivo dell’Estremadura. Sara, impotente nel suo bikini e nei suoi sandali trasparenti. Non un’ombra in cui nascondersi. Non ci sono fantasmi o eventi paranormali, è semplicemente estate in un paesino, un’esperienza che potrebbe fare chiunque. PIGGY non nasconde nessun mostro sotto il letto, ma ci fa vedere quanto possono essere mostruose le persone. Ai giovani piace l’horror perché è divertente, mentre i film sul bullismo tendono a esserlo meno. PIGGY è un film divertente, inquietante, con un tocco macabro e di dark humour, ma che, allo stesso tempo, ha un messaggio importante. PIGGY è un film crudo che difficilmente lascerà indifferenti.

Hai sempre pensato di trasformare il cortometraggio in un lungometraggio o ci hai pensato dopo che ha avuto successo?

Carlota Pereda – Regista

No, non era mia intenzione. Anzi, stavo lavorando a un altro film, Las rubias, ma ho avuto questa idea per PIGGY e sapevo che dovevo assecondarla. Girando il cortometraggio, una delle mie migliori amiche mi ha detto: “Sai, questo, dovresti trasformarlo in un film”. Mi ha messo la pulce nell’orecchio e un giorno mi sono svegliata nel cuore della notte e ho deciso che dovevo per forza raccontare questa storia, perché il conflitto interiore di Sara era troppo grande, troppo potente per non essere esplorato. Inoltre, quando stavamo girando il cortometraggio e provando con Laura Galán, mi sono semplicemente innamorata del suo personaggio.

Laura Galán – Attrice

È uscito tutto dalla testa di Carlota e io l’ho accettato come un dono. Il successo del cortometraggio ha davvero sorpreso tutti; non pensavamo che sarebbe piaciuto a così tante persone. Carlota, come regista e autrice, ha definito ogni dettaglio del personaggio e, infatti, non mi ha permesso di leggere la sceneggiatura fino a poco prima dell’inizio delle riprese. Carlota ha riposto molta fiducia in me come attrice e io l’ho accettata. È un piacere lavorare con una sceneggiatrice- regista che ti fornisce un personaggio completo.

In cosa è stato diverso girare un cortometraggio di 15 minuti rispetto a un lungometraggio di 90? E avete girato in piena pandemia, quali ostacoli avete dovuto affrontare?

Carlota Pereda – Regista

Sono stata davvero fortunata perché il mio team di produzione è stato fenomenale. In un cortometraggio bisogna fare tutto da soli; sì, c’è un team di produzione ma, alla fine dei conti, si è da soli. Durante il film, invece, ho sentito il sostegno di tutti, quindi le sfide da affrontare erano più dal punto di vista della storia – Ero sincera con questa ragazza? Stavo raccontando la sua storia nel migliore dei modi?

Gran parte della squadra, poi, era composta da persone con cui avevo già lavorato, con cui sono amica e con cui abbiamo parlato molto del film prima di realizzarlo. Abbiamo pianificato tutto per bene, il problema era solo il tempo. E le varie battute d’arresto dovute al Covid. Il piano era di girare il lungometraggio nel 2020, ma abbiamo dovuto posticipare le riprese al 2021. Perdipiù alcuni membri del cast sono risultati positivi al virus; per fortuna la produzione non si è fermata, ma abbiamo dovuto comunque riorganizzare le riprese e stare molto attenti. Infine c’è stato anche il caldo estremo che ha colpito l’Estremadura: era piena estate e c’erano 51°C.

Il genere del film?

Carlota Pereda – Regista

La maggior parte dei film dell’orrore parla della nostra paura dell’altro. In PIGGY, l’altro siamo noi. La paura dell’altro è insita nell’adolescenza e nei corpi non conformi. L’horror è il genere perfetto per affrontare questioni importanti. Se è vero che il cinema sociale può andare più in profondità, la sua portata è quasi sempre limitata a un pubblico già convinto. Grazie ai film dell’orrore, lo spettatore entra in contatto con i sentimenti del protagonista, i sentimenti di Sara, e questo aiuta a creare un’analogia tra il film e il mondo reale. “Potrebbe accadere a te. Potrebbe accadere ai tuoi figli, qui e ora.” È una chiamata alle armi attraverso un’emozione grezza. La violenza è una costante nella società e nei film di genere. La differenza sta nel modo in cui scegliamo di affrontarla. La violenza come prova della nostra fragilità e motore delle nostre paure, come stimolo per affrontarle e superarle. I film di genere mostrano raramente dolore, perdita o senso di colpa. Qui, quel dolore e quella perdita sono al centro dell’azione. Ogni azione, ogni morte ha una conseguenza. Ogni vittima ha un nome. Le famiglie subiscono le loro perdite. PIGGY ci mostra che la morte non è facile. Non esiste violenza fine a sé stessa. L’obiettivo è mostrare come conviviamo con il dolore e la paura. La nostra storia trasuda violenza contenuta e repressione sessuale e sociale, fino a raggiungere il culmine in cui la violenza esplode in maniera catartica e liberatoria. Non miro mai allo splatter, ma ho sempre l’intenzione di rivelare il conflitto interno del personaggio in modo estetico e morale. La nostra protagonista dovrà convivere con la sua trasgressione al mattatoio per il resto della sua vita. E il bello è che Sara non si tira indietro, pur avendo la possibilità di far sparire tutto. Amo i film di genere. La loro libertà, la loro intensità, la loro predilezione per l’imprevisto. Nessun argomento è troppo tabù, nessuna forma troppo estrema. Ma la cosa migliore è il modo in cui invitano a osservare le paure per interpretarle e condividerle. In un mondo in cui il male ci travolge e siamo colpevoli di non opporci attivamente alle ingiustizie, i film dell’orrore ci permettono di sconfiggere il male e farci giustizia nella finzione. Il potere della catarsi.

L’ambientazione rurale e remota ti è familiare?

Carlota Pereda – Regista

La mia migliore amica ha una casa in Estremadura e parte della mia famiglia è di lì, quindi è un posto che conosco. In realtà, ho girato il cortometraggio nello stesso luogo in cui l’ho scritto – il paesino è sempre stato parte della storia. Il film doveva svolgersi lì, è un luogo in mezzo al nulla, intrappolato in sé stesso. Ha anche una sorta di atmosfera senza tempo perché è una delle zone più povere della Spagna. Mi piace la sensazione di città fantasma che dà al film. PIGGY è un horror ambientato sotto il cocente sole estivo spagnolo. Lo stile ricorda il classico di Chicho Ibáñez Serrador Ma come si può uccidere un bambino? E le storie di Stephen King con un tocco spagnolo. Con i ghiaccioli Calippo, le sieste, i tori, i balli all’aperto, le signore che si crogiolano nella brezza della sera e, naturalmente, la paura di “quello che potrebbero dire i vicini”. Una società apparentemente benevola che nasconde un lato molto cupo.
Un popolo assolutamente indifferente agli adolescenti, nonostante in giro ci sia qualcosa che, letteralmente, li uccide. Un modo per mostrare la violenza quotidiana al cinema, mettendola in primo piano. Una violenza perpetua normalizzata, trasmessa dai genitori ai figli. Villanueva de la Vera, Estremadura. Il luogo in cui sono cresciuta e che conosco come le mie tasche. Bloccata a metà strada tra i giorni nostri e gli anni ’80 a causa della povertà e della mancanza di infrastrutture. Un luogo in cui le auto in circolazione sono vecchie di circa 20 anni e lo shopping migliore, lo si può fare al mercato settimanale. Eppure, non si sa come, tutti hanno l’ultimo modello di cellulare. È una location che esalta un’atemporalità da incubo, che provoca l’empatia dello spettatore adolescente nei confronti dei personaggi, così come la nostalgia dello spettatore più anziano nei confronti delle proprie estati adolescenziali. Un paesino con poche strade e luoghi tutti uguali, che risultano però diversi ogni volta che Sara cambia e vive momenti particolari della sua vita in modo differente.
Locandina di Piggy
Locandina di Piggy

Quanto della storia è autobiografico?

Carlota Pereda – Regista

Beh, ho sempre voluto raccontare una storia di bullismo. In quanto adolescente gay, l’ho provato sulla mia pelle e ho anche cambiato molte scuole, quindi ho visto molti tipi diversi di bullismo. A volte la vittima ero io e a volte stavo semplicemente zitta in modo che non mi prendessero di mira. Ma è stato solo dopo aver visto una ragazza in piscina prima di girare il cortometraggio che ho capito che doveva riguardare la grassofobia, perché è qualcosa a cui le persone non riescono a sfuggire. E la storia doveva svolgersi in piena estate, perché è il momento in cui i nostri corpi sono più esposti. Comunque il bullismo è bullismo, quando si mette in dubbio l’identità o il fisico o qualunque cosa rappresenti una persona, il punto di partenza è sempre quello dell’odio e del bigottismo. Inoltre è un tema a me caro, perché ho una figlia e mi sono sempre chiesta come affrontare la cosa, considerato ciò che i bambini passano da piccoli.

L’adolescenza può essere abbastanza orribile di per sé, se si aggiunge il trauma emotivo del bullismo, la sensazione di non essere accettati e la minaccia della violenza fisica da parte di un serial killer a piede libero, il film sembra un vero horror. Eppure è composto da tanti generi stratificati. Qual era la tua idea iniziale?

Carlota Pereda – Regista

Per me è un misto di generi. È quasi un thriller – una storia di formazione adolescenziale sotto forma di thriller – con elementi della commedia e, naturalmente, dell’horror. La mia idea era quella di ambientare un film dell’orrore alla luce del sole, in modo da farlo sembrare molto reale, pur mantenendo degli elementi fiabeschi. E volevo fare un film solo con cose che mi piacciono – mi piace il genere, quindi ho pensato che se mi fossi divertita a girarlo e fosse stato entusiasmante, in qualche modo avrebbe trovato il suo pubblico.

Laura Galán – attrice

Le scene di bullismo sono state le sequenze più difficili da girare, ovviamente. Questo era il mio primo ruolo da protagonista e non ero sicura di riuscire a farcela. Ma l’ambiente in cui si gira fa tutta la differenza e il set mi è sempre sembrato uno spazio molto sicuro. Ero circondata da una troupe e un cast fantastici e Carlota mi ha presa per mano ogni volta che avevo bisogno di una guida. Abbiamo girato in piena pandemia, eppure tutto è stato fatto con estrema attenzione, in sicurezza e in un ottimo ambiente di lavoro. Anche le altre attrici hanno davvero sofferto, probabilmente più di me. Prima di girare le scene, si scusavano tantissimo e io rispondevo: “Fate il vostro dovere. Dobbiamo farlo bene, quindi se dovete insultarmi, insultatemi. Solo così renderemo giustizia a Sara e a tutte le vittime di bullismo nella vita reale”. Le ragazze sono adorabili, quindi per loro non è stato per niente facile. E anche per i ragazzi che bullizzano Sara più avanti nel film è stata dura. Ma il vantaggio di avere 35 anni e non 16 è che sono a un punto della mia vita in cui so di avere basi solide e di poter affrontare cose del genere. Forse, se avessi girato delle scene del genere a 16 anni sarebbe stata tutta un’altra storia.

Nel film il cattivo è un ragazzo attraente. È un tentativo di aggiungere una storia d’amore alla trama?

Carlota Pereda – Regista

Mi sono basata sull’idea del “fidanzato cattivo”. Quando siamo adolescenti – e io sono quasi sempre stata bisessuale – gli amici ci spingono verso qualunque ragazzo sia interessato a noi. A volte non sanno nemmeno se è una brava persona, ma l’obiettivo è solo quello di perdere la verginità e volevo che il pubblico facesse lo stesso con Sara: “È il ragazzo giusto per lei, perché si prende cura di lei ed è piuttosto attraente”. No, è un cazzo di serial killer!

Come hai trovato la tua fantastica attrice protagonista, Laura Galán?

Carlota Pereda – Regista

Quando ho scritto la sceneggiatura del cortometraggio, sapevo che dovevo trovare qualcuno di straordinario e mi ci sono voluti due anni. Ho assistito a ogni singola rappresentazione teatrale di nicchia, a recite scolastiche, spettacoli di scuole di teatro, scuole superiori, ho messo poster ovunque, ho fatto casting, ho guardato tutti i film spagnoli esistenti. E poi, un giorno, sono andata a teatro e ho visto questa straordinaria attrice, Laura Galán. All’inizio ho pensato che fosse un po’ troppo vecchia per il ruolo, ma i miei produttori le hanno parlato e mi hanno detto: “Devi conoscerla”. Così l’ho incontrata in un bar e le ho chiesto di farmi lo sguardo con cui si conclude il corto e lei ha centrato il bersaglio. Lavorare con una persona come Laura, molto talentuosa ma anche estremamente intelligente, mi ha dato una certa libertà, perché parliamo la stessa lingua. Quindi scrivere la sceneggiatura del film sapendo che lei sarebbe stata la protagonista mi ha dato grandissima libertà, perché sapevo che avrebbe fatto tutto alla perfezione – e così è stato.

Parlaci di Sara?

Laura Galán – attrice

Ho scoperto che, nonostante io sia una persona molto loquace nella vita reale, mi piace recitare con il corpo, sono un’attrice molto fisica e adoro parlare meno con la bocca e più con la gestualità. Anzi, alle prove ero io a dire a Carlota: “Possiamo sbarazzarci di questa battuta?” Perché mi sono resa conto che il mio corpo è lo strumento più importante che ho come attrice. Inoltre Carlota aveva scritto così bene i dettagli del personaggio di Sara nella sceneggiatura che non aveva bisogno di parlare molto. Mi sono resa conto che Sara diventa un’altra solo girando le relative scene – alla fine del film non è più la ragazzina che era all’inizio. È cresciuta, sotto un certo aspetto.
Col procedere del film, il personaggio è cambiato, ma è successo in modo organico. Io la vedo come un volo in aereo: all’inizio Sara è su questo aereo e non controlla nulla, ma poi ne prende le redini e alla fine lo pilota. Ed è stato un viaggio vero e proprio, per me tanto quanto per Sara. Come attrice, è stato anche un processo di crescita, sono cresciuta insieme a Sara. Il film è stato girato più o meno in ordine cronologico, quindi la sequenza finale è stata girata verso la fine. E a quel punto mi è sembrato che fosse passata una vita dalla scena iniziale. Mi è sembrata una parte insignificante della giornata, del viaggio, dell’intera storia, come un granello di sabbia nel deserto. Ma la cosa assurda è che il film si svolge nell’arco di una giornata, quindi Sara cambia in una notte!

Puoi parlarci della tua collaborazione con la direttrice della fotografia, Rita Noriega? Il ruolo della fotografia nel rendere il film così sorprendente è importante.

Carlota Pereda – Regista

Abbiamo studiato Cinema insieme e abbiamo sempre voluto lavorare insieme. È una maniaca del lavoro come me e pensiamo entrambe che la forma, il tema e la storia debbano andare di pari passo. Abbiamo discusso l’evoluzione dei personaggi, di come avremmo ripreso ognuno di loro e di come sarebbe stata la luce. Le immagini, proprio come i personaggi, hanno una progressione: ci sono tre atti e sono tutti diversi, in un certo senso. Abbiamo anche discusso dell’uso delle proporzioni 1.33:1 e del fatto che questo formato era ideale perché dà più importanza alla figura umana. Inoltre, penso che agli adolescenti ricordi un po’ Instagram, mentre alle generazioni più vecchie ricorda le immagini del loro passato. Ha anche corso un grosso rischio dal punto di vista visivo, perché pur girando in 1.33:1, abbiamo usato lenti anamorfiche e, intenzionalmente, non abbiamo mosso la telecamera fino a film inoltrato. Inoltre siamo ottime amiche e siamo molto legate: mentre discutevamo di come avremmo girato le scene, parlavamo delle nostre famiglie, quindi la conversazione è sempre stata molto intima. È stupendo poter avere una relazione così.

Quanti elementi visivi erano già presenti nella sceneggiatura?

Carlota Pereda – Regista

Leggendo la sceneggiatura, ci si può immaginare il film, perché io scrivo in modo molto visivo. Sara non parla molto, ma tutti i suoi pensieri sono sulla carta. Quindi è come se la voce interiore del personaggio fosse presente ed è questa a dare il ritmo a tutto. Inoltre, quando si cerca di vendere un film dal tono così complicato, bisogna essere molto precisi nella scrittura. Un produttore investe nel film, ma se il risultato finale è diverso da ciò che ha letto su carta, potrebbe essere un problema. In questo caso tutti sapevano esattamente il tipo di film che avremmo fatto. Io e Rita abbiamo realizzato un documento per pianificare tutte le immagini; a volte queste cose si fanno solo per ricevere sovvenzioni e simili, ma per noi è stato una manna dal cielo.

Com’è stato lavorare con il compositore Oliver Arson? All’inizio è tutto molto naturale, i suoni sono quelli dell’estate, poi, quando il film diventa più un horror, la colonna sonora diventa davvero tale.

Carlota Pereda – Regista

Ho sempre saputo che non volevo molta musica e la poca presente doveva integrarsi organicamente al film. Perché la musica, più di ogni altra cosa, dà il tono al contenuto. Abbiamo discusso molto del tono del film con Oliver e del fatto che doveva essere una progressione. Il film è un mix di generi e toni: inizia come una storia drammatica realistica e, alla fine, si trasforma in una specie di horror fiabesco. Sono molto soddisfatta di quello che ha fatto. Penso che sia uno degli aspetti migliori del film.
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