Dio salvi la regina: una battuta fra amici mal recitata e poco riuscita

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Dio salvi la Regina

Titolo originale: God save the Queen

Anno: 2020

Paese di produzione: Italia

Genere: commedia

Durata: 95 minuti

Produzione: La Siliàn

Distribuzione: Distribuzione Indipendente

Regista: Andrés Arce Maldonado

Sceneggiatura: Sibilla Barbieri

Montaggio: Ermete Ricci

Fotografia: Andrés Arce Maldonado

Attori: Sibilla Barbieri, Igor Mattei, Mariano Rigillo, Graziano Graziani, Jun Ichiwaka, Babak Karimi

Trailer in italiano del film Dio salvi la regina

Trama di Dio salvi la regina

Diana (Sibilla Barbieri) opera come medico della mutua nella capitale italiana e vive in un appartamento con vista sulla cupola di San Pietro con il figlio Orlando (Vittorio Allegra) e la figlia Perla (Ella Gorini). In virtù del sovraccarico di lavoro e dell’insubordinazione di Orlando nei confronti della scuola, la donna decide di dichiarare l’indipendenza dallo Stato italiano e fondare il proprio regno. Del suo atto eversivo rende partecipi le amiche di sempre, il padre avvocato rispettoso dell’ordine sociale (Mariano Rigillo) ed il fratello Marcello (Igor Mattei): insieme scopriranno i diritti e i doveri dei cittadini, i meccanismi di uno stato e le problematiche interne a tale sistema.

Recensione di Dio salvi la regina

Definita una commedia lieve e felicemente ironica, che guarda al molto piccolo per parlare del grande, Dio salvi la regina è l’ultimo film di Andrés Arce Maldonado, scritto e interpretato da Sibilla Barbieri. Purtroppo, un prodotto che tradisce clamorosamente ogni buon intento e sentimento, rivelandosi una pellicola inverosimile e sforzata in ogni suo aspetto. L’idea balzana di fondo – una donna che dichiara l’indipendenza e fonda uno stato nel proprio appartamento – risulta sì inverosimile ma non di per sé, bensì per lo sviluppo filmico in toto: il risultato finale per quella che poteva essere un’ottima commedia dalla risiana o monicelliana memoria è un’accozzaglia di situazioni insensate, interpretazioni sforzate e una regia inesistente, affine alle mediocri fiction televisive italiane.

Dio salvi la regina! … o meglio: Dio salvi lo spettatore! Perché se l’idea alla base del progetto diretto da Maldonado pare, in apparenza, ottima e originale, il risultato tradisce appieno le buone intenzioni di partenza. Sin dai primi minuti, la pellicola rivela tre connotati che percorreranno l’intero corpus narrativo: l’atmosfera immersa nel caos, la pessima recitazione e la linea stilistica degna delle migliori (o peggiori) fiction televisive in romanesco. Sebbene il richiamo alla commedia italiana d’eccellenza sia palese con l’iniziale omaggio a Il medico della mutua di Luigi Zampa attraverso quel carosello di pazienti nello studio della protagonista, tale citazione risulta del tutto immotivata, al pari delle scene e dei personaggi che si susseguono nel corso del film. Il focus narrativo è tutto su Diana, interpretata da Sibilla Barbieri (nonché autrice della sceneggiatura), la quale si sforza in ogni sequenza di far apparire il proprio personaggio vispo e brillante, fallendo, tuttavia, miseramente: la naturale risposta dello spettatore è una totale avversità nei confronti della protagonista che risulta una mera macchietta borghese insoddisfatta e capricciosa, capace solamente di imbastire discorsi moralisti che risultano, ahimè, totalmente sbagliati. Sulla stessa linea psicologica viene costruito il carattere del figlio Orlando, un moderno (falso) filosofo che palesa la sua costante avversità al sistema scolastico italiano: la molla, a quanto pare, insieme al sovraccarico di lavoro, che porta Diana alla folle idea di voler dichiarare l’indipendenza dall’Italia. Tale decisione, basata sul conflitto fra il singolo e l’autorità, risulta nel film alquanto inverosimile e immotivata: pare, in linea di massima, una vera e propria battuta fra amici che tale doveva rimanere.

Invece, il lungometraggio procede in un susseguirsi di dialoghi e ritmi comico-interpretativi sbagliati e resi ulteriormente fiacchi da una regia opaca e a tratti inesistente, complice nell’assenza di sinergia fra gli attori in scena, cui interpretazioni risultano decisamente al limite dell’imbarazzante; fra tutti, una nota di “merito” va alla figlia di Diana, nella quale si coglie l’apice della recitazione del tutto assente. Entrando più nel dettaglio, due termini sono le chiavi che non fanno scattare i meccanismi narrativi e stilistici del film. Da un lato, l’idea fondativa della pellicola – l’indipendenza individuale dallo Stato italiano – sarebbe stata sì originale, tuttavia viene resa visivamente come il puro sfizio di una donna della media borghesia romana assecondata dagli amici e parenti stretti, i quali paiono sempre sull’orlo dello scherno nei suoi confronti. Dall’altro lato, sono le situazioni a essere immensamente errate: durante una scena, si assiste letteralmente alla proposta di raccomandazione del padre di Diana, noto avvocato della capitale, al nipote Orlando, seguita da discorsi moralisti sulle mancanze dell’Italia contemporanea; due termini che irrimediabilmente entrano in conflitto causando uno spaesamento del tutto immotivato. Al pari della presente scena, sono le sequenze a casa di Diana in cui si alternano personaggi dalla psicologia del tutto arraffazzonata. Ma una menzione speciale spetta allo stereotipo etnico più banale: la visita, da parte di due ragazzi cinesi, nel “regno” di Diana, i quali fotografano ogni elemento dell’abitazione e credono a tutto ciò che la protagonista narra loro del suo Stato indipendente. Una sequenza al limite dell’assurdo, sempre e immancabilmente mal recitata.

Le lezioni morali impartite a turno dai personaggi di Sibilla Barbieri risultano un’accozzaglia di parole che sfiniscono lo spettatore, tarpando ogni sua possibile empatia con gli stessi: un errore che costa caro al lungometraggio di Maldonado che si salva solamente in virtù delle belle vedute sulla cupola di San Pietro. Ma è proprio su tali immagini che risiede l’errore fondamentale di Dio salvi la regina. Perché l’inverosimile soggiace non nella folle ma poetica idea di dichiarare indipendenza dallo Stato di appartenenza; bensì, è chi decide di effettuare tale atto a rendere lo stesso del tutto errato. Diana è una donna appartenente alla classe borghese media, vive a Roma e, in particolare, non risiede nella periferia o in un quartiere malfamato, elemento che, in concomitanza con altre problematiche socio-economiche, avrebbe potuto motivare il gesto d’insubordinazione all’Italia: abita in un ampio appartamento con un terrazzino dal quale si può osservare, in tutta la sua bellezza, la cupola della Basilica dello Stato Vaticano e ha sotto servizio una tata che bada ad ambedue i figli. L’immediata reazione del pubblico, dunque, è di non provare empatia con la protagonista, ma considerarla come una donna capricciosa che, stremata da un lavoro oggettivamente redditizio e non paragonabile ad altri mestieri più umili, decide di stravolgere la propria banale vita connotata da pranzi e cene con gli amici appartenenti alla stessa classe sociale. È evidente, dunque, che il regista e la sceneggiatrice concepiscono sì un’idea innovativa, ma si scordano, tuttavia, della contestualizzazione e della coerenza fra le parti, non solo a livello della narrazione, ma anche sul piano della realizzazione filmica.

Note positive

  • Le belle vedute sulla cupola di San Pietro

Note negative

  • La recitazione al limite della decenza
  • La regia opaca e priva di stile
  • L’accozzaglia di situazioni immotivate e del tutto slegate dal tema centrale della pellicola
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