Dunkirk: La guerra degli elementi

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Dunkirk

Anno: 2017

Paese: Stati Uniti d’America, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi

Genere: Guerra

Durata: 1 hr 46 min (106 min)

Casa di produzione: Syncopy Inc., Dune Entertainment, Warner Bros. Pictures

Prodotto da: Christopher Nolan, Emma Thomas

Regia: Christopher Nolan

Sceneggiatura: Christopher Nolan

Montaggio: Lee Smith

Dop: Hoyte van Hoytema

Musiche: Hans Zimmer

Attori: Fionn Whitehead, Tom Hardy, Harry Styles, Kenneth Branagh, Barry Keoghan, Cillian Murphy, Mark Rylance, Michael Caine

Trailer italiano di Dunkirk

TRAMA DI DUNKIRK

Nel 1940, dopo l’invasione nazista della Francia, migliaia di soldati alleati si sono ritirati sulle spiagge di Dunkerque e, circondati dai tedeschi, attendono l’evacuazione mentre gli aviatori della RAF volano sopra le loro teste per difenderli dagli attacchi aerei hitleriani.

I fatti sono strutturati lungo tre linee narrative, ognuna ambientata in un determinato arco temporale e intrecciata alle altre in maniera non lineare: la prima comincia sulla terraferma e copre un arco temporale di una settimana; la seconda linea è ambienta in mare e dura un giorno; la terza copre un’ora di tempo e ha luogo nei cieli.

Tom Hardy in Dunkirk
Fionn Whitehead in Dunkirk

RECENSIONE DI DUNKIRK

Il ticchettio di un orologio venuto fuori direttamente dai paradossi spazio-temporali di Interstellar ci introduce a Dunkirkthriller bellico sul tempo e la sopravvivenza. Christopher Nolan ha sempre piegato il cinema per raccontare protagonisti alle prese nemici della loro interiorità. Se ciò era chiaro soprattutto nella parabola di Bruce Wayne della Trilogia del Cavaliere Oscuro, l’interesse di Nolan per i gesti atti a salvare (e salvarsi) tocca nuovi vertici proprio il questo film, esplicitandosi attraverso il giovane soldato Tommy di Fionn Whitehead e dell’aviatore Farrier in linea con la fisicità espressiva e adrenalinica di Tom Hardy.

Dunkirk non è una storia di gesta eroiche e vittoria in senso lato (gli appassionati e i studiosi di storia lo sanno bene), ma l’esplicazione di un modo molto personale di intendere la guerra non molto diverso da quello usato da mostri sacri come Stanley Kubrick (Full Metal JacketOrizzonti di gloria), Ridley Scott (Black Hawk Down) e Terrence Malick (La sottile linea rossa). Dunkirk è un saggio sui compromessi morali precedentemente accennati in Il Cavaliere Oscuro: la vera vittoria appartiene a chi salva la pelle, ma tutti perdono qualcosa, qualunque sia la condizione.

I risultati di questa battaglia introspettiva sono tutt’altro che consolatori, e la domanda che tormenta le menti dei protagonisti di Dunkirk non è tanto dissimile da quella che si poneva Christian Bale di fronte all’inarrestabile piena di violenza del Joker di Heath Ledger: fino a che punto ci si può fidare di sé stessi e della propria volontà? Le implicazioni sono di portata gigantesca.

Dunkirk è un film libero dai giochi narrativi di Inception, qui risolti solamente da un montaggio attento più alla compattezza della narrazione che al twist. Il lavoro di Nolan sulla tensione è svolto in maniera sopraffina; i climax vengono trattenuti fino all’ultimo quarto d’ora in cui tutta la forza sinergica del film viene sprigionata in un finale difficile da dimenticare, dove personaggi e spettatori tengono duro per avere salva la vita. Personaggi, per altro, di cui nulla si sa e nulla sapremo ma che ci coinvolgeranno con palpabili emozioni di paura, sgomento e paranoia.

Il conto alla rovescia scatta nel momento stesso in cui il film ha inizio, e a noi spettatore viene concesso solo di assistere passivamente alla tragedia in un ambiente aperto ma claustrofobico in cui migliaia di anime si aggrappano disperatamente a vane speranze, sospesi in un limbo di tragica concretezza. Altrettanto tragico e concreto è lo scorrere del tempo. La medesima vicenda viene narrata tramite tre storie (il molo, la costa, i cieli solcati dagli Spitfire); i cosmogonici elementi di acqua, terra e aria (non manca il fuoco, quello delle armi) convergono l’uno sull’altro con estreme linearità ed eleganza. La summa di questa collocazione spazio-temporale del film ci fa rendere conto di quanto il progetto fosse nelle corde di Nolan.

Malgrado i (troppi) anti-nolaniani diffamino le architetture narrative a cui il regista è affezionato (la splendida colonna dell’ormai fido Hans Zimmer colpisce per unitarietà nel modo in cui sembra concepita come una lunga suite di oltre un’ora), Dunkirk non perde mai di vista il realismo del fatto storico. Nolan conferma di essere un autore che ha raggiunto la piena maturità nella padronanza del modi in cui esporre le tematiche avanzate, e il tutto viene implementato dall’odore dell’adrenalina, del gasolio, del cherosene e della morte. La guerra è semplicemente guerra, priva di trionfalismi ed eroismi. Persino la leggera e per nulla invadente vena di patriottismo del finale evita accuse di nazionalismo retorico.

Senza dubbio uno dei migliori film di Nolan (il migliore in assoluto? Solo il tempo lo dirà), da affiancare all’eleganza di The Prestige, al doloroso mito di Batman e all’epopea noir di Memento. La purezza del grande spettacolo cinematografico si mescola con l’immersione nella storia a un livello tale che non sfigura affianco ai grandi classici del cinema di guerra. Il lavoro svolto testimonia la quadratura del cerchio di un regista che assimila i generi (il thriller venato di introspezione, il cinecomic, la fantascienza, il film di guerra) per tirarne fuori una rimasticatura sui generis e molto personale. Dunkirk è viscerale, visivamente appagante e sottilmente poetico; un perfetto bilanciamento di cinema d’impatto e pretese autoriali.

Note positive

  • Tutte le componenti tecniche (regia, montaggio, fotografia e musica) combaciano in un’architettura narrativa compatta che svolge un lavoro sopraffino sulla tensione e la sensazione di tempo che scorre inesorabile.
  • Le performance minimali rievocano alla grande le emozioni di chi tiene duro per sopravvivere in un limbo tangibile, in preda alla paura della morte e alla paranoia.

Note negativo

  • La scelta di basare il racconto non lineare su incastri tra tre archi narrativi può risultare a qualcuno fine a sé stesso.
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