
I contenuti dell'articolo:
Le Repos des Braves
Titolo originale: Le Repos des Braves
Anno: 2016
Paese: Francia
Genere: Documentario, Sportivo
Casa di produzione: Bathysphere Productions, CINÉ+
Distribuzione: MUBI
Durata: 37 minuti
Regia: Guillaume Brac
Sceneggiatura: Guillaume Brac
Fotografia: Martin Rit
Montaggio: Karen Benainous, Jean-Christophe Bouzy
Musiche: Nicolas Joly
Attori: Jean-Marie Bonnetier, Gérard Lacouque, Francis Poupel
Il documentario sportivo Le Repos des Braves è disponibile sulla piattaforasma stramnig MUBI.

Trama di Les Repos des Braves
Ogni anno, alla fine di giugno, una sessantina di ciclisti amatoriali (tra francesi, belgi e canadesi) attraversa le Alpi. L’arrivo sulle rive del Mediterraneo, dove si riposano per ventiquattro ore prima di rientrare, segna la fine del loro viaggio e l’inizio dei loro ricordi.
Recensione di Les Repos des Braves
Perché questo grande viaggio?
Les Repos des Braves
Ecco la domanda esistenziale che si pone il primo protagonista di Le Repos des Braves, il cortometraggio docu/sportivo del 2016 diretto Guillaume Brac (All’arrembaggio, Un Monde Sans Femmes, Conte de Juillet, L’Île au Tresor), il regista francese che da molti viene considerato il vero figlio artistico del maestro della nouvelle vague Éric Rohmer.

Perché questo grande viaggio?
Les Repos des Braves
Ecco la base tecnica e umanistica sulla quale viene strutturato il piccolo film. La base/domanda che porta sullo schermo la classica metafora viaggio/vita. Il viaggio è qui descritto e mostrato attraverso la grande attraversata delle Alpi in vélo. La vita, invece, attraverso i ricordi e i monologhi intimi degli attempati ciclisti; la loro storia, i loro lavori e le loro passioni.
Dettati i presupposti, sembrerebbe molto facile cadere nel banale, nel trito e ritrito di una sceneggiatura con ambizioni filosofiche e con aspettative utopistiche di una messa in scena (neo)realistica. Niente di tutto ciò. Brac riesce elegantemente a sviare tutti questi sgambetti, con una naturalezza registica senza eguali e con uno script apparentemente nullo.

Le immagini vengono riprese in modo naturale e selvaggio, alcune volte con inquadrature non adeguate, mosse e tecnicamente non accettabili, ma che diventano in qualche modo giuste e apprezzabili; soprattutto per quanto riguarda le riprese in solitaria degli atleti durante le loro lunghe e faticose pedalate tra le stradine di montagna. Le poche interazioni tra i diversi personaggi, invece, sono in bilico tra l’imbarazzo della prima chiacchierata tra sconosciuti e la tenerezza suscitata nello spettatore; ciò le rende al quanto veritierere e inerenti alla realtà giornaliera. La normalità del comune è presente anche (e soprattutto) dopo l’arrivo dei protagonisti sulle spiagge di sassi della Francia meridionale. I corpi spigolosi e asciutti degli anziani ciclisti, la loro mezza abbronzatura dovuta a causa delle aderenti tutine elasticizzate, i problemi causati da intere giornate di pedalate fanno di loro una specie di tribù, e tutto viene esposto senza filtri.

Ma allora: Perché questo grande viaggio?
Forse, alla fine del corto, è il cantautore George Brassens a rispondere a questo quesito. È lui, che sulle note di Heureux qui comme Ulysse, svela il mistero che si cela dietro la domanda di uno dei ciclisti protagonisti. È lui che, con la sua profonda voce, (inconsciamente) aiuta a capire il perché…
Beato chi, come Ulisse, ha fatto un bel viaggio.
Beato chi, come Ulisse, ha visto centinaia di paesaggi,
E poi ha ritrovato, dopo molte traversate
Il paese della sua gioventù.
Gerorge Brassens