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Elisa e Marcela
Titolo originale: Elisa y Marcela
Anno: 2019
Nazione: Spagna
Genere: drammatico
Casa di produzione: Netflix
Distribuzione italiana: Netflix
Durata: 113 minuti
Regia: Isabel Coixet
Sceneggiatura: Isabel Coixet, Narciso de Gabriel
Fotografia: Jennifer Cox
Montaggio: Bernat Aragonés
Musiche: Sofia Oriana Infante
Attori: Natalia de Molina (Elisa), Greta Fernández (Marcela), Sara Casasnovas, Tamar Novas, Lluís Homar, Manolo Solo, María Pujalte, Francesc Orella
Trailer di “Elisa e Marcela”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Dalla regista spagnola Isabel Coixet — nota per aver diretto La vita segreta delle parole (2005), presentata alla Mostra del Cinema di Venezia, e il film sentimentale Lezioni d’amore, con Penélope Cruz e Ben Kingsley nei ruoli principali — prende forma, nel 2019, il lungometraggio Elisa y Marcela, liberamente ispirato alla storia vera di Elisa Sánchez Loriga e Marcela Gracia Ibeas, una delle più audaci testimonianze di amore e resistenza nella Spagna di inizio Novecento. Le due donne, entrambe insegnanti galiziane, conosciutesi da giovanissime negli anni di scuola e poi ritrovatesi da adulte, svilupparono un legame profondo che sfociò in una relazione amorosa. In un’epoca in cui l’omosessualità era non solo stigmatizzata ma anche perseguita legalmente, decisero di sfidare apertamente le convenzioni sociali e religiose per poter vivere insieme, in un mondo dove l’unione tra due donne era impossibile. Il loro piano fu tanto ingegnoso quanto rischioso: Elisa assunse l’identità maschile di “Mario Sánchez”, tagliandosi i capelli e indossando abiti da uomo. Con questa nuova identità, riuscì a ottenere il battesimo e persino la comunione, elementi fondamentali per poter accedere al matrimonio religioso. L’8 giugno 1901, nella chiesa di San Jorge a La Coruña, le due si sposarono ufficialmente, dando vita a quello che è considerato il primo matrimonio omosessuale documentato nella storia occidentale.
La luna di miele si svolse senza incidenti, ma al ritorno nel loro paese in cui Marcela lavorava come insegnante, la verità venne scoperta. I vicini denunciarono la coppia e la notizia si diffuse rapidamente sui giornali, suscitando scandalo e indignazione tra i più. Elisa e Marcela vennero accusate di falsificazione di documenti, frode d’identità e travestitismo. Per sfuggire alla persecuzione della Guardia Civil fuggirono in Portogallo, stabilendosi tra Vigo e Porto. Tuttavia, il 18 agosto 1901 furono arrestate su richiesta della polizia spagnola e incarcerate in Portogallo. Durante la detenzione, il 6 gennaio 1902, Marcela diede alla luce una bambina.
Grazie alla clemenza dei giudici portoghesi — o forse per dispetto verso le autorità spagnole — le due riuscirono a evitare l’estradizione in Spagna e fuggirono in Argentina. A Buenos Aires tentarono di ricostruire una vita, ma le difficoltà economiche e sociali non tardarono a manifestarsi. Elisa, sotto il falso nome di Maria Sánchez, sposò così un uomo danese di nome Christian Jensen, con l’intento di garantire stabilità a sé, a Marcela e alla bambina. Il piano però fallì: Jensen scoprì la vera identità di Elisa e denunciò la frode. Le due donne finirono nuovamente sotto processo, ma senza subire condanne.
Dopo il 1904, la loro traccia si perde. Non si conosce il destino finale di Elisa e Marcela, né se siano riuscite a vivere insieme o se siano state costrette a separarsi. La loro storia, rimasta a lungo nell’ombra, venne riportata alla luce appunto dal film Isabel Coixet, Elisa y Marcela, interpretato da Natalia de Molina e Greta Fernández (figlia dell’attore Eduard Fernández). La pellicola venne presentata in anteprima mondiale il 14 febbraio 2019 al 69° Festival Internazionale del Cinema di Berlino, dove partecipò in concorso per l’Orso d’Oro, assegnato poi al film Synonymes di Nadav Lapid. In seguito, il film uscì in alcune sale selezionate in Spagna il 24 maggio 2019, per poi essere distribuito in streaming nelle altre nazioni, inclusa l’Italia, dove venne rilasciato su Netflix il 7 giugno 2019.
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Trama di “Elisa e Marcela”
Nel 1885, in un convento femminile della Galizia, Elisa Sánchez Loriga e Marcela Gracia Ibeas si incontrano da adolescenti. La loro amicizia nasce tra i banchi di scuola, alimentata da sogni condivisi e confidenze intime, e si trasforma presto in un amore profondo e segreto. Quando il padre di Marcela scopre la natura del loro legame, la allontana per anni, mandando la figlia a studiare in un collegio a Madrid per diventare insegnante.
Terminato il percorso di studi, Marcela torna immediatamente da Elisa, riaccendendo quella passione amorosa che era stata soffocata da pressioni familiari e sociali. In una Spagna dominata dal conservatorismo cattolico, la loro relazione da parte del popolo e dei loro vicini è vista come una minaccia all’ordine morale. Per sfuggire ad aggressioni e problemi a lavoro decidono di mettere in piedi un inganno per coronare il loro sogno d’amore, così Elisa assume l’identità del cugino Mario, morto da poco in Inghilterra. Fingendosi uomo, riesce a sposare Marcela in chiesa.
Il matrimonio, celebrato nel 1901, scatena ben presto una reazione violenta da parte della comunità e delle autorità, poiché il parroco ha officiato la cerimonia sotto inganno. La scoperta dell’inganno porterà le due donne a vivere una fuga drammatica, inseguita da una società che non era pronta ad accettare il loro amore.
Recensione di “Elisa e Marcela”
Elisa y Marcela è un’opera che, nonostante le sue imperfezioni, possiede un fascino talvolta sensuale e drammaturgico. La regista Isabel Coixet alterna scelte piuttosto azzeccate a decisioni meno convincenti, dando vita a un prodotto audiovisivo che, nel complesso, risulta confuso. Durante la visione, si percepisce una spaccatura interna, una mancanza di coesione drammaturgica sia sul piano visivo sia su quello narrativo. In particolare, la sceneggiatura fatica a delineare con chiarezza la direzione tematica del film. Non è evidente se la regista volesse raccontare semplicemente una storia d’amore tra due individui — dove il focus narrativo non è tanto sulla natura LGBT del rapporto, quanto sulla passione romantica e sulle sofferenze sentimentali delle protagoniste — oppure se l’intento fosse quello di realizzare una pellicola di critica sociale, un’opera che potremmo definire d’impegno civile, incentrata sulla lotta di due donne omosessuali per vivere liberamente il proprio amore. Questa ambiguità di fondo genera un senso di disorientamento nello spettatore, che si trova davanti a un film che oscilla tra il melodramma sentimentale e la denuncia, senza mai scegliere con decisione quale strada percorrere.
Un amore universale che si perde nel finale
Nella prima parte del lungometraggio, ho provato un sincero entusiasmo nel vedere finalmente una storia d’amore tra due donne raccontata senza l’urgenza di sottolinearne costantemente la natura omosessuale. Il film, almeno inizialmente, tratta questo legame come qualsiasi altra relazione sentimentale, concentrandosi sulle emozioni universali che emergono quando nasce un amore: il desiderio, la tenerezza, la complicità. Vediamo così le due giovani protagoniste conoscersi, innamorarsi e infatuarsi l’una dell’altra. Lo spettatore empatizza profondamente con loro, si lascia trasportare da quel sentimento che gli riempie il cuore, sorridendo davanti a scene gioviali in cui le vediamo giocare nell’acqua, ridere e scherzare in armonia. Per entrambe, la felicità massima è semplicemente stare accanto all’altra.
Successivamente, le ritroviamo adulte, due donne che si amano con intensità e che scoprono la propria sessualità. Le scene di intimità sono trattate con delicatezza e passione, accompagnate da una melodia al pianoforte che sottolinea la dimensione carnale e spirituale del loro legame. Non mancano, tuttavia, alcune scelte discutibili: una scena in particolare — in cui una delle protagoniste è nuda con un polpo adagiato sul busto — appare eccessiva e stona con la poetica visiva costruita fino a quel momento. Nonostante queste piccole sviste di tono, il film riesce a raccontare con efficacia una storia d’amore, liberandola da etichette e trattandola come un legame tra due esseri umani. Peccato, però, che nell’ultima parte del racconto questa forza narrativa si affievolisca. La tematica LGBT, fino a quel momento trattata con naturalezza, diventa improvvisamente centrale e pervasiva, invadendo ogni angolo della narrazione, soprattutto dopo l’arresto delle due donne. Da questo istante il film sembra così perdere l’equilibrio iniziale, sacrificando la delicatezza del sentimento in favore di un’impostazione più militante e didascalica, dove la tematica LGBT invade tutto.
A causa della scelta di privilegiare un impianto narrativo fortemente orientato all’impegno civile, Elisa e Marcela perde progressivamente la profondità psicologica che nella prima parte sembrava promettere. In particolare, il personaggio di Elisa viene sacrificato: la sua interiorità, le sue contraddizioni, il suo percorso emotivo rimangono in ombra, raccontati quasi esclusivamente in funzione della sua identità sessuale e del ruolo che ricopre nella vicenda storica. Questo approccio riduttivo trasforma la storia d’amore in un pretesto per veicolare un messaggio politico, certamente importante, ma che finisce per schiacciare la dimensione umana e relazionale del racconto. La regista Isabel Coixet sottolinea il tema dell’uguaglianza di coppia attraverso le didascalie finali, che ricordano come il matrimonio tra persone dello stesso sesso sia ancora illegale in molti paesi del mondo. È una scelta nobile nelle intenzioni, ma che rischia di compromettere la forza narrativa del film, rendendolo più manifesto ideologico che racconto cinematografico.
Quello che colpisce è il contrasto con la prima parte del film, dove l’amore tra Elisa e Marcela viene raccontato con delicatezza, sensualità e universalità, al di là delle etichette. Lì, la regia sembrava voler esplorare le sfumature emotive e caratteriali delle protagoniste, lasciando spazio a una narrazione intima e poetica. Ma questa direzione viene abbandonata nella seconda metà, dove la sceneggiatura si irrigidisce e si fa più didascalica. L’assenza quasi totale di personaggi secondari significativi contribuisce a rendere il mondo narrativo povero e poco stratificato: tutto ruota attorno alle due protagoniste, ma senza che vengano realmente approfondite, in particolare Elisa. Nonostante ciò ottime sono le prove delle due attrici, capaci di rendere il film sensuale ed emotivo grazie alle loro performance, in particolar modo Greta Fernández riesce a indossare alla perfezione i panni di Marcela, anche grazie al fatto che questo risulta l’unico personaggio ben scritto e che possiede un suo background, cosa che non avviene a Elisa.
Una cornice superflua
Inoltre alcune scene presenti nel film risultano superfluie coerenti all’interno della pellicola. In particolare, la cornice narrativa ambientata in Argentina nel 1925 — in cui una giovane donna, presumibilmente la figlia di Marcela, giunge in una casa isolata per incontrare la madre e ascoltarne il racconto — appare come un’aggiunta forzata, priva della necessaria profondità emotiva. Questa struttura avrebbe potuto offrire un’interessante chiave di lettura generazionale, aprendo uno spazio di riflessione sul lascito della vicenda e sul rapporto tra memoria, identità e discendenza. Tuttavia, la sua realizzazione è superficiale, tanto nella scrittura quanto nella messa in scena: i dialoghi sono scarni, privi di tensione emotiva, e la dinamica tra le due donne non viene mai realmente esplorata, lasciando l’impressione di un espediente narrativo inserito più per chiudere il cerchio che per arricchire il racconto.
A peggiorare la resa di questa sequenza contribuisce l’uso del trucco prostetico per invecchiare i personaggi, che risulta visivamente poco credibile e quasi teatrale nel senso più artificioso del termine. L’invecchiamento di Marcela, in particolare, manca di naturalezza e finisce per distrarre lo spettatore proprio in un momento che avrebbe dovuto essere carico di pathos e significato. Invece di chiudere il film con una nota emotiva potente, la scena finale si affloscia in una rappresentazione visiva poco curata e in una scrittura che non riesce a restituire la complessità del vissuto della protagonista. Il risultato è un epilogo che, pur cercando di evocare la persistenza dell’amore e il peso della memoria, non riesce a coinvolgere né a commuovere, lasciando un senso di incompletezza e di occasione mancata.
Corenza visiva
Il film Elisa e Marcela presenta una regia e una fotografia inizialmente affascinanti, ma nel complesso prive di coerenza stilistica, con un cambio di registro che compromette l’unità visiva e narrativa dell’opera. A livello visivo si presenta inizialmente con una fotografia in bianco e nero digitale dal cromatismo sorprendentemente caldo, che si discosta dalla consueta freddezza associata a questa scelta estetica. Il bianco, quasi abbagliante, invade la scena e restituisce un senso di leggerezza, intimità e sospensione, soprattutto nelle sequenze ambientate all’aperto, come quella del fiume — probabilmente il momento più riuscito del film sotto il profilo visivo, registico e drammaturgico. In molte inquadrature, le protagoniste sembrano muoversi in paesaggi vuoti, immersi in una luce lattiginosa dal sapore poetico che le isola dal mondo circostante, creando un effetto di rarefazione che concentra l’attenzione esclusivamente su di loro. Questa scelta, unita a una scenografia minimalista e a un’impostazione teatrale evidente — come nella sequenza poetica della lettura delle lettere — contribuisce a costruire un’atmosfera sospesa, quasi onirica, che ben si sposa con la dimensione privata e idealizzata del loro amore. Il problema è che questa coerenza visiva si spezza bruscamente nella seconda parte del film, quando la fotografia si incupisce, virando verso toni più scuri e materici, in linea con l’incarcerazione e la fuga delle protagoniste e la loro nuova condizione. Il problema però non sta nell’uso del colore ma bensì nel fatto che la regia introduce, non si sa come mai, elementi di rottura: inserti d’archivio, filmati di repertorio, una patina visiva da cinema d’epoca e persino l’uso dell’iris out, una tecnica tipica del cinema muto in cui l’immagine si chiude gradualmente in un cerchio.
Se da un lato questo cambio di registro può essere letto come un tentativo di evocare la memoria storica e sottolineare la drammaticità degli eventi, dall’altro compromette l’unità stilistica del film, generando una frattura tra la prima e la seconda metà. La regia sembra abbandonare l’approccio intimo e simbolico per adottare un’estetica più documentaristica e frammentata, perdendo così parte della forza emotiva costruita in precedenza. Parallelamente, anche la sceneggiatura si irrigidisce: l’approfondimento psicologico dei personaggi si affievolisce, in particolare quello di Elisa, che rimane in ombra rispetto a Marcela, l’unica figura dotata di un vero arco narrativo. Questo sbilanciamento, unito alla discontinuità visiva, rende il film meno coeso e meno incisivo, lasciando la sensazione di un’opera divisa tra due anime — una lirica e sensuale, l’altra storica e didascalica — che faticano a convivere armoniosamente.
Quello che mi ha colpito durante la visione è come il film sembri rinunciare progressivamente alla sua forza espressiva iniziale. La fotografia, che all’inizio trasmette una dimensione quasi mitica dell’amore tra le protagoniste, si trasforma in una cronaca visiva che cerca di aderire al contesto storico, ma lo fa in modo meccanico, perdendo la delicatezza e la tensione emotiva che avevano reso potente la prima parte. L’uso dell’iris out, ad esempio, non è integrato organicamente nel linguaggio del film, ma appare come un espediente stilistico isolato, introdotto troppo tardi per avere un reale impatto. È come se il film non avesse deciso fino in fondo che tipo di racconto volesse essere: una storia d’amore intima e universale, oppure una ricostruzione storica militante e che tipo d’impostazione visiva adottare. Tutto ciò ha indebolito la regia, che sembra oscillare tra due approcci senza riuscire a fonderli in modo convincente. Il risultato è un’opera visivamente interessante ma narrativamente discontinua, che lascia il senso di un’occasione mancata.
In conclusione
Elisa y Marcela è un’opera che tenta di raccontare una storia d’amore e di lotta con ambizioni liriche e civili, ma che finisce per smarrire la propria coerenza narrativa e visiva. Isabel Coixet costruisce una prima parte delicata e poetica, dove l’amore tra le protagoniste è trattato con naturalezza e universalità, ma nella seconda metà il film vira verso un’impostazione più didascalica e frammentata, sacrificando la forza emotiva iniziale. Il risultato è un’opera divisa tra due anime che non riescono a fondersi in modo armonico, lasciando la sensazione di un racconto che avrebbe potuto essere molto più incisivo.
Note positive
- Interpretazioni sincere e coinvolgenti
- Sequenze visivamente affascinanti (come quella del fiume)
Note negative
- Psicologia dei personaggi non pienamente sviluppata
- Cornice narrativa superflua e poco efficace
- Uso di tecniche visive non integrate organicamente
- Sbilanciamento tra dimensione intima e impegno civile
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| Sceneggiatura |
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| Colonna sonora e sonoro |
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| Interpretazione |
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| Emozione |
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SUMMARY
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3.4
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