Giovannona Coscialunga disonorata con onore (1973): La commedia sexy all’italiana

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Giovannona Coscialunga disonorata con onore

Titolo originale: Giovannona coscialunga disonorata con onore

Anno: 1973

Paese: Italia

Lingua: Italiano

Genere: Commedia

Casa di Produzione: Dania Film

Durata: 1 hr 34 min

Regia: Sergio Martino

Sceneggiatura Francesco Milizia,Carlo Veo, Franco Mercuri, Tito Carpi, Luciano Martino

Montaggio Attilio Vincioni

Dop Stelvio Massi

Attori: Pippo Franco, Edwige Fenech, Gigi Ballista

Trailer di Giovannona Coscialunga disonarata con onore

Trama di Giovannona Coscialunga disonorata con onore

Un industriale vuole conquistare i favori di un onorevole, il quale però vuole in cambio prestazioni sessuali da parte della moglie dell’uomo come cambio di favori. L’industriale così deve pagare una prostituta che vada a recitare la parte della moglie; da qui inizieranno varie situazioni imbarazzanti e piene di equivoci.

Recensione di Giovannona Coscialunga disonorata con onore

Nel 1976 uscì il secondo capitolo delle avventure del ragionier Ugo Fantozzi intitolata Il secondo tragico Fantozzi, diretto sempre da Luciano Salce. La scena più iconica di questo film è, senza dubbio, quella in cui gli impiegati sono costretti a visionare per l’ennesima volta La corazzata Kotiomkin (e non Potëmkin, dato che la produzione non ottenne i diritti per l’utilizzo del materiale originale). Alla fine di questa scena, Paolo Villaggio sale sul palco e pronuncia la fatidica frase “Per me La corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca” e dopo i “92 minuti di applausi” che seguono la ormai leggendaria frase, viene narrato che “Guidobaldo Maria Riccardelli fu costretto per due giorni e due notti consecutive a visionare ininterrottamente a rotazione: Giovannona coscialungaL’esorciccio e La polizia s’incazza (storpiatura del titolo del film di Steno La polizia ringrazia, considerato il primo poliziesco italiano, datato 1972)”.

Questa scena trasformò il film di Sergio Martino in un’icona del trash e della commedia pecoreccia italiana, cosa non del tutto vera. Certo, nella pellicola sono presenti nudi (molti meno rispetto allo standard dell’epoca) ed alcune battute non sono proprio fini (“Gli avessi chiesto una suonatrice d’arpa, una traduttrice simultanea dal cinese… Gli ho chiesto ‘na mignotta!”), ma la vicenda è inserita in un contesto sociale ben definito, con intenti satirici evidenti.

Il film inizia in una stereotipatissima Sicilia, con tanto di fichi d’india in primo piano, dove due abitanti del posto osservano un uomo che si aggira da quelle parti. Il primo dialogo del film è tra i due paesani: “Cu è chistu?” “Il nuovo pretore. Arrivao ieri sera”. E dopo aver salutato l’uomo con il classico “Baciamo le mani”,  il dialogo tra i due continua con: “Pretore è?” “Sicuro!” “Pericoloso?” “Ma quale pericoloso. Galantuomo glié”. Già questo primo scambio di battute ci aiuta a capire il contesto sociale in cui ci troviamo. La scena prosegue con il pretore che chiede ad un altro siculo un’informazione e questi gli risponde semplicemente “io niente saccio”.

Lo stereotipo mafioso messo in scena in realtà serve ad introdurre un altro tipo di attività illegale, ovvero quella dei grandi imprenditori. Subito dopo scopriremo infatti che le acque del fiume che passa li vicino sono inquinate da una fabbrica di formaggi, di proprietà dell’industriale LaNoce, che finisce subito sotto inchiesta. Questi allora cercherà una protezione politica e, come prima cosa, chiederà aiuto ad un monsignore del luogo, il quale gli consiglia l’onorevole Pedicò, un devoto con l’unico problema di “essere onesto”. Il tirapiedi di LaNoce, interpretato da Pippo Franco, scoprirà però il punto debole dell’onorevole: le mogli dei suoi collaboratori.

Da qui parte la vera trama, ovvero cercare una prostituta da far passare per la moglie dell’imprenditore e darla in pasto a Pedicò. La scelta cadrà su Cocò, interpretata da Edwige Fenech, una “borgatara” dal forte accento romano.

Da questo momento in poi l’aspetto di satira e di critica viene messo in secondo piano per lasciare spazio ad una più prevedibile commedia degli equivoci. Fortunatamente a salvare il film ci pensa un ritmo sempre crescente, fino al beffardo finale, dove il personaggio del pappone ricatta tutti, ricordando anche al pubblico che tutte le buffonate viste fino a quel momento sono partite da un fatto molto grave:

“C’era una volta un certo industriale che, dopo aver inguaiato un fiume con la sua fabbrica di cacio puzzolente, decise di rivolgersi ad un onorevole molto importante di cui io non faccio il nome. Ma lo indico col naso” (Cit.)

Il finale vede, da una parte, il pappone e l’imprenditore lavorare fianco a fianco nell’azienda di formaggi; dall’altra il personaggio di Pippo Franco diventare il protettore di Cocò.  

“Celebre, almeno nel titolo, commedia degli equivoci, meno greve del suo titolo e più divertente del previsto, che si snoda tra mille quiproquo, battute più o meno stantie e qualche appetitoso spogliarello dell’abbondande Edwige Fenech, all’epoca nella non casuale compagnia del regista Sergio Martino. Tra gli ottimi caratteristi si segnalano i compianti Gigi Ballista e Vittorio Caprioli”. (Massimo Bertarelli, ‘Il Giornale’, 11 luglio 2000)

Note positive

  • La regia di Sergio Martino nobilita qualsiasi commedia.
  • Il ritmo è sostenuto per tutto il film.
  • Edwige Fenech, con la sua aria stralunata e le sue curve provocanti, ha dato vita ad un’icona del cinema italiano

Note negative

  • Dopo la prima, ottima, mezz’ora, il film diventa una prevedibile, seppur divertente, pochade
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