Gran Torino: La redenzione di un reduce

Condividi su
Trailer italiano di Gran Torino

Clint Eastwood realizza un dramma sceneggiato da Nick Schenk, in seguito autore di The Judge (D. Dobkin, 2014) e Il corriere – The Mule (C. Eastwood, 2018). Curato dal direttore della fotografia Tom Stern (collaboratore di Eastwood dal 1982) e montato dal vincitore dell’Oscar 1993 Joel Cox (per il montaggio di Gli spietati, C. Eastwood, 1992), il film ha ottenuto la candidatura al Golden Globe 2009 per la Miglior canzone (Gran Torino) a Clint Eastwood, Kyle Eastwood, Jamie Cullum e Michael Stevens. Inoltre, ai Saturn Award 2009 è stato nominato nella categoria Miglior film d’azione/di avventura/thriller, mentre al National Board of Review Award 2008 è stato incluso tra i dieci miglior film della stagione, vincendo i premi di Miglior attore protagonista e Migliore sceneggiatura originale rispettivamente con Clint Eastwood e Nick Schenk. Oltre a Kyle Eastwood, protagonista per la colonna sonora, nel lungometraggio è presente anche un altro figlio del regista: Scott Eastwood nel ruolo di Trey.

Trama di Gran Torino

Walter “Walt” Kowalski (Clint Eastwood) è un anziano abitante della periferia di Detroit. Highland Park, il quartiere in cui vive, è molto cambiato da quando ha acquistato la propria abitazione, e Walt, rimasto solo a seguito della scomparsa della moglie, fatica a relazionarsi con i vicini di etnia Hmong. Tuttavia, l’incursione di una gang e il successivo intervento di Walt a difesa della sua proprietà (e, di conseguenza, di quella dei vicini), lo rendono il beniamino del quartiere e destinatario di molteplici omaggi dalle famiglie Hmong. E questo anche per via della costretta “iniziazione” di Thao (Bee Vang), giovane vicino di Kowalski obbligato a rubare la Ford Gran Torino tanto curata dal reduce per dimostrare di poter far parte della banda in cui milita suo cugino. Un gesto che, sorprendentemente, prelude ad un particolare rapporto con Thao e la sorella Sue Lor (Ahney Her), capace di avvicinare Walt a quel mondo da sempre detestato, ma anche ragione di un nuovo e motivante obiettivo.

Recensione di Gran Torino

Che il cinema di Clint Eastwood prediliga raccontare le persone “comuni” non è certo una novità. Lungometraggi come Sully (2016), l’iperrealistico Ore 15:17 – Attacco al treno (2018) e il recente Richard Jewell (2019), testimoniano proprio tale preferenza, rendendo il regista, attore e produttore nato a San Francisco un franco comunicatore della società grazie al suo stile ruvido e diretto. Lo script di Gran Torino, terzultimo film che vanta Eastwood nel ruolo di attore protagonista (l’ultimo è Il corriere – The Mule, 2018), si allinea perfettamente a questo stile cinematografico, raffigurando il solitario Walter “Walt” Kowalski, reduce della guerra di Corea (1950-1953), come il “manifesto” di un’epoca che sta ormai scomparendo. Seduto in veranda con una birra in mano, lanciando occhiate al mutevole quartiere di Highland Park, nella periferia di Detroit, Walt non riconosce più il luogo in cui ha vissuto per tutta la vita, avvertendo la responsabilità di costituire l’ultimo “avamposto” di una linea destinata a soccombere.

Del resto, intorno alla sua abitazione non ci sono né amici né semplici conoscenti, scomparsi per l’implacabile avanzare del tempo e, probabilmente, i cambiamenti che hanno riguardato proprio Highland Park. I nuovi vicini di etnia Hmong, al principio allontanati da Walt, sono però le uniche persone con cui scopre di avere “qualcosa in comune”, come sostenuto dallo stesso reduce. Perché Walt, oltre ad essere un uomo tormentato da ciò che “non gli è stato ordinato di fare” durante la “guerra dimenticata”, è anche un padre allontanato dai propri figli, interessati principalmente ai suoi beni materiali e, addirittura, nella persona di Mitch Kowalski, oggetto di una volontà che prevede il suo confinamento all’interno di una residenza per anziani (descritta come un lussuoso hotel a cinque stelle). È dunque il rispetto, soprattutto intergenerazionale, uno dei temi preminenti in Gran Torino, lungometraggio in cui, quasi a conferma della tesi, Walt resta colpito da quel giovane di etnia Hmong che accorre ad aiutare un’anziana vicina, prima oggetto degli scherzi di alcuni adolescenti. Eastwood, con il suo personalissimo stile epurato da ipocrisia, critica dunque la società, sempre più avviata verso una versione egoistica della persona, in cui, come a riproposizione del modello della guerra di Corea, si provoca, si deride, si arreca dolore anche senza alcun ordine.

Ma è proprio il giovane Thao, allo stesso modo di Padre Janovich, a costituire quella speranza che Walt neanche più ricerca. In fondo, Thao, fedele aiutante della sua famiglia, timido e volenteroso nel restare lontano dalla gang di suo cugino, è l’opposto dei figli di Walt, e persino dei suoi nipoti. Un aspetto che convince il reduce a rivalutare i suoi vicini, erroneamente considerati secondo i più comuni stereotipi, e invece unica possibilità per avvicinarsi a quella redenzione a cui Walt in fondo ambisce. Cercando di trasmettere a qualcuno abbastanza disposto ad ascoltare ciò che ha imparato dalla vita, e (magari) regalando un sogno di libertà che tanto contrasta con la sua vita a Highland Park. Che è ferma. Bloccata. Quasi sospesa in un perenne intervallo dal quale cerca di sottrarsi accettando l’invito della famiglia di etnia Hmong. E poi totalmente in contrasto con quella Ford Gran Torino del ’72 che custodisce con tanta cura. Un’auto favolosa. Simbolo della gioventù. Ma anche di quella già citata libertà che Walt desidera regalare ad ogni costo.

Note positive

  • Le interpretazioni di Clint Eastwood, Bee Vang e Ahney Her
  • La sceneggiatura di Nick Schenk

Note negative

  • Nessuna da segnalare
Condividi su

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.