Il caso Moro: Giuseppe Ferrara racconta i 55 giorni che sconvolsero l’Italia

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Locandina Il caso Moro

Il caso Moro

Anno: 1986

Paese di produzione: Italia

Genere: storico, drammatico, thriller

Durata: 110 minuti

Produzione: Yarno Cinematografica

Distribuzione: Columbia Pictures Italia

Regista: Giuseppe Ferrara

Sceneggiatura: Armenia Balducci, Giuseppe Ferrari, Robert Katz

Montaggio: Roberto Perpignani

Fotografia: Camillo Bazzoni

Attori: Gian Maria Volonté, Margarita Lozano, Sergio Rubini, Emanuela Taschini, Mattia Sbragia

Un estratto del film

Recensione de Il caso Moro

Una ricostruzione puntuale dei 55 giorni del rapimento di Aldo Moro, uomo politico ed esponente della Democrazia Cristiana rapito, imprigionato e infine assassinato dalle Brigate Rosse il 9 maggio del 1978. Lungometraggio non esente da critiche rivolte alla classe dirigente italiana, l’opera diretta da Giuseppe Ferrara è la rielaborazione del libro di Robert Katz – anche collaboratore alla sceneggiatura – I giorni dell’ira. Il caso Moro senza censure pubblicato nel 1982. Una rievocazione serrata di quei giorni che sconvolsero l’Italia resa mediante uno stile registico schietto e privo di retorica che, tuttavia, non cede a un didattismo meramente scolastico.

Trama de Il caso Moro

I 55 giorni del rapimento del politico e giurista italiano Aldo Moro, dalla strage di Via Fani in cui l’esponente della Democrazia Cristiana viene rapito per mano delle Brigate Rosse sino alla sua esecuzione. Rinchiuso in un bunker, Moro viene costantemente interrogato dai terroristi che, nel frattanto, rendono noto il sequestro attraverso gli organi di stampa: in parallelo alla reclusione dell’uomo, dunque, si sviluppa un dibattito politico in merito all’eventuale pagamento di un riscatto, inconcepibile per il governo italiano.

Analisi de Il caso Moro

Il film di Giuseppe Ferrara si configura come esempio felice all’interno del quadro disastroso quale è stato il decennio degli anni Ottanta per la cinematografia italiana: appartenente alla corrente del cosiddetto cinema civile, Il caso Moro è un lungometraggio che coinvolge lo spettatore mediante un giro di vite che culmina con il rinvenimento del cadavere dell’esponente della DC in Via Caetani a Roma. Lo stile adottato dal regista, scomparso nel 2016, al fine di aderire alla marca storico-realistica, risulta schietto e rapido, privo di orpelli retorici, e volto a porsi come chiara ricostruzione dei cinquantacinque giorni di prigionia di Moro. Indicativa di tale attitudine quasi giornalistica è l’iniziale richiesta a Francesco Rosi di girare il film, ben noto esponente del cinema impegnato. Il livello di tensione, culminante nel rapimento del politico in via Fani, è percepibile attraverso un raffinato montaggio alternato che mostra due situazioni parallele: su una linea temporale si sviluppa la preparazione delle Brigate Rosse all’assalto all’automobile del politico-Moro; sull’altro piano, si conosce la figura dell’uomo-Moro attraverso la sequenza ambientata nella sua abitazione, nella quale si susseguono le figure del nipote, della figlia e della moglie del Presidente, prima che questi si prepari a lasciare l’appartamento. La parte centrale della pellicola è focalizzata sulla prigionia di Moro all’interno di un bunker, nel quale si susseguono una serie d’interrogatori da parte dei brigatisti: in tali sequenze, Ferrara esplicita la necessità di mostrare non solo il ruolo politico dello statista, ovvero, quello di esponente della DC, ma anche la sfera intima dell’uomo: tale obiettivo viene perseguito mediante le sequenze in cui Moro scrive una moltitudine di lettere indirizzate ad amici e colleghi affinché questi possano trovare un modo per liberarlo.

Indubbiamente, la scelta di affidare la parte di Aldo Moro all’attore Gian Maria Volonté è stata necessaria al fine restituire un’immagine più realistica possibile del politico. Nonostante l’artista fosse contro l’esponente della Democrazia Cristiana, in quanto impegnato sul fronte comunista, questi riuscì comunque a restituire la tragedia e la solitudine del Moro storico, a differenza, invece, del Moro interpretato in Todo Modo di dieci anni precedente al lungometraggio di Ferrara. “Il film di Petri era un’allegoria, i personaggi delle maschere: qui si tratta di tutt’altro”, dichiarò lo stesso attore, il quale, non lasciando trasparire la propria palese posizione politica, sottese di aver avuto rispetto per la figura di Moro; in effetti, come ebbe modo di dichiarare il regista Giuseppe Ferrara, nonostante Volonté odiava lo statista democristiano, il film in toto risultò un prodotto di chiara propaganda su Aldo Moro e, al contrario, un atto di accusa rivolto alla classe politica al potere nel periodo dei cinquantacinque giorni.

Il caso Moro risulta dunque incanalato nel contesto del cinema civile e una precisa ricostruzione di quei “giorni dell’ira” che sconvolsero l’Italia. Ferrara, in perfetta sintonia con l’indimenticabile interpretazione di Volonté, si mostra narratore oggettivo delle vicende storiche, operando una commistione fra superficiale neutralità e profondo criticismo, nel segno del cinema italiano impegnato.

Note positive

  • L’aderenza oggettiva alle vicende mediante la ricostruzione fedele degli eventi e dello stato d’animo di Aldo Moro
  • L’interpretazione sopra le righe di Gian Maria Volonté
  • L’attenzione rivolta alle reazioni della classe politica in merito al rapimento di Moro

Note negative

  • La scena dell’accesso di Don Stefani al bunker in cui viene rinchiuso Moro, in collisione con la realtà storicamente documentata e accertata
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