Il dio nero e il diavolo biondo: l’estetica della fame

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Il dio nero e il diavolo biondo locandina del film

Il dio nero e il diavolo biondo

Titolo originale: Deus e o Diabo na Terra do Sol

Anno: 1964

Paese: Brasile

Genere: drammatico

Produzione: Copacabana Filmes

Distribuzione: INC

Durata: 120 min.

Regia: Glauber Rocha

Sceneggiatura: Glauber Rocha, Walter Lima Jr.

Fotografia: Waldemar Lima

Montaggio: Glauber Rocha, Rafael Justo Valverde

Musiche: Heitor Villa-Lobos, Sérgio Ricardo, Glauber Rocha

Attori: Geraldo Del Rey, Yoná Magalhães, Maurício do Valle, Othon Bastos, Lidio Silva, Sonia dos Humildes, João Gama, Antonio Pinto, Milton Rosa

trailer del film Il dio nero e il diavolo biondo

Trama de Il dio nero e il diavolo biondo

Ho fatto fatica ad alleviare il mio dolore. Ma non serve a niente. Per questo dovevo stare in piedi, lottando fino alla fine, finché il sertão non diventa mare.. e il mare non diventa sertão.

(tratto dal monologo di Sebastião in Il dio nero e il diavolo biondo)

Strutturato in forma di ballata scandita dalle parole di un cantastorie cieco, il film segue le vicende del mandriano Manuel e di sua moglie Rosa, una coppia di poveri abitanti del sertão, regione del Nord-est brasiliano.

Manuel subisce un torto da un ricco proprietario di bestiame e lo uccide. Per questo è costretto a fuggire fino al Monte Santo, dove una comunità di fedeli segue le fanatiche indicazioni di Sebastião, un monaco che si è autoproclamato santo. Sebastião, che promette l’avvento del Paradiso sulla terra quando il sertão e il mare saranno uniti, induce Manuel a compiti sempre più gravosi, fino a spingerlo al sacrificio di un neonato per purificare sua moglie Rosa. Nel frattempo la chiesa cerca un modo di sbarazzarsi di Sebastião, ingaggiando Antonio das Mortes, un cacciatore di banditi, perché uccida il monaco e stermini la sua comunità.

(Spoiler)

Rosa uccide Sebastião poco prima dell’arrivo di Antonio, che lascia in vita Manuel e Rosa perché possano raccontare la strage dei fedeli. Fuggiti dal Monte Santo, Manuel e Rosa incontrano Capitão Corisco, un violento bandito che vuole vendicarsi della morte del capo della sua banda Lampião e della sua fidanzata Maria Bonita, uccisi dai soldati. Manuel entra nella banda di Corisco e insieme a lui saccheggia una villa di ricchi possidenti, mentre Rosa è attratta dal bandito. Ma Antonio das Mortes è sulle tracce di Corisco, che alla fine raggiunge e uccide. Il finale è aperto, con Manuel che continua a correre nel sertão e verso il mare, mentre il cantastorie con la sua ultima ballata spiega che il mondo non è né di Dio né del Diavolo, ma dell’uomo.

Il contesto artistico e storico

Siamo in Brasile, all’alba degli anni Sessanta. Irrompe nelle sale il Cinema Novo: un cinema radicale, rivoluzionario, a metà tra realismo documentaristico e surrealismo, modernità e folclore, storia e mito. Questo movimento cinematografico nasce in particolare durante un periodo storico che vede l’insorgere di una grave crisi politica, il fallimento della riforma agraria, un investimento nelle compagnie petrolifere nazionali e un golpe militare (appoggiato dagli USA); fatti che rendono le regioni del Nord del Paese ancora più povere. Oltre alla tumultuosa atmosfera brasiliana, gli aspiranti registi del Cinema Novo, subiscono il fascino delle nuove correnti cinematografie europee, in particolare il Neorealismo italiano e la Nouvelle Vague francese. Il Neorealismo come cinematografia di denuncia, spogliata di qualsiasi artificio o filosofia; la Nouvelle Vague come faro portatore delle nuove pulsioni esistenzialiste capitanate da Jean-Paul Sartre e Simone De Beauvoir. Il nascente movimento si impossessa, quindi, della macchina da presa, esiliandola dalle grandi città e insediandola nelle regioni del Nord, in cui regnava la povertà. I cineasti impongono da subito al Cinema Novo un’impronta politica, acquisendo immediatamente un carattere militante, tanto da permettere alle riprese di assumere forme anche documentaristiche. 

Recensione de Il dio nero e il diavolo biondo

Deus e o Diabo na Terra do Sol (tradotto in italiano col titolo di Il dio nero e il diavolo biondo), è un film esemplare, iconico e fondamentale nel lavoro di Glauber Rocha, uno dei maggiori esponenti del Cinema Novo brasiliano. Qui compare tutta l’estetica della fame di questa corrente cinematografica, l’anima primitiva e complessa di un popolo che il regista vuole restituire al popolo stesso. La sua esigenza è quella di mettere fin da subito in evidenza i poteri sovrannaturali attorno ai quali si concentra una poetica, un’intenzione sociale di analisi della realtà e una storia profondamente archetipica; la quale gira intorno a tre elementi sostanzialmente diabolici e divini: il santone fanatico che pretende obbedienza, sacrificio, violenza catartica; il bandito, la cui liberazione degli istinti è forse ancora una maggiore schiavitù e che diventa, anch’egli, un padrone; e una terra desolata, poverissima, inospitale e allo stesso tempo affascinante e immensa. Sono proprio questi elementi a farne un’opera libera e allo stesso tempo rigorosa nell’individuare momenti topici, figure mitiche ed elementi caratterizzanti di un’epoca e di un mondo, quello del Nord-est est brasiliano degli anni Quaranta.

Rocha mette in pratica in quest’opera, che è la sua seconda, quanto era andato a definire attraverso una lunga attività di organizzatore politico – culturale. Contro il cinema d’importazione, contro le influenze hollywoodiane, si rivendica la riscoperta dei temi nazionali, della cultura popolare, rapportati alla realtà continentale latino – americana. La storia di sottomissione e di violenza subita dalle popolazioni povere del Brasile porta con sé solo episodi di violenza isolata; così è isolata la cruenta rivolta che compiono Manuel e Rosa verso il loro padrone, così è isolata la rivolta del bandito Corisco verso tutti i padroni. Per Manuel e Rosa, per tutti gli abitanti del sertão, il vero freno della liberazione è l’episodicità del loro gesto. L’istintività della ribellione permette al misticismo religioso di porsi come risposta illusoria e violenta all’ingiustizia. Ma anche la violenza di Corisco rimane sempre racchiusa nella rivolta, nell’individualità dei gesti che vengono compiuti. Il cammino verso la liberazione è spezzato, ma nel rapporto dei due contadini, prima col santo Sebastião (il dio), che svilizza e ingabbia la loro rivolta, poi con il bandito (il diavolo), che la rindirizza verso obiettivi più precisi, si intravede la possibilità di un cammino diverso per raggiungere la liberazione.

Parlando della preparazione di Il dio nero e il diavolo biondo, il regista Rocha racconta:

Incontrai alcuni ciechi e anche l’uomo che uccise Corisco. Mi raccontarono più o meno la stessa storia però mischiando con la verità dettagli inventati. José Rufino, che mi ispirò il personaggio di Antonio das Mortes, raccontò tre volte in modo differente il modo in cui uccise Corisco… I ciechi, gli attori nei teatri popolari, nei circhi, nelle fiere, dicono “Vado a raccontarvi una storia: è la verità e immaginazione” oppure “è la veritiera immaginazione”

Per chi è abituato a oggettivare la realtà circostante e a classificarla secondo schemi precisi, non è facile comprendere tutto questo, e quindi accettare pienamente il linguaggio di Rocha. Per una cultura come quella europea, secondo cui ciò che non è scientificamente reale è pura fantasia, scattano meccanismi psichici di difesa e di rifiuto, che nascono dall’insicurezza e dal bisogno di barricarsi dietro le solide pietre dell’inconfutabile. È, appunto, l’ostacolo da superare, per accostarsi al regista e alla sua poetica. Rocha si immerge totalmente in questa dimensione esistenziale, elaborandola al punto da farla coincidere con la propria visione poetica. Per sviluppare il racconto egli non impiega strumenti intellettualistici, ma scava nella storia del suo Paese ricavandone quegli elementi significativi che possono essere accolti da un pubblico più vasto.

Analisi de Il dio nero e il diavolo biondo

Girato in un bianco e nero arido, quasi bruciato dal calore, il film è un susseguirsi di rapidi movimenti (l’uso frequente, quasi sistematico della macchina a mano, è l’ideale per sottolineare con le sue “necessarie” imperfezioni di ripresa, la drammaticità di quella realtà degradata dalla miseria e dai soprusi, dallo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo che le aberranti condizioni di vita del Nord-est brasiliano mettono in evidenza). Il tutto, esaltato da un montaggio estremamente dinamico e da una suggestiva colonna sonora dove i rumori del vento, delle grida e degli spari si sovrappongono sovente alla musica di Villa Lobos (integrata dalle molte canzoni cantate dal cantastorie, scritte dallo stesso Glauber Rocha). Tre elementi fondamentali (movimenti di macchina, montaggio, utilizzo del sonoro) che affascinarono la critica (soprattutto quella europea) insieme allo stile e all’insolita forma rappresentativa che lasciò invece sconcertato qualche spettatore in parte disturbato dal tono populista e finto-ingenuo utilizzato e dall’evidente ossessione del regista di scompaginare ciò che è ordinato, per definire questo nuovo stile narrativo.

Il dio nero e il diavolo biondo va quindi in giro e il suo regista con lui. Prima a Cannes e poi alla Mostra del Cinema Libero di Porretta dove prende il primo premio tra l’esaltazione ammirata di Cesare Zavattini e il disgusto della critica perbene. Secondo l’aggregatore di recensioni Rotten Tomatoes il film ha ottenuto un punteggio medio del 100% sul 100% da parte della critica, mentre su Imdb il pubblico lo ha votato con 7.4 su 10.

Note positive

  • Uso frequente della macchina a mano (a sottolineare la drammaticità della realtà rappresentata)
  • Montaggio dinamico
  • Utilizzo del sonoro

Note negative

  • Di non facile comprensione per chi non è a conoscenza del contesto brasiliano

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