Il Grande Silenzio: Un dramma di avidità e vendetta

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Il Grande Silenzio

Anno: 1968

Paese: Italia, Francia

Genere: Western

Casa di produzione: Adelphia Compagnia Cinematografica

Prodotto da: Sergio Corbucci

Durata: 1 hr 45 min (105 min)

Regia: Sergio Corbucci

Sceneggiatura: Sergio Corbucci, Bruno Corbucci, Mario Amendola

Montaggio: Amedeo Salfa

Dop: Silvano Ippoliti

Musiche: Ennio Morricone

Attori: Jean-Louis Trintignant, Klaus Kinski, Frank Wolff, Luigi Pistilli, Mario Brega, Marisa Merlini, Loris Loddi

Trama Il Grande Silenzio

Inverno del 1898. Gli abitanti dello Snow Hill, nello Utah, si sono visti costretti ad abbracciare la via del brigantaggio per sopravvivere a un rigido inverno. Sulle loro teste vengono messe delle taglie allettanti per giustizieri senza scrupoli né pietà, tra i quali si distingue il pericoloso Tigrero (Klaus Kinski).

La disperazione spinge i parenti delle vittime ad assumere Silenzio (Jean-Louise Trintignant) un muto e laconico vendicatore così chiamato perché porta dietro di sé il silenzio della morte.

Jean-Louis Trintignant in Il Grande Silenzio

Recensione de Il Grande Silenzio

Un anno dopo il crepuscolare C’era una volta il West di Sergio Leone, ci ha pensato un altro maestro del cinema di genere italiano come Sergio Corbucci ad aggiungere un secondo tassello alla distruzione del mito della frontiera. Assieme a I Quattro dell’Apocalisse di Lucio Fulci, Il Grande Silenzio è uno degli spaghetti western più oscuri e spietati in cui un appassionato di cinema potrà mai imbattersi, un potentissimo e disgustante trattato pessimista sulla violenza e l’ingiustizia.

L’atipica ambientazione montana dello Utah, ricreata tra i ghiacci delle Dolomiti con litri di schiuma da barba e omaggiata da Quentin Tarantino in The Hateful Eight, non ha evitato al lungometraggio di Corbucci di finire schiacciato dall’ombra ingombrante di capolavori come il già citato film di Leone, ma ciò non significa che sia meno valido e affascinante.

Il Grande Silenzio si differenzia anche dal precedente lavoro del regista, Django del 1966, con cui condivide la brutalità e l’esposizione delle infamie umane più velenose ma che veniva dotato di un oscuro umorismo a stemperare la seriosità, qui totalmente assente.

In questa sua opera, Corbucci esce da ogni schema dello spaghetti western, non solo per il setting nevoso ma specialmente per la crudeltà morale che pervade la storia, che lo differenzia da altri titoli del filone che, per quanto brutali, una vaga nota di positività riuscivano sempre a instillarla. L’avidità e le spinte vendicative hanno contagiato l’anima di tutti i personaggi, buoni o malvagi, senza fare alcuna differenza e impossibilitando la prospettiva di riscatto. La giustizia è un miraggio, la sopravvivenza e l’intento di raddrizzare i torti sono scanditi solo dalla violenza.

Già, la violenza. Ce n’è tanta in Il Grande Silenzio, e parecchio spinta. Raramente in uno spaghetti western il sangue era sgorgato dalle ferite con tale intensità come nei lavori di Corbucci, e il candore della neve misto alle scarlatte macchie ematiche potenziano il vigore di dipinti di morte e amoralità tanto belli a vedersi quanto agghiaccianti. Ovviamente Il Grande Silenzio non è solo spettacolo gratuito di arti che esplodono per gli spari e uccisioni impietose, perché Corbucci (co-sceneggiatore oltre che regista) si preoccupa di costruire una trama semplice ma coinvolgente in cui a farla da padrone sono i personaggi e le loro interazioni sofferte, sul filo dell’ambiguità.

Al suo primo ruolo western, il transalpino Jean-Louis Trintignant (Il sorpasso) riesce a evocare solo tramite uno sguardo malinconico ed espressivo tutto ciò che le parole avrebbero reso ridondante, e impersona con efficacia un antieroe silenzioso e dal passato nebuloso che, come ogni altro personaggio del film, subisce gli schiaffi del destino. Vonetta McGee è fantastica come Pauline, donna di colore resa vedova dai cacciatori di taglie che finirà per innamorarsi di Silenzio, condividendo la condizione di emarginazione. Il cast di supporto comprende grandi attori nostrani come Luigi Pistilli, Mario Brega e Frank Wolff, ma su tutti spicca inevitabilmente Klaus Kinski, strepitosamente posato ed elegante come viscido bounty killer dallo sguardo di ghiaccio corrucciato.

Impossibile non menzionare la colonna sonora di Ennio Morricone, la cui delicatezza stride e si amalgama alla cattiveria delle vicende. Un contributo di gran classe per il pathos di un classico che avrà modo di colpire duro. Soprattutto nel finale.

Klaus Kinski in Il Grande Silenzio

NOTE POSITIVE

  • Regia pregna di pathos.
  • Storia semplice ma coinvolgente e incredibilmente pessimista.
  • Recitazione.
  • La suggestiva ambientazione montana.

NOTE NEGATIVE

  • Nessuna di rilevante
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