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Il Maestro
Titolo originale: Il Maestro
Anno: 2025
Nazione: Italia
Genere: Commedia, Drammatico
Casa di produzione: Indiana Production, Indigo Film, Vision Distribution
Distribuzione italiana: Vision Distribution
Durata: 125 minuti
Regia: Andrea Di Stefano
Sceneggiatura: Andrea Di Stefano, Ludovica Rampoldi
Fotografia: Matteo Cocco
Montaggio: Giogio’ Franchini
Musiche: Bartosz Szpak
Attori: Pierfrancesco Favino, Tiziano Menichelli, Giovanni Ludeno, Dora Romano, Valentina Bellè, Astrid Meloni, Chiara Bassermann, Paolo Briguglia, Roberto Zibetti, Edwige Fenech
Trailer de “Il Maestro”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Nelle sale italiane da giovedì 13 novembre 2025 e presentato fuori concorso all’82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, “Il Maestro” è il quarto lungometraggio del regista romano Andrea Di Stefano che, dopo l’apprezzato noir “L’ultima notte di Amore”, rinnova la collaborazione con Pierfrancesco Favino.
Scritto a quattro mani dallo stesso Di Stefano e da Ludovica Rampoldi, il film conta la partecipazione del giovanissimo Tiziano Menichelli e vede il ritorno sul grande di Edwige Fenech, diva della commedia sexy all’italiana già nel cast di Pupi Avati per “La quattordicesima domenica del tempo ordinario” (2023).
Con “Il Maestro” ho voluto celebrare i mentori imperfetti, figure con passati dolorosi, ma ricche di cuore, capaci di aprirci gli occhi e cambiarci la vita. A tredici anni un maestro di tennis mi disse una frase che divenne la mia salvezza. Questa commedia all’italiana è il mio tentativo di rendergli omaggio.
Il regista Andrea Di Stefano
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Trama de “Il Maestro”
Estate, fine anni Ottanta. Dopo anni di duri allenamenti e regole ferree, Felice (Tiziano Menichelli), tredici anni, arriva finalmente ad affrontare i tornei nazionali di tennis. Per prepararlo al meglio, il padre (Giovanni Ludeno) lo affida al sedicente ex campione Raul Gatti (Pierfrancesco Favino), che vanta addirittura un ottavo di finale al Foro Italico. Di partita in partita, i due iniziano un viaggio lungo la costa italiana che, tra sconfitte, bugie e incontri
bizzarri, porterà Felice a scoprire il sapore della libertà e Raul a intravedere la possibilità di un nuovo inizio. Tra i due nasce un legame inatteso, profondo, irripetibile.
Recensione de “Il Maestro”
Cinema e tennis, un amore infinito che l’Italia rinnova quando i discorsi da bar su racchetta e pallina sembrano rivaleggiare i più radicati dibattiti calcistici.
Come Woody Allen che nel suo “Match Point” racconta la fortuna attraverso la storia di un ex tennista, o Luca Guadagnino che, in tempi più recenti, costruisce un triangolo amoroso nel contesto del Challenger Tour, anche “Il Maestro” guarda allo sport come metafora della vita. Tuttavia, in un’epoca storica in cui perfino i più occasionali conoscono il significato di volée, smash e passante, Andrea Di Stefano sceglie di allontanarsi gradualmente dai campi in terra battuta, indebolendo il valore dell’allegoria ma finendo per rafforzare il rapporto tra i protagonisti.
Sin dalle prime battute, il tono registico di Di Stefano appare maturo e consapevole. Che sia per l’intransigenza del padre, o per lo sport vissuto come rivincita economica e disciplina assoluta, il giovane Felice appare ingabbiato nella rigidità di regole e divieti, una prigione da cui solo il maestro, di tennis prima e di vita poi, sembra poterlo liberare. In questo senso, il film dichiara i propri intenti con una messa in scena alquanto evocativa che, in un’inquadratura stilisticamente affascinante, fissa i due mentori davanti ad una fonte di illuminazione naturale. Il loro riflesso si scaglia poi sul volto ingenuo di un piccolo protagonista in balia di due caratteri contrastanti: da una parte, come anticipato, il fanatismo di un padre padrone; dall’altra la sregolatezza di un personaggio instabile, che farà scoprire a Felice la sua vera natura di ragazzo adolescente.
Fornendo un’ennesima dimostrazione di un talento recitativo duttile e autentico, con il suo Raul Gatti Pierfrancesco Favino racconta di panico e depressione, secondo uno stile per nulla forzato che fonde con mestiere dramma e commedia. Non aspettatevi lo sforzo interpretativo con cui ha ultimato la trasformazione in Bettino Craxi nel film “Hammamet” di Gianni Amelio. L’attore romano è qui chiamato a vestire i panni di un uomo comune dal passato tormentato, che nel rapporto con il personaggio di Tiziano Menichelli trova quell’agognata occasione di riscatto.
È quel suo vissuto difficile e travagliato a rappresentare una nota stonata in una produzione complessivamente rispettabile. Nonostante gli sia dedicato un cospicuo minutaggio nella parte centrale del film, al background del coprotagonista è riservata una descrizione piuttosto inconcludente, vaga in punti potenzialmente interessanti e sin troppo dettagliata in altri, tanto da rallentare il ritmo che, almeno fino a quell’istante, era risultato piuttosto cadenzato e scorrevole. La sceneggiatura, eppure, non perde il proprio mordente. Viene bensì impreziosita dallo sguardo femminile di Ludovica Rampoldi, la quale completa la trama e mette lo spettatore nelle condizioni di guardare ai personaggi da una posizione sincera ed equilibrata.
In una sorta di road movie che ricorda e omaggia “Il soprasso” di Dino Risi, Andrea Di Stefano configura una commedia di impostazione sportiva con inserti drammatici, per di più raffinata da un’estetica accogliente e ben organizzata. Il tennis, inteso come gioco e disciplina, lascia presto il campo a una metafora che trova vigore nei concetti di difesa e attacco. L’eccessiva regolamentazione si contrappone a uno stile del tutto incontrollato, lasciando a pubblico e personaggi la facoltà di disinteressarsi dei risultati sportivi, togliendo importanza all’etichetta di perdente e vincitore.
Passando dal tono noir del suo “L’ultima notte di amore” alla commedia amara dagli esiti incerti de “Il Maestro”, Andrea Di Stefano si fa carico di un’invidiabile versatilità artistica. Complice, tra le altre cose, l’abilità di dirigere un attore di culto del calibro di Pierfrancesco Favino, il regista romano evidenzia uno sguardo inedito e caratteristico per lo stato attuale del cinema italiano: una prospettiva da grande autore che si svincola dai soliti cliché, abbracciando uno stile riconoscibile, mai stantio, il quale eleva le caratteristiche dei propri interpreti e intrattiene senza apparire frivolo o superficiale.
In conclusione
Lungi dall’essere un capolavoro, “Il Maestro” è un titolo di pregevole fattura. Stilisticamente affasciante, fa emergere la bravura del proprio regista e le ottimi interpretazioni degli attori. In aggiunta, la sceneggiatura scritta a quattro mani dalla coppia Di Stefano-Rampoldi garantisce uno sguardo completo e imparziale sulla natura dei personaggi. Una certa incoerenza nel ritmo narrativo non abbatte il livello generale di un prodotto che diverte, intrattiene e si fa portatore di interessanti sottotesti.
Note positive
- La regia di Di Stefano
- L’estetica: la fotografia, la scenografia e i costumi
- Pierfrancesco Favino e il cast
- La sceneggiatura scritta da Andrea Di Stefano e da Ludovica Rampoldi
Note negative
- Calo di ritmo nell’approfondire il vissuto di Raul Gatti
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| Colonna sonora e sonoro |
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3.3
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