Il mistero di Oberwald (1981) – La triste passione di una regina

Recensione e analisi del film Il mistero di Oberwald (1980), sperimentazione visiva e riflessione esistenziale firmata Michelangelo Antonioni

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Il mistero di Oberwald - Drammatico - Grafica de L'occhio del cineasta
Il mistero di Oberwald – Drammatico – Grafica de L’occhio del cineasta

Il mistero di Oberwald

Titolo originale: Il mistero di Oberwald

Anno: 1980

Nazione: Italia, Germania Ovest

Genere: Drammatico

Casa di produzione: RAI 2, Polytel International Film

Distribuzione italiana: C.I.D.I.F.

Durata: 129 minuti

Regia: Michelangelo Antonioni

Sceneggiatura: Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra

Fotografia: Luciano Tovoli

Montaggio: Michelangelo Antonioni, Francesco Grandoni

Musiche: Guido Turchi

Attori: Monica Vitti (La Regina), Franco Branciaroli (Sebastian), Paolo Bonacelli (Conte di Foehn), Elisabetta Pozzi (Edith de Berg), Luigi Diberti (Willenstein), Amad Saha Alan (Tony), Carla Buzzanca

Trailer di “Il mistero di Oberwald”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Il mistero di Oberwald rappresenta un momento chiave nell’evoluzione linguistica del cinema di Michelangelo Antonioni, frutto di un’iniziativa produttiva inedita, concepita non dall’autore stesso ma dalla RAI. L’emittente pubblica italiana, in quegli anni impegnata nella sperimentazione di nuovi linguaggi visivi, propone ad Antonioni di realizzare un film girato interamente in formato video, da trasferire successivamente su pellicola 35 mm. Non si trattava solo di una scelta tecnica, ma di un’operazione culturale: coinvolgere un regista di fama internazionale in un progetto capace di conciliare sperimentazione e fruibilità televisiva, potenziando la qualità artistica della produzione seriale nazionale.

Antonioni, pur consapevole di trovarsi di fronte a un lavoro su commissione, accoglie la proposta con spirito pionieristico. E invece di limitarsi a soddisfare le aspettative del committente, trasforma il vincolo produttivo in un esercizio di libertà formale. Sfrutta appieno la flessibilità del video, intervenendo in post-produzione sulla manipolazione cromatica, la gestione della luce, la composizione scenica, dando al film una matericità visiva che anticipa le sperimentazioni digitali future.

Dopo aver scartato l’adattamento di La voix humaine — già portato sullo schermo da RosselliniAntonioni sceglie di confrontarsi con L’aquila a due teste (L’Aigle à deux têtes), opera teatrale del 1946 di Jean Cocteau, il quale nel 1948 ne ha effettuato anche una versione cinematografica omonima. Fondamentale in questa operazione è la collaborazione con Luciano Tovoli, direttore della fotografia, alla sua terza e ultima esperienza con Antonioni. Insieme, i due manipolano i colori in post-produzione, sfruttando le potenzialità cromatiche del video per ottenere effetti visivi impossibili da realizzare con la pellicola tradizionale. Il risultato è un’opera che si impone come esperimento visivo, dove il linguaggio cinematografico viene messo alla prova e ridefinito.

La commissione diventa anche l’occasione per riunirsi con Monica Vitti, attrice con cui Antonioni non collaborava dai tempi di Deserto rosso (1964). Il ritorno di Vitti, affiancata da Paolo Bonacelli e Franco Branciaroli, conferisce al film un tono quasi rituale, come se si trattasse di un atto conclusivo di un ciclo artistico. La colonna sonora, composta interamente da brani di Strauss, Brahms e Schoenberg, contribuisce a creare un’atmosfera sospesa, in cui la dimensione visiva si fonde con quella musicale.

Presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia il 3 settembre 1980 e l’anno successivo al New York Film Festival, Il mistero di Oberwald viene trasmesso in televisione in Germania nel 1982, senza mai approdare nelle sale. Il film riceve due riconoscimenti significativi: il Premio AGIS a Venezia e il Nastro d’Argento per i migliori effetti speciali, a conferma del suo valore tecnico e della sua originalità visiva

Trama di “Il mistero di Oberwald”

In un regno austero e solenne, una giovane regina perde tragicamente il marito il giorno stesso delle nozze, senza aver vissuto nemmeno la prima notte di intimità. Il sovrano, circondato da polemiche per le sue ambizioni architettoniche e le spese eccessive — ricordando nella figura Luigi II di Baviera — è stato bersaglio di forti contrasti che hanno accelerato la sua fine. La vedova, malinconica e avvolta nel mistero, si sposta di castello in castello, evitando ogni esposizione pubblica e rimanendo sempre velata. Il popolo, che non conosce la sua vera natura, la circonda di maldicenze, mentre i suoi oppositori tramano nell’ombra. Tra questi, un giovane poeta anarchico, Sebastian, viene scelto per portare a compimento l’attentato.

Durante una notte tempestosa, mentre fugge dalla polizia e porta le ferite dello scontro, Sebastian penetra nel palazzo reale. Qui, in un incontro carico di tensione e suggestione, si ritrova davanti alla sovrana. Lei, sconvolta dalla somiglianza del giovane con il defunto consorte, ne rimane colpita. Il dialogo che segue, tra provocazioni e confidenze, si trasforma in qualcosa di inatteso: una complicità crescente che li avvicina fino all’amore.

Recensione di “Il mistero di Oberwald”

Il mistero di Oberwald segna un punto particolare nella carriera di Michelangelo Antonioni: un esperimento estetico e tecnico che, pur restando coerente con le sue tematiche ricorrenti, si distingue per la forma inedita e il linguaggio visivo ardito. Tratto dal dramma teatrale “L’aquila a due teste” di Jean Cocteau, il film fu realizzato per la televisione italiana nel 1980 e trasmesso nel 1981, ed è una delle prime opere cinematografiche a esplorare in modo consapevole le possibilità espressive del video elettronico. La storia si svolge in un regno immaginario, immerso in un’atmosfera gotica e decadente. Una regina vedova (interpretata da Monica Vitti), ancora traumatizzata dall’assassinio del marito avvenuto dieci anni prima, vive isolata nel castello di Oberwald. Una notte, un giovane anarchico (Paolo Bonacelli) riesce a penetrare nelle sue stanze con l’intento di ucciderla. Ma nel corso della lunga notte, tra i due nasce un dialogo intenso e ambiguo, fatto di rivelazioni, di attrazione e di introspezione, che mette in discussione le motivazioni del gesto e le identità stesse dei personaggi.

Il regista italiano trasporta il testo teatrale di Cocteau nel suo mondo poetico ed esistenziale, trasformando un dramma romantico in una riflessione sull’identità, sul doppio, sulla morte e sull’impossibilità di comunicare veramente. La regina e l’anarchico sembrano due facce della stessa medaglia: lei prigioniera del potere e del lutto, lui spinto da un impulso distruttivo che si sgretola nel confronto umano.

Il mistero di Oberwald è forse il film più sperimentale di Antonioni sul piano visivo. Girato in video e poi trasferito su pellicola, il film fa un uso estremo della manipolazione cromatica: i colori cambiano improvvisamente, in modo innaturale, trasformando ogni scena in un’esperienza pittorica e onirica. Rosso sangue, blu elettrico, verde acido: la palette visiva diventa espressione emotiva, per rendere in modo più netto i pensieri e le azioni dei personaggi, quasi come nelle tele di un espressionista astratto. Questa scelta, forse percepita nel 2025 come datata o artificiosa, era nel 1980 una frontiera nuova per il cinema. Antonioni non usa il video come un surrogato economico del film, ma come linguaggio autonomo, portando avanti una ricerca sulle possibilità percettive e sensoriali dell’immagine. Il risultato è alienante, volutamente teatrale e stilizzato, ma anche affascinante. Al centro del film, Monica Vitti regala l’ennesima interpretazione intensa e sofisticata. La sua regina è tragica, altera, ma anche fragile e spaventata. In un certo senso, il film può essere visto come una variazione sulla figura femminile tipica dei film di Antonioni, qui però intrappolata non più nei paesaggi moderni ma in un castello simbolico, circondata da ombre e illusioni.

In conclusione

Il mistero di Oberwald, indubbiamente, è un film anomalo, poco visto, spesso sottovalutato, ma di grande valore sperimentale. Non è un’opera “piacevole” nel senso tradizionale — la sua teatralità, l’artificiosità dei dialoghi e l’uso estremo del colore possono risultare respingenti — ma è un tassello fondamentale per comprendere la volontà di Antonioni di andare oltre il cinema classico, esplorando nuovi territori espressivi anche dopo aver già realizzato capolavori indiscussi. Questa forse la vera forza di tutta la pellicola. Un film difficile, visivamente audace, che sfida le convenzioni narrative e stilistiche. Più esperienza estetica che racconto è un’ulteriore dimostrazione del coraggio artistico di Antonioni, anche nei territori inesplorati del video.

Note positive

  • Monica Vitti in una delle sue prove più stilizzate e potenti
  • Uso audace della manipolazione cromatica come espressione interiore

Note negative

  • Dialoghi volutamente artificiali e poco naturali

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Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Interpretazione
Emozione
SUMMARY
3.8
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Enrico Montaguti
Enrico Montaguti