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Indiana Jones e il tempio maledetto
Titolo originale: Indiana Jones and the Temple of Doom
Anno: 1984
Durata: 1 hr 58 min (118 min)
Casa di produzione: Paramount Pictures, Lucasfilm
Prodotto da: Robert Watts
Regia: Steven Spielberg
Sceneggiatura: Willard Huyck, Gloria Katz, George Lucas
Montaggio: Michael Kahn, George Lucas (non accreditato)
Dop: Douglas Slocombe
Musiche: John Williams
Attori: Harrison Ford, Kate Capshaw, Jonathan Ke Quan, Amrish Puri, Roshan Seth, Philip Stone
TRAMA DI INDIANA JONES E IL TEMPIO MALEDETTO
Scampato per miracolo a una disastrosa trattativa a Shanghai, l’archeologo Indiana Jones (Harrison Ford) fugge in India assieme alla cantante Willie Scott (Kate Capshaw) e al giovanissimo aiutante Shorty (Jonathan Ke Quan).
Tra giungle smeraldo e templi in rovina, Indy si ritrova alle prese con la setta dei Thugs guidati dal feroce Mola Ram (Amrish Puri), che nei sotterranei di un palazzo reale architettano la conquista del paese.


RECENSIONE DI INDIANA JONES E IL TEMPIO MALEDETTO
Con Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta del 1981, Steven Spielberg aveva compiuto l’impensabile: realizzare un demiurgo che ha saputo rivitalizzare un genere considerato morto, mai eguagliato, in cui il connubio tra effetti speciali, recitazione di alto livello e sense of wonder non poteva essere più perfetto. Merito ovviamente del genio con cui Spielberg e il soggettista/sceneggiatore George Lucas avevano esaltato l’azione avvincente della più tipica caccia al tesoro, dispensando spessore culturale grazie alla presenza del nemico nazista e di un protagonista complesso che si differenzia dai suoi avversari solo nelle motivazioni, più che nei metodi.
Tre anni dopo quel successo planetario, lo stesso team creativo chiama a raccolta nuovamente il beniamino del pubblico Harrison Ford e due new entry a fare da spalla al Professor Jones: via Karen Allen e John Rhys-Davies, benvenuti Kate Capshaw e l’esordiente Jonathan Ke Quan (Richard Wang di I Goonies).
Come lo splendido predecessore, Indiana Jones e il tempio maledetto è un eccellente e affettuoso omaggio al cinema avventuroso degli anni Trenta dove non mancano richiami persino al musical e allo spy-movie alla James Bond come testimoniato dalla spassosa scena iniziale. Tuttavia Spielberg capovolge alcune peculiarità di I predatori dell’arca perduta per non ancorare la saga a schemi ripetitivi.
ANALISI DI INDIANA JONES E IL TEMPIO MALEDETTO
Venendo meno la profondità intellettuale del precedente episodio, Indiana Jones e il tempio maledetto aspira solo a essere un avvincente film d’azione che si pone l’obiettivo dell’intrattenimento disinteressato, insistendo sulla maestria di Spielberg come narratore di racconti meravigliosi che trasportano in mondi esotici, accattivanti e minacciosi. L’avventura pura è ancora rievocata con una tecnica di primissimo livello, adattandosi perfettamente alla suggestione di ambientazioni e folklore occulto memore degli scritti di Emilio Salgari.
Il tempio maledetto si differenzia da I predatori dell’arca perduta principalmente nei toni. Non che nel prototipo mancassero le derive più dark, le allusioni al soprannaturale e al disgustoso, ma si trattava di momenti che all’interno della storia occorrevano a Spielberg per puntellare gli apici di “orrore”. Il tempio maledetto invece è il vero e proprio “lato oscuro” della saga di Indiana Jones: si abbonda di animali repellenti, all’ampiezza dei deserti egizi del primo film si preferisce l’oscurità della giungla e degli spazi angusti delle rovine, il cattivo principale è un sadico sacerdote che pratica raccapriccianti sacrifici umani. Il tutto ovviamente è edulcorato dalla vena ironica dei personaggi per non risultare troppo horror o gore, ma il peso dell’oscurità è così evidente da aver infastidito certo pubblico all’uscita in sala.
In generale, lo sguardo del film è quello fanciullesco di Spielberg, che mette affianco al sempre ottimo e prestante Harrison Ford un frizzantissimo Ke Quan. La chimica tra i loro personaggi è senza dubbio l’aspetto migliore di una sceneggiatura praticamente impeccabile che, quasi più per imposizione produttiva, ha inserito una figura femminile superflua e antipatica (interpretata dall’incolpevole Kate Capshaw) che nulla ha del fascino, della grinta e della complessità di Karen Allen.
NOTE POSITIVE
- Steven Spielberg si riconferma un maestro della narrazione avvincente e rocambolesca.
- La riuscita alchimia tra Harrison Ford e Jonathan Ke Quan.
- L’alternanza di toni ironici e macabri.
NOTE NEGATIVE
- Il personaggio di Kate Capshaw.