Intervista ai registi e gli attori di Zero (2021)

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Zero è il nuovo prodotto italiano originale Netflix, ideato da Antonio Dikele Distefano, le cui riprese hanno preso il via lo scorso 25 giugno con una data di esordio fissata per mercoledì 21 aprile 2021 su Netflix. Oltre Dikele, alla scrittura della serie troviamo Menotti (Lo chiamavano Jeeg Robot), Stefano Voltaggio, Massimo Vavassori, Carolina Cavalli e Lisandro Monaco. La serie è prodotta da Fabula Pictures con la partecipazione di Red Joint Film.

Ecco la nostra intervista al cast e ai registi della serie.

Qual è il vostro superpotere e qual è quello che vorreste avere?

Giuseppe Dave Seke (Zero): “Il mio superpotere penso sia riuscire a vedere il bello anche nelle piccole cose e ciò mi permette di vedere il mondo in da un punto di vista migliore rispetto a quello che è realmente. Il potere che vorrei avere? Cavoli, è difficile però se dovessi scegliere vorrei porre maggiore attenzione sulle cose, soffermarmi di più su ciò che mi accade”.

Beatrice Grannò (Anna): “Il mio superpotere è avere tante idee, anche se spesso si rivela essere un’arma a doppio taglio, perché non ti permette di portare a termine un progetto che subito ne hai un altro in mente. Penso che ogni superpotere abbia il risvolto della medaglia, però scegliere quello di poter essere in più posti contemporaneamente”.

Daniela Scattolin (Sara): “Credo che il mio superpotere sia la sincerità. Per quanto il superpotere che vorrei avere, ne parlavo proprio l’altro giorno con la mia psicologa, vorrei saper lasciare andare le cose, dimenticare i gesti negativi che mi sono stati rivolti, vorrei essere più leggera, ecco”.

Madior Fall (Inno): “Penso che il mio superpotere, come quello di tutti gli attori, sia riuscire ad emozionare gli altri attraverso il nostro lavoro. Io vorrei potermi concentrare al 100% su ciò che faccio, perché spesso tralasciamo l’amore, il lavoro o la famiglia, vorrei riuscire a dare il massimo in tutto”.

Dylan Magon (Momo): “Il mio superpotere credo sia la battuta facile, perché mi permette di far ridere gli altri. Se dovessi scegliere un superpotere direi viaggiare nel tempo, perché principalmente il mio obiettivo sarebbe viaggiare, ma visto che posso sceglierne solo uno viaggerei nel tempo così da poter fare due in uno, una combo” (ndr ride).

Haroun Fall (Sharif): “Penso che il mio superpotere nella vita sia quello di essere tenace. Io vorrei la capacità di poter percepire realmente ciò che provano gli altri. Nonostante sia già una persona molto empatica, vorrei poter andare oltre il sonoro e vedere le emozioni delle persone”.

Virginia Diop (Awa): “Il mio superpotere è quello di affrontare la vita con il sorriso, qualsiasi ostacolo o situazione in cui mi trovi, cerco sempre di affrontarla con un sorriso enorme per andare avanti. Io come superpotere sceglierei il teletrasporto, sono meno realistica rispetto agli altri. Lo sceglierei perché sarebbe un superpotere che mi permetterebbe di andare dove preferisco e stare con le persone che magari sono più lontane e fare tutto ciò in poco tempo “.

Questa è la prima serie che vede protagonisti italiani neri, quanto è stato importante portarli sullo schermo e quanto la serie è diversa rispetto al tuo libro?

Antonio Dikele Distefano: “Io dico sempre che la cosa che conta di più è insistere. Quello che mi dicevano tutti quando lavoravamo alla serie è che non esistono attori neri. Se oggi invece, pensiamo a questi ragazzi possiamo dire che esistono e in futuro dovranno esistere i produttori e i registi, in modo tale che in futuro lo spettacolo si trovi davanti ad una scelta: esistono e bisogna coinvolgerli e se non li vuoi coinvolgere è perché c’è qualcosa di più. L’errore che non bisogna fare è pensare che questa serie però, parli di tutti i ragazzi neri, perché bisogna sempre tenere a mente che ciò che ci accomuna non è il colore della pelle, ma le nostre esperienze”.

“Per quanto riguarda il romanzo e la serie, posso dire che sono totalmente diversi. Il mio romanzo ti ispira alla riflessione, questa serie tv invece, punta molto sulla leggerezza ed è quello di cui abbiamo bisogno ora”.

Giuseppe, se scoprissi di essere invisibile davvero, come sfrutteresti questo potere? E nella tua vita ti è mai capitato di sentirti invisibile?

“La prima cosa che farei sarebbe prendermi del tempo per me, staccare un attimo e andare magari su un’isola tranquillo senza che nessuno ti infastidisca. Nella vita mi è capitato di sentirmi invisibile, soprattutto nel periodo adolescenziale dove non riuscivo ad esprimermi e farmi capire, avevo questi pensieri nella testa ma automaticamente non essere capito mi faceva sentire invisibile appunto”.

Questa serie sarebbe dovuta uscire nel 2019, la pandemia l’ha rimandata, ma soprattutto l’ha modificata? Ed è una casualità che il protagonista faccia il rider, uno dei mestieri simbolo durante questa pandemia?

Antonio Dikele Distefano: “La bicicletta inizialmente doveva rappresentare un collante tra periferia e centro, ma l’idea del rider è arrivata prima del lockdown. Volevamo scrivere qualcosa che raccontasse la realtà di tutti i giorni, soprattutto perché guardandomi intorno nel panorama delle serie tv italiane, io non vedo serie che racconti la realtà, non capisco di che mondo parlino. La serie grazie al lockdown è migliorata, perché ci ha uniti, adesso siamo tutti amici e ci sentiamo quotidianamente ma anche perché abbiamo avuto più tempo per prepararla”.

Allontanandoci dalla parte fantastica e concentrandoci più sulla realtà, come siete riusciti a bilanciare fantasia e realtà e quanto è importante avere una “letteratura” su questa realtà?

Haroun Fall (Sharif): “Penso che sia fondamentale avere una letteratura di questo tipo. Il punto non è quello di dover raccontare o descrivere di persone nere, ma pensare come i personaggi vivano una determinata storia, indipendentemente dal colore della propria pelle. A noi manca proprio una rappresentanza e Zero vuole essere proprio questo, un punto di partenza per questa realtà”.

Daniela Scattolin (Sara): “Io penso che sia stata un’opportunità favolosa. Mi è stato dato per la prima volta la possibilità di fare il ruolo di una ragazza normale, con il suo sogno e la sua vita. Sara non è afroitaliana, ma è italiana come lo sono io. Zero è innovazione, perché racconta la storia di questi ragazzi che prima di tutto sono italiani”.

Com’è stata per voi registi questa esperienza e come vi siete trovati con molti attori che erano alle prime armi o addirittura alla loro prima apparizione sullo schermo?

Zero è stata un’esperienza entusiasmante. È una serie che racconta un mondo “invisibile” ma quotidiano. Con un rider, un ragazzo di seconda generazione, come protagonista. È il primo passo verso un universo più ampio, verso un futuro di inclusione e valorizzazione della differenza. Il confronto con Antonio Dikele Distefano e con i ragazzi protagonisti, è stato fonte continua di ispirazione, di costruzione, di condivisione. La regia si è messa a servizio del racconto e ha fatto squadra per esplorare un linguaggio contemporaneo e accessibile alle nuove generazioni e rendere giustizia a una storia che è soprattutto storia di personaggi, tridimensionali, vibranti, ragazzi irresistibili in cui tutti possono riconoscersi e identificarsi. Netflix ci ha offerto non solo l’opportunità di lavorare su tematiche di inclusione con un approccio fresco e inedito, ma la diversità è un tratto fondamentale anche nella scelta del team di regia. Ognuno di noi viene da un mondo e rappresenta la propria unicità. Qui abbiamo lavorato insieme all’interno di un progetto comune, condiviso e soprattutto pionieristico, nuovo. La collaborazione tra di noi, la comunicazione, lo scambio, sono stati continui. E ognuno di noi l’ha sentito come un privilegio”.

“Siamo Paola Randi, Mohamed Hossameldin, Margherita Ferri, Ivan Silvestrini. Registi di Zero e siamo orgogliosi di far parte di questa storia”.

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