L’isola dei cani (2018) – L’opera iperrealista di Wes Anderson

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Trailer de L’isola dei cani

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

La seconda fatica in “passo uno” di Wes Anderson. “L’isola dei cani” apre nel 2018 la 68° edizione del Festival di Berlino; esce nelle sale statunitensi a marzo, e aspetta maggio per quelle italiane. A dare, letteralmente, voce ai personaggi in scena: Bryan Cranston, Scarlett Johansson, Jeff Goldblum, Tilda Swinton, Edward Norton, Bill Murray, Bob Balaban, Greta Gerwig, Kunichi Nomura, Frances McDormand, Hakira Takayama, Harvey Keitel.

Trama dell’Isola dei cani

2038, Giappone, Megasaki. Il sindaco Kobayashi, vedendo tutti i cani della città ammalarsi uno dietro l’altro, si dice costretto a prendere delle misure precauzionali decisamente drastiche, e chiede che tutti siano mandati verso l’isola/discarica poco distante dalla costa. Dalla stessa isola/discarica partirà la ricerca del ragazzino Atari verso il suo cane Spots. Accompagnati dalla sua morale, vivremo un’avventura piena di sentimenti e relazioni, in un mondo che brilla di verde, di blu, e degli altri colori che i cocci di bottiglia riescono a riflettere.

Recensione dell’Isola dei cani

La verità è che non ci penso, mi piace proprio concentrarmi sull’inquadratura, sulla scena e sulla “scena nella scena”. Non metto in relazione fra di loro i miei film, non penso “al mio stile”. Non m’interessa. Ho, di certo, delle preferenze stilistiche dalle quali trovo difficile discostarmi, ma quello su cui mi concentro è “come posso rendere più divertente questa scena?”, “come posso renderla più spaventosa?”, “cosa possiamo fare per renderla più comprensibile?”

Wes Anderson, “L’Isola dei Cani, Wes Anderson ci parla di simmetrie, di Giappone e spazzatura incredibilmente ordinata”, Andrea Bedeschi, Bad Taste

Nel panorama cinematografico Wes Anderson è uno dei registi più riconoscibili, e il rischio di avere una poetica tanto forte, ma sopratutto tanto apprezzata anche dal largo pubblico, è quello di adagiarsi su di essa, diventando una macchietta di se stessi e portando i nuovi prodotti ad ammuffire male e in fretta. Riuscire, sebbene firmando ogni sceneggiatura e inquadratura, a evolvere, completare, e raffinare la propria regia, rende senza discussioni Anderson uno dei più grandi registi e artisti contemporanei.

Frame dal film “L’isola dei cani”

“L’isola dei cani” è un film estremamente complesso – esattamente… Anche se è animato – ed è proprio il ferro sul cranio che Atari si prende nelle prime apparizioni, a farci intuire che forse dovremo concentrarci un po’ più del solito su quello che stiamo per guardare; e ai titoli di coda ci renderemo conto che non sbagliavamo a pensarlo. 

Come tutti i suoi film possiamo dire che si sviluppi su più livelli, più trame che avanzano parallelamente: una in superficie, mentre la seconda, la terza, e così via, più in profondità. Un Giappone distopico ma dal gusto anni ’50 fa da contesto. Una disputa lunga generazioni, e apparentemente superata, tra il clan dei gatti e quello dei cani, si avvia a sorpresa verso una conclusone pericolosamente definitiva. Kobayashi, il sindaco della città di Megasaki, costringe, facendo leva su paura e odio – nascoste dietro la minaccia di una pandemia facilmente evitabile –, tutti i cani su un’isola adibita a discarica, collegata alla città da un antiquato complesso di carrucole – e questa, è quella che prima mi sono preso la libertà di definire “trama che si sviluppa in superficie” –.  Ma noi, il pubblico, che a differenza della popolazione di Megasaki sappiamo quanto è importante non mettere da parte il senso critico, e aiutati da qualche sequenza in più, ci rendiamo presto conto che, come spesso accade in prodotti che presentato animali come protagonisti, la loro storia parla di noi.

Anderson ci propone un riflettore sul nostro passato e il nostro presente, costruisce i suoi contesti e riordina la spazzatura, ma i leader politici non sembrano stufi di usare capri espiatori per aizzare la popolazione contro sé stessa, e i media continuano a pettinare le notizie per renderle più funzionali; ed è quasi palpabile il piacere che Anderson prova a girare il dito nella piaga, facendo reagire cani e bambini meglio di quanto non siamo in grado di fare noi.

Frame dal film “L’isola dei cani”

Eppure, sarà solo arrivati verso la fine della visione, appesantiti da questo grosso esame di coscienza con cui dovremo fare i conti durante i titoli di coda, che riusciremo a scorgere l’anima del film: ci accorgiamo che, la comunicazione e le relazioni, che dalle prime scene in giapponese non sottotitolato ci sembravano un ostacolo notevole, condividono con Atari e Capo il ruolo da protagonista. I rapporti interpersonali e quelli intimi, le redenzioni, i riscatti, i perdoni, fanno prendere vita a questi pupazzi; realizziamo che Anderson non ci sta mettendo davanti solo un grande dipinto della società, ma anche a un dettagliatissimo ritratto di quel che significa essere umani. Insieme ai cani, ci siamo anche noi che pensiamo e ci comportiamo allo stesso modo, mentre cerchiamo, con tutte le nostre forze, di reagire sempre razionalmente, di sollevare il sopracciglio sinistro al millimetro come un pupazzo in stop-motion; desiderando, insomma, di essere all’altezza di uno di quei luccicanti personaggi andersoniani, ci scontriamo inesorabilmente con gli istinti, che con forza si divincolano per uscire; e continuiamo a ringhiare e starnutire.

Frame dal film “L’isola dei cani”

In conclusione

Un film carico. Preparato e assemblato con una precisione e dedizione tale da renderlo una perla purissima, che forse vivrà un po’ nella penombra di altri colossi andersoniani, ma rimarrà intramontabile.

Note positive

  • Regia e fotografia di altissimo livello
  • Narrazione lineare e profonda
  • Scrittura dei personaggi completa e curata
  • Spunti visivi unici

Note negative

  • Lo sviluppo di un personaggio in particolare, fondamentale per la risoluzione della trama, inizia un po’ in ritardo, e risulta sbrigativo
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