Lo scrigno delle sette perle: Un pittoresco cocktail di musica e colori

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Intro de Lo Scrigno delle sette perle

Recensione de Lo scrigno delle sette perle

Decimo classico Disney secondo l’ordine del canone ufficiale, Lo scrigno delle sette perle è il sesto film antologico della Casa del Topo e il terzo a incentrarsi sulla tematica musicale dopo il precedente Musica maestro e il capostipite del filone, il capolavoro Fantasia. Composto da sette cortometraggi impostati sui successi folk del periodo, il lungometraggio doveva, perlomeno nelle intenzioni di Walt Disney, risollevare le sorti commerciali della produzione all’indomani della Seconda Guerra Mondiale; un’attesa delusa da un semi – insuccesso che invece lo fece passare quasi inosservato.

Dal tocco visivo variegato e vintage, Lo scrigno delle sette perle è una vera e propria compilation dagli elementi perfettamente bilanciati, i cui singoli episodi non sempre funzionano alla stessa maniera ma sanno regalare numerosi momenti di reale delizia. Particolarmente inventiva (seppur non originalissima in quanto già usata nei precedenti film antologici della Disney) la scelta di affidare il raccordo degli episodi a un pennello che dipinge sullo schermo il titolo del corto con relativi crediti artistici.

Dall’intro de Lo scrigno delle sette perle

Once upon a Wintertime (diretto da Hamilton Luske)

Due giovani fidanzati decidono di dedicare un pomeriggio di dicembre al pattinaggio sul ghiaccio. Un improvviso litigio rischia di rovinare tutto, la coppia si riconcilia e ne esce rafforzata dopo che lui ha salvato la vita all’amata a seguito della rottura del ghiaccio. In parallelo si seguono le vicende analoghe di una coppia di conigli che rispecchiano in toto i caratteri delle loro controparti umane.

La trama di Once upon a Wintertime è un classico da romanticismo disneyano vecchio stile, quello fatto di gag fantasiose e contornato da teneri animaletti per intenderci, e come tale senza infamia e senza lode; ciò che fa la differenza è la sua raffinata estetica, curata dall’ottima pittrice Mary Blair che già aveva avuto modo di collaborare con notevoli risultati in I tre caballeros. Il risultato è un decorosissimo cortometraggio introduttivo, visivamente memorabile ma non il migliore del lotto.

La canzone del titolo è cantata da Frances Langford.

Joe e Jenny in Lo scrigno delle sette perle

Bumble Boogie (diretto da Jack Kinney ed Hamilton Luske)

Primo capolavoro dell’antologia e surreale rivisitazione in chiave swing-jazz del Volo del calabrone di Rimskij-Korsakov, la cui esecuzione era stata pensata già ai tempi di Fantasia. Il simpatico insetto protagonista viene intrappolato in un delirio all’LSD e cerca di sfuggire alla frenesia di fiori e piante che, sulle note incalzanti del pianoforte di Fred Martin and His Orchestra, trasmutano in strumenti musicali o bizzarre forme astratte.

Qui la supervisione pittorica di Mary Blair abbraccia la vena più folle e visionaria possibile, e il tripudio di colori vivaci si accompagna magistralmente alla musica, decretando un indimenticabile trionfo di creatività che conferisce una veste innovativa a uno dei brani classici più celebri di sempre.

Il calabrone di Bumble Boogie

Johnny Semedimela (diretto da Wilfred Jackson)

Dalla vera storia del pioniere John Chapman, il corto di Jackson ne ripercorre le gesta nell’America del XIX secolo, che gli valsero l’epiteto di Appleseed poiché il folklore gli attribuisce il merito di aver piantato centinaia di meli sul suolo del Nuovo Mondo. Johnny Semedimela è il primo segmento lungo e più articolato de Lo scrigno delle sette perle, e oltre alla maestosità delle animazioni offre un sentito ritratto di una figura storica poco nota al di fuori degli USA, interessantissima da scoprire.

Sarebbe inutile spendere parole sulla cura per i dettagli dei fondali o per l’alto livello dell’animazione, per cui in questo caso si farà una menzione speciale per il finale, che tocca il tema della morte con la dovuta delicatezza che si confà a un prodotto confezionato in primo luogo per i più piccoli. Le canzoni vengono incasellate perfettamente in una narrazione dai toni epici, dove il dialogo ha la sua importanza.

Johnny Semedimela in Lo scrigno delle sette perle

Little Toot (diretto da Clyde Geronimi)

La quarta perla, Little Toot, si ispira al libro per bambini di Hardie Gramatky, su un piccolo rimorchiatore pasticcione e dai tratti antropomorfi che, nel tentativo di seguire le orme del rinomato padre, fa arenare un transatlantico e viene esiliato dal porto di New York. La sua è una storia di rivalsa e crescita abbastanza convenzionale ma pieno di geniali trovate visive e canzoni orecchiabilissime, eseguite nella versione italiana dal Quartetto Cetra.

Non è difficile immaginare che i più recenti titoli della Casa del Topo come Cars o Planes si siano ispirati proprio a questo segmento.

Il piccolo rimorchiatore in Lo scrigno delle sette perle

Alberi (diretto da Wilfred Jackson)

Sontuoso adattamento della poesia Trees, scritta da Joyce Kilmer nel 1913 e musicata da Oscar Rasbach. Si tratta del racconto lirico del ciclo vitale degli alberi, madido di forti allusioni cattoliche. Gli splendidi paesaggi naturali vengono sottoposti allo scorrere delle quattro stagioni e alle intemperie tramite una superba realizzazione in tempera molto realistica e spettacolare, corrispettivo silvano del celebre corto Il vecchio mulino del 1937.

Alberi si differenzia dalle precedenti e successive “perle” per il tono maggiormente serioso, ieratico; ma la sua solennità non stona affatto all’interno del film come si potrebbe pensare, e anzi regala una nota aulica davvero significativa.

Una scena di Alberi

Tutta colpa della samba (diretto da Clyde Geronimi)

Dopo la ricercatezza di Alberi, Lo scrigno delle sette perle torna a navigare in lidi più giocosi con un cortometraggio che raccorda il progetto sudamericano che Walt Disney aveva intrapreso durante la lavorazione di Saludos Amigos e I tre caballeros per veicolare attraverso l’animazione il fascino delle culture latine. Protagonisti del segmento sono José Carioca e Paperino, in viaggio a Rio de Janeiro e afflitti da malinconia, che ritrovano “il colore della vita” presso il bar dell’Aracuan, dove la musicista Ethel Smith, unico personaggio in carne ed ossa, esegue un riarrangiamento del noto brano di polka Apanhei-te, Cavaquinho.

Obiettivamente parlando, Tutta colpa della samba è un episodio fine a sé stesso, che non dice nulla di rilevante, soprattutto in rapporto allo “spessore” culturale che caratterizzava i precedenti lungometraggi del progetto sudamericano Disney. A trionfare, in ogni caso, è la visionarietà pura, la musica travolgente, il surrealismo immaginifico di Mary Blair e la simpatia fisiologica stuzzicata dai pennuti protagonisti.

Josè Carioca e Paperino in Lo scrigno delle sette perle

Pecos Bill (diretto da Clyde Geronimi)

Chiude in gloria nuovamente Geronimi con un altro capolavoro dalla lunga durata, la storia del celebre pistolero allevato dai coyotes Pecos Bill, introdotta da un proemio in live action interpretato dal “cow-boy canterino” Roy Rogers.

Con una stravagante e coloratissima animazione, e malgrado il finale agrodolce, è tra i segmenti più divertenti di tutto Lo scrigno delle sette perle, una chiusura comica e delirante dove, ancora una volta, lo spettro della morte viene filtrato con umorismo, senza però trascurarne la carica malinconica.

La cow-girl Sweet Sue in Lo scrigno delle sette perle

Note positive

  • La ricca e sontuosa animazione.
  • Le trovate comiche.
  • Le orecchiabilissime musiche.

Note negative

  • Non tutti gli episodi sono di pari bellezza.
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