L’uomo che vendette la sua pelle (2020): Arte e politica

L’uomo che vendette la sua pelle

Titolo originale: The Man Who Sold His Skin

Anno: 2020

Genere: drammatico, commedia

Paese: Tunisia, Francia, Germania, Belgio, Svezia, Turchia, Cipro

Produzione: Cinétéléfilms, Tanit Films, Twenty Twenty Vision, Kwassa Films, Laika Film & Television, Metafora Media Production, Sunnyland Film, Film ï Vast, VOO & BeTV, Istiqlal Films

Distribuzione: Wanted Cinema

Durata: 104 min

Regia: Kaouther Ben Hania 

Sceneggiatura: Kaouther Ben Hania 

Fotografia: Christopher Aoun

Montaggio: Marie-Hélène Dozo

Musiche: Amine Bouhafa

Attori: Yahya Mahayni, Dea Liane, Koen De Bouw, Monica Bellucci, Christian Vadim, Wim Delvoye

Trailer italiano de L’uomo che vendette la sua pelle

Trama di L’uomo che vendette la sua pelle

Siria, 2011: Sam Ali, che ha ironicamente pronunciato alcune frasi antigovernative mentre chiedeva alla fidanzata Abeer di sposarlo, è costretto a fuggire dal suo paese, la Siria, per evitare l’arresto. Un anno dopo Abeer è spinta dalla famiglia a sposare il ricco Ziad, con cui si trasferisce a Bruxelles, lontano dalla guerra civile che infuria in Siria. Sam, che vive a Beirut nella speranza di raggiungere un giorno Abeer, viene notato da Jeffrey Godefroi, popolare artista celebre per la controversia delle sue opere, che gli propone un accordo contrattuale: in cambio dei soldi e dei documenti necessari a immigrare legalmente in Belgio, Sam si farà tatuare un Visto Schengen sulla schiena e sarà esposto nei più importanti musei del mondo come  una vera e propria opera d’arte.

Frame di L’uomo che vendette la sua pelle

Recensione di L’uomo che vendette la sua pelle

L’uomo che vendette la sua pelle, prima pellicola tunisina ad ottenere una candidatura agli Academy Awards nella categoria “Miglior film internazionale”, è stato ispirato dall’opera d’arte moderna “Tim” del belga Wim Delvoye, che interpreta nel film il piccolo ruolo dell’assicuratore di Godefroi. “Tim”, realizzata nel 2006, consiste in un tatuaggio eseguito sulla schiena di un uomo chiamato appunto Tim Steiner: la schiena di Tim è stata venduta a un collezionista d’arte, che ne entrerà in possesso alla morte di Tim stesso, e nel mentre la “tela umana” è esposta periodicamente in prestigiosi musei di tutto il mondo.

La critica al sistema artistico occidentale e al rapporto estremamente problematico che si instaura tra opera, artista e pubblico è già implicita nella stessa opera a cui il film è ispirato, ma il cinema, medium al giorno d’oggi esponenzialmente più popolare tra le masse rispetto all’arte museale, permette che questa riflessione, senza perdere d’incisività ma guadagnando in etica, sia potenzialmente diffusa nei vastissimi strati sociali e culturali che non fruiscono di arte visiva tanto di nicchia. Il lungometraggio di Kaouther Ben Hania, che oscilla tra un registro drammatico consono ai temi trattati e una straniante ma riuscita atmosfera da commedia – sostenuta dall’ottima mimica di Yahya Mahayni, ha il grande merito di unire in modo inaspettato ma estremamente coerente questa critica all’arte contemporanea a una più ampia riflessione sulla percezione in occidente dei drammi politici del Medio Oriente.

Monica Bellucci e Yahya Mahayni

Nonostante una musica spesso insistente e una semplificazione della trama in senso sentimentale che, soprattutto nel finale, potrebbe apparire uno “spreco” del potenziale narrativo, l’originalità e l’intelligenza del contenuto del film sono sostenuti da una forma altrettanto riuscita: il montaggio, dal ritmo atipico, crea un’esperienza di visione particolare, la regia è molto raffinata e la fotografia avrebbe meritato un’altra candidatura agli Oscar del 2021.

Note positive

  • Interesse dei temi trattati
  • Fotografia e regia
  • Interpretazione di Yahya Mahayni
  • Oscillazione del registro tra dramma e commedia

Note negative

  • Finale troppo semplificato
  • Colonna sonora a tratti insistente

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