Il buco (2021): un esperienza sensoriale nell’abisso del Bifurto

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Locandina Il Buco - 2021

Il buco

Titolo originale: Il buco

Anno: 2021

Nazione: Italia

Genere: Drammatico

Casa di produzione: Doppio Nodo Double Bind, Rai Cinema, Société Parisienne de Production, Essential Filmproduktion, MIC – Direzione Generale Cinema, Eurimages, Calabria Film Commission, Arte France Cinéma, Medienboard Berlin Brandenburg

Distribuzione italiana: Lucky Red

Durata: 93 min

Regia: Michelangelo Frammartino

Sceneggiatura: Michelangelo Frammartino, Giovanna Giuliani

Fotografia: Renato Berta

Montaggio: Benni Atria

Musiche:

Attori: Leonardo Zaccaro, Jacopo Elia, Denise Trombin, Luca Vinai, Nicola Lanza, Mila Costi, Claudia Candusso, Giovanbattista Sauro, Federico Gregoretti, Carlos Josè Crespo, Enrico Troisi, Angelo Spadaro, Paolo Cossi, Antonio Lanza, Leonardo Larocca

Trailer italiano de Il Buco

Dal cineasta de Le quattro volte (2010), Michelangelo Frammartino, prende vita la pellicola drammatica Il buco (2021), sceneggiata dal regista e dall’attrice Giovanna Giuliani, tratto dalla storia vera riguardante un gruppo di speleologi del Nord italia che giungono nel parco nazionale del Pollino in Calabria per immergersi nelle profondità dell’Abisso del Bifurto. Il lungometraggio è stato presentato in concorso a Venezia 78, dove ha ottenuto il premio speciale della giuria. Al Ciak d’oro invece ha ottenuto due premi: miglior fotografia a Renato Berta e Miglior sonoro in presa diretta a Simone Paolo Olivero. In Italia Il buco è stato distribuito al cinema da Lucky Read il 24 settembre 2021.

Nel 1961, una squadra di giovanissimi speleologi lascia un nord in pieno boom economico e intraprende una campagna nel meridione rurale, fino all’entroterra calabrese del Pollino. Tra Cerchiara e San Lorenzo Bellizzi, esplora l’abisso del Bifurto e dopo interminabili giorni d’immersione ne tocca il fondo di -687 metri. Era allora la terza grotta più profonda del mondo. «Partiti da un’affollata stazione del nord, arrivavamo all’alba su una deserta costa calabrese. Mai fino allora la speleologia italiana aveva spinto una campagna esplorativa così a sud…»

Bollettino Grotte settembre/ottobre 1961

Trama de Il Buco

Durante il boom economico degli anni ’60 viene costruito nella prospera Italia del Nord il più alto edificio d’Europa, il grattacielo Pirelli, simbolo di una modernizzazione in atto nel paese. Nel Sud italiano del 1961 le persone vivono ancora secondo i lavori tradizionali del luogo e all’interno di piccolo paesini. In questo contesto sociale un gruppo di giovani speleologi giungono in un incontaminato altopiano calabrese immergendosi nel sottosuolo di un Meridione che tutti stanno abbandonando, alla ricerca di un maggior benessere economico. Il gruppo di dodici speleologi s’imbatte nell’Abisso del Bifurto dell’altopiano del Pollino e decidono di scoprirlo. Il tutto sotto gli occhi di un anziano pastore, unico testimone del territorio incontaminato. 

Negli stessi mesi fu completato il monumentale grattacielo Pirelli, un vertiginoso esempio di architettura. L’edificio fu sbattuto sui notiziari, ricevendo un’ampia copertura mediatica e diventando rapidamente un simbolo appariscente dell’Italia che aveva raggiunto il più alto obiettivo verticale. Eppure, la scoperta degli speleologi non fu resa pubblica e rimase oscura come il buio mondo sotterraneo in cui fu completata.

Michelangelo Frammartino
Fotogramma de Il Buco (2021)
Fotogramma de Il Buco (2021)

Recensione de Il Buco

La pellicola di Frammartino vive di semplicità di sceneggiatura. All’interno de Il Buco (2021) abbiamo due linee narrative connesse dal tempo e dall’Altopiano del Pollino. La prima storia ci parla di un anziano pastore che trascorre i giorni immerso nel rumore della natura e del silenzio, in compagnia del suo adorato asino e delle sue mucche, che si muovono nelle vallate verdi e incontaminate dalla civiltà del Pollino. La seconda traccia narrativa, la più consistente per minutaggio, ci parla di dodici speleologi che giungono nell’entroterra calabrese nel 1961, tra Cerchiara e San Lorenzo Bellizi, per esplorare, per la prima volta, l’abisso del Bifurto. Un’impresa speleologica epica e semi sconosciuta che non ha trovato risonanza mediatica in Italia, in un’Italia più interessata nell’appariscenza (la costruzione di nuovi edifici che ci avvicinano sempre di più al cielo) che non alle fatiche umane che conquistano nuovi spazi di terra inesplorata, soprattutto se queste si trovano sotto le profondità terresti. La scoperta dell’abisso del Bifurto del 1961 ha un valore profondo e umano, essendo una spedizione che ha portato alla luce, quella che è stata per lunghi anni, la seconda grotta più profonda conosciuta al mondo. . Una storia che per poter essere portata a galla serviva un film, tra la fiction e il documentario, girato con estrema maestria e poesia da tutti i componenti.

Nel 1961 Giulio Gècchele e il suo giovane Gruppo Speleologico, piemontese, si dedicavano a un atto completamente gratuito. In controtendenza con l’inarrestabile traiettoria verso il cielo, iniziarono una spedizione speleologica, che si concluse con l’arrampicarsi in una nicchia, un buco, una fessura nella terra, e scivolare fino a una profondità di circa 700 metri sottoterra. In fondo alla penisola italiana, scoprirono la seconda grotta più profonda del mondo, l’Abisso Bifurto. Il record era sconosciuto anche agli stessi esploratori.

Michelangelo Frammartino

Le due linee narrative hanno un approccio divergente a livello di ripresa: per tutta la durata della pellicola vediamo bene il volto rugoso e segnato dal tempo del pastore, che ci appare come una sorta di guardiano o spirito guida del luogo, mentre i giovani speleologi non ci vengono mai mostrati attraverso dei primi piani o dei mezzi piani. Noi non li vediamo mai nitidamente, non riusciamo a memorizzare i loro lineamenti ma solo alcune sagome (soprattutto quelle di una ragazza), la macchina da presa riprende l’ambiente in cui loro ci muovono creando dei totali o al massimo dei campi medi in cui spesso danno le spalle alla cinepresa, soprattutto dentro la grotta. Questa scelta è assolutamente interessante, poiché mostra come il regista non abbia voluto andare a caratterizzare quei personaggi per scelta, lasciando quell’aurea di mistero e di omaggio ai veri esploratori che nel 1961 hanno scoperto quei luoghi e allo stesso tempo facendo una storia in onore di tutti gli speleologi del mondo, che ci vengono descritti qui come dei colonizzatori – esploratori mossi solo da un bisogno interiore e non da quello della ribalta.

Nella speleologia c’è quasi una propensione alla sconfitta, nel senso che non c’è trionfo. Non c’è la cima della montagna da raggiungere come nell’alpinismo dove si vince, si riesce nell’impresa. Nella grotta non si sa dove si va. Non c’è un punto fisso da raggiungere. Quando l’esplorazione finisce, è una piccola sconfitta. Il punto di arrivo è di solito un posto brutto, un posto stretto, sporco e fangoso. C’è sempre una sorta di malinconia. Una grotta, infatti, può essere scoperta solo da uomini, che vi entrino a piedi e la affrontino in un corpo a corpo frontale. E non c’è altro modo di conoscere quella porzione ignota di Terra, che attraverso un’esplorazione diretta. Il sottosuolo costituisce, di fatto, l’ultima frontiera che esista sul nostro pianeta.

Michelangelo Frammartino

Il Buco non è dunque una storia drammaturgica potente e che vive di azioni drammaturgiche e colpi di scena ma è un viaggio dentro un mondo incontaminato dalla civiltà, a esclusione di una televisione in bianco e nero che riunisce le persone nella piazza del paese, l’unico mezzo tecnologico per scoprire il mondo a loro distante. Il lungometraggio è più un’esperienza visiva sensoriale, più unica che rara, che catapulta lo spettatore entro il parco del Pollino attraverso dei totali (spesso e volentieri girati con macchina fissa) che ci mostrano la bellezza di quel paesaggio, realizzati dal direttore della fotografia Renato Berta che cattura in maniera esemplare quei luoghi riprendendoli nei momenti ideali catturando i raggi di sole e i movimenti delle nuvole che in pochi sanno fare. Le vallate sembrano dei dipinti all’occhio del pubblico e degli esempi da studiare per chi ama la fotografia. Ovviamente a livello tecnico la difficoltà aumenta quando la troupe cinematografica è dovuta scende nell’entroterra della grotta, perché la pellicola è girata come se fosse un documentario e dunque la spedizione che vediamo è reale, avvenuta realmente nell’abisso del Bifurto e dunque i fonici, registi e operatori sono dovuti scendere, insieme agli speleologi per riprendere quelle immagini di un’esperienza cinematografica unica. Noi abbiamo la sensazione di essere lì, di immergersi dentro quel luogo grazie a un’ottima fotografia che padroneggia bene le tinte scure dell’ambiente tra il buio e il rosso, il tutto supportato da un sonoro eccellente che fa suoi i rumori della caverna donandoci un’esperienza unica e facendoci comprendere il duro lavoro dei conquistatori delle grotte, di coloro che rischiano la propria vita per scoprire pezzi di terreno sconosciuti al mondo.

Scena de Il Buco
Scena de Il Buco

In conclusione

Un film lento e privo di musica ma che fa dei rumori e dal paesaggio i suoi protagonisti indiscussi. Il Buco non è un’opera di semplice visione ma è un’ottima esperienza per chi ha la pazienza di godersi la lentezza del vivere, in un’epoca, quella del 2021, sempre più frenetica e disabituata ad ascoltare i suoni della bellezza. Il Buco è un film che ci parla dell’arte della speleologia, e di quegli uomini che la praticano senza mostrarsi dai riflettori delle telecamere, ma rimanendo celati dal mondo.

Note positive

  • Fotografia
  • Scenografia
  • Costumi d’epoca ben realizzati
  • Sonoro

Note negative

  • /
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