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Quando Dio imparò a scrivere
Titolo originale: Los renglones torcidos de Dios
Casa di produzione: Atresmedia Cine, Filmayer, Nostromo Pictures
Distribuzione italiana: Netflix
Durata: 154 minuti
Regia: Oriol Paulo
Sceneggiatura: Silvia Steinbrecht, Mireia Cusó
Fotografia: Mireia Cusó
Montaggio: Jaume Marti
Musiche: Fernando Velázquez
Attori: Bárbara Lennie, Eduard Fernández, Loreto Mauleón, Javier Beltrán, Pablo Derqui, Samuel Soler, Fede Aguado, Adelfa Calvo, Antonio Buil, Dafnis Balduz, David Selvas, Raquel Ferri, Joan Crosas, Carles Gilabert
Nel 2022, diretto da Oriol Paulo e interpretato da Bárbara Lennie, esce “Quando Dio imparò a scrivere”: un appassionante giallo ambientato in un ospedale psichiatrico. Il film, prodotto in Spagna e distribuito da Netflix, è tratto dal bestseller di Torcuato Luca de Tena.
Trama di Quando Dio imparò a scrivere
Alice Gould de Almenara è una giovane ricca detective privata che nel 1979 entra come paziente in un ospedale psichiatrico per risolvere dall’interno un crimine avvenuto nella struttura. Accompagnata dal suo cliente e dalla promessa di aiutarlo a scoprire la verità, Alice inventa un personaggio e un matrimonio fallimentare che le procurano la diagnosi giusta per poter essere internata. Gli eventi però non si sviluppano come da programma ed ecco che Alicia, la nuova Alice, improvvisamente viene sottoposta alle cure dell’ospedale poichè sembra, a detta del direttore, che l’accordo riguardante il suo lavoro d’investigazione non sia mai esistito.

Recensione di Quando Dio imparò a scrivere
Realtà o follia?
La pellicola è senza dubbio un thriller riuscito che, nonostante la sua lunga durata, è capace di tenere viva l’attenzione di chi si trova davanti allo schermo. Con poche scene iniziali si diventa già spettatori della storia di Alice e quasi si rimane delusi dalla fretta con cui vengono scoperte le carte. Questa situazione però cambia radicalmente quando il regista inserisce l’elemento del confine tra realtà e follia, così sottile da confondere la sicurezza con la quale si da per scontata la storia dietro alla protagonista. Ed ecco che si sgretola l’immagine della detective insieme al finale che ognuno di noi si era proposto e grazie alla bravura di Oriol, subentra la confusione che innesca maggiormente la curiosità. Chi sta mentendo? Lo spettatore si trova coinvolto nell’analisi di ogni piccolo e probabilmente insignificante dettaglio nel tentativo di snodare un qualcosa che si fa sempre più difficile da comprendere. Oriol inoltre gioca con ogni singolo personaggio in modo tale che, quasi naturalmente, venga fatta una divisione per individuare chi sono i cosiddetti “buoni” e chi appartiene ai “cattivi”. Il direttore della struttura, il dottor Samuel Alvar interpretato dall’attore vincitore di numerosi premi “Goya” Eduard Fernández, è sicuramente la figura più ambigua fra tutte quelle coinvolte. Alice afferma con certezza che quest’ultimo sia coinvolto nell’accordo con il suo cliente, mentre Samuel sembra essere certo della traballante stabilità mentale della paziente mettendosi pertanto contro gran parte del personale che invece tenta di aiutare la protagonista. Alla luce di queste dichiarazioni viene abbastanza spontaneo per il pubblico prendere posizione ma prima di giungere alla fine, questa pellicola non rende sicuro nessuno della scelta presa.

Il processo e le due possibili conclusioni
Nella scena conclusiva della pellicola si assiste ad un processo che vede la protagonista davanti alla commissione dei medici dell’ospedale. Alla luce di nuovi indizi riguardanti il suo caso, quest’ultimi emettono il verdetto: Alice può essere dimessa in quanto sana di mente. L’unico in disaccordo sembra essere il direttore, il quale chiede di sottoscrivere al processo le sue dimissioni portando il pubblico verso un unico possibile finale. Ecco che però Oriol inserisce nuovamente il colpo di scena: l’ingresso del dottor Donadío (interpretato dall’attore Joan Crosas) ovvero l’unico personaggio presumibilmente coinvolto non ancora venuto allo scoperto. L’elemento chiave per tutta la durata del film è l’incatenamento dei fatti che ribalta del tutto le ipotesi dello spettatore. In questo caso Donadío si rivela a noi come il cliente originale della Alice detective, chiudendo l’intera vicenda facendoci comprendere che la donna sia solita “cacciarsi nei guai”. Cosa vorrà dirci? Oriol lascia non solo il finale aperto ma anche una lecita confusione nella mente di chi ha cercato un nesso logico nella vicenda.
Tuttavia, commenti e critiche hanno individuato due possibili interpretazioni per una conclusione che risulta manchevole di qualche importante pezzo. La prima ipotesi e anche quella meno ragionata è che Alice sia stata effettivamente incastrata dal marito e che, anche l’ultimo personaggio in scena insieme a lei (il dottor Donadío), sia coinvolto come gli altri. La seconda, decisamente più studiata, parte dalle due figure misteriose che ruotano attorno alla protagonista: i gemelli Rómulo e Remo. Quello che sappiamo di loro è che sono nati all’interno dell’ospedale: dettaglio rilevante a seguito del fatto che entrambi vedono in Alice “la mamma tornata per non abbandonarli più“. Dunque, se la donna è veramente la madre biologica dei gemelli, quello non sarebbe stato il suo primo ricovero ed ecco spiegata la frase di chiusura pronunciata da Donadío (“In che guaio ti sei cacciata questa volta?”). La paziente avrebbe avuto infatti dei trascorsi nell’ospedale, tra i quali l’omicidio iniziale che nel suo immaginario non è altro che l’ultimo incarico lavorativo. Si spiegherebbe perché in un determinato punto della pellicola Oriol introduce la sovrapposizione di due delitti fondendoli in uno: l’originale e l’ultimo avvenuto, quello di Remo. Chi è concorde con la seconda versione dei fatti non può far altro che pensare che si tratti dunque di un caso avvenuto al tempo del suo primo ricovero (dettaglio non sufficientemente chiarito dal regista). Inoltre, il personale, giovane e diverso dal tempo, non l’avrebbe mai potuta riconoscere agevolandone l’internamento. Effettivamente si tratta di un finale più complesso e meno immediato ma potrebbe essere una delle soluzioni per sciogliere l’intricata tela creata appositamente dal regista.

In conclusione
In conclusione, “Quando Dio imparò a scrivere” risulta un thriller riuscito grazie al lavoro di un cast scelto con accortezza (da sottolineare la notevole prestazione di Bárbara Lennie nel ruolo di Alice Gould) capace d’interpretare pienamente la vicenda. Tuttavia alcune scene appaiono caotiche per un pubblico non curante di ogni minimo dettaglio poiché presentano un’eccessiva quantità di elementi non abbastanza chiari (ad esempio la scena del cambio di quadro alla stazione di polizia). Dunque, si tratta sicuramente di un film coinvolgente e appassionante ma manchevole di una solida spiegazione all’ammontare costante di dettagli.
Note positive
- Sceneggiatura
- Cast
- Coinvolgimento
Note negative
- Finale non dettagliato
- Trama caotica
- Poca chiarezza