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Rip
Titolo originale: RIP
Anno: 2025
Nazione: Italia
Genere: commedia
Casa di produzione: NVP Studios – Gruppo NVP S.p.a.
Distribuzione italiana: Filmclub Distribuzione
Durata: 87 minuti
Regia: Alessandro D’Ambrosi, Santa De Santis
Sceneggiatura: Alessandro D’Ambrosi, Santa De Santis, Giulio Carrieri
Fotografia: Matteo Rea
Montaggio: Federica Forcesi
Musiche: Daniele Silvestri, Klangore Factory
Attori: Augusto Fornari, Valerio Morigi, Giulia Michelini, Nina Pons, Caterina Gabanella, Maurizio Bousso, Simone Montedoro, Ernesto Mahieux, Antonio Catania
Trailer di “Rip”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Dal 2006 Alessandro D’Ambrosi e Santa de Santis formano un sodalizio creativo che attraversa teatro, cinema e televisione. Entrambi sceneggiatori, registi e interpreti, hanno debuttato dietro la macchina da presa con il cortometraggio Nostros, opera che ha ottenuto una straordinaria visibilità internazionale: selezionato in oltre 150 festival, ha conquistato più di 80 premi, imponendosi come esordio di grande impatto.
Il secondo corto, Buffet, fotografato da Daniele Ciprì, ha superato i cento riconoscimenti, tra cui il premio Cortinametraggio, il Premio Anec/Fice per la distribuzione in oltre 400 sale italiane, la candidatura ai Nastri d’Argento 2017 e il secondo posto ai Globi d’Oro dello stesso anno. Acquistato da Studio Universal, è stato selezionato dal Centro Nazionale del Cortometraggio come uno dei dieci titoli più rappresentativi del panorama italiano, e distribuito in ambasciate, consolati e istituti di cultura in tutto il mondo. Ha inoltre partecipato alla 34ª edizione del European Film Festival di Lille.
Parallelamente, D’Ambrosi e de Santis sono autori e registi di campagne di comunicazione e spot istituzionali per enti pubblici e brand nazionali, tra cui Polizia di Stato, Ministeri, SkyCinema, Enel, BMW, Motta/Bauli e molti altri. Hanno firmato serie web come Filo, GeekerZ e Shangri-là, documentari come Corviale – Campo dei Miracoli e Distretto Italia – Elis, oltre a videoclip musicali come Maladie. Alessandro D’Ambrosi, oltre a tutto ciò, è anche autore e protagonista della serie comedy Romolo+Giuly, prodotta da Wildside per FOX.
Nel 2025, il duo debutta nel lungometraggio con RIP, prodotto da NVP Studios e accompagnato dalla colonna sonora originale di Daniele Silvestri e Klangore Factory. La pellicola è stata distribuita nei cinema italiani il 16 ottobre 2025, grazie a Filmclub Distribuzione. Nel cast troviamo Augusto Fornari, Valerio Morigi, Giulia Michelini, Nina Pons, Maurizio Bousso, Caterina Gabanella e Simone Montedoro, oltre alla partecipazione straordinaria di Antonio Catania (noto per Boris) ed Ernesto Mahieux, protagonista de L’imbalsamatore di Matteo Garrone.
Trama di “Rip”
Leonardo è un uomo disilluso, solitario e cinico che, dopo una profonda delusione amorosa, ha scelto di vivere ai margini della vita, dedicandosi alla scrittura di necrologi sprezzanti come mestiere. La sua quotidianità grigia e distaccata viene improvvisamente sconvolta da due eventi strettamente connessi, in primis la morte del padre, Marcello, custode di un cimitero romano, ucciso da un gruppo di delinquenti intenti a profanare la tomba del noto e aristocratico Fausto Barbieri, da poco deceduto.
Leonardo assiste agli ultimi istanti di vita del padre proprio all’interno del cimitero, dove si era recato per fargli visita nel giorno del suo compleanno. Il loro rapporto, da sempre conflittuale, non trova spazio però per alcuna riconciliazione: Leonardo si ritrova a stringere tra le mani il corpo morente di un uomo che, pur essendo suo padre, non ha mai saputo esserlo davvero. Ma nell’attimo successivo alla morte, ecco che compare il fantasma di un uomo giovane, con baffi e un look anni ’60: è il padre di Leonardo, Marcello, in una versione spensierata, vitale, completamente ignara del proprio passato da genitore anaffettivo. Questo spirito, incapace di ricordare il proprio nome e la propria vita, si lega immediatamente al figlio, seguendolo a casa e generando in lui una profonda confusione interiore. Il paradosso è evidente: Leonardo si trova di fronte a un padre che non riconosce il dolore che ha causato, che non porta con sé il peso delle colpe, ma che si presenta come un’ombra leggera, quasi infantile.
La situazione si complica ulteriormente il giorno del funerale, quando Leonardo entra in contatto con altri due spiriti provenienti da epoche diverse: Beatrice, una ragazzina morta senza aver mai conosciuto l’ebbrezza del bacio d’amore, e Adelaide, una donna uccisa come strega molti secoli prima. Questi incontri impossibili segnano l’inizio di un viaggio onirico e liberatorio, in cui la morte non è più solo fine, ma occasione di riscatto, riconciliazione e scoperta.
Attraverso dialoghi ironici, situazioni paradossali e momenti di profonda tenerezza, Leonardo è costretto a confrontarsi con le sue paure, con il dolore che ha sepolto e con il desiderio — mai del tutto spento — di essere felice. Il contatto con questi spiriti, ciascuno portatore di una ferita e di un’assenza, lo obbliga a rivedere il proprio cinismo, a interrogarsi sul senso della perdita, e a riscoprire la possibilità di una vita autentica, anche nel cuore della morte.
Recensione di “Rip”
Una possibilità mancata per creare qualcosa che effettivamente duri nel tempo. RIP si prefissa l’obiettivo di essere una dark comedy filosofica — e lo è, almeno nella sua premessa drammaturgica e nella sua introduzione filmica — perdendosi però entro una narrazione incapace di elevare l’opera verso le vette che lo spunto iniziale avrebbe meritato. All’inizio del film siamo immersi in una drammaturgia attuale, raccontata attraverso i toni di una favola nera intrisa di un sano e accattivante black humor, capace di farci ridere amaramente della verità stessa della quotidianità. L’ironia, poggiata su un cinismo tanto verbale quanto visivo, si manifesta in momenti di brillante efficacia: nello scambio di battute tra il kebabbaro e il protagonista, nel siparietto dell’uomo bloccato nel traffico romano, prigioniero di un eterno pendolarismo tra casa e lavoro.
Nella prima parte del lungometraggio, fino all’incidente scatenante, si percepisce un umorismo nero intelligente, affiancato da una dose di cinismo capace di trasmettere al pubblico verità scomode. Emblematico è il monologo di Leonardo, pronunciato con uno sguardo quasi in macchina, che dà la sensazione di rivolgersi direttamente a noi spettatori. In quel momento, avvolto da una fotografia tipicamente dark — cifra visiva dominante del primo atto — il protagonista dichiara concetti duri ma autentici, immettendo la pellicola in una riflessione interessante, priva di buonismo, sul senso stesso della vita. La felicità, in questa visione, non è una meta raggiungibile, ma un miraggio collettivo: qualcosa a cui tutti ambiamo, ma che raramente si concretizza. La vita, secondo questa prospettiva, non è altro che una ricerca incessante di una felicità eterna, forse inesistente. Ed è proprio in questa tensione tra desiderio e disillusione che RIP avrebbe potuto trovare la sua forza più profonda — ma che, purtroppo, non riesce a sostenere con coerenza lungo tutta la narrazione.
Vi affannate, ostinatamente a restare in questa illusione che alla fine della vita ci sia un traguardo, che per convenzione chiamiamo felicità. E quando alla fine stremati rammenterete perché? Inizierete a sentire puzza di fregatura ma ormai sarà troppo tardi
Frase nel film
Leonardo e il passaggio dalla notte al giorno: il risveglio di un’anima cinica
Attraverso un efficace black humor e una leggerezza tipica della commedia all’italiana — elementi ben presenti nel primo atto — ci viene delineato con attenzione e tridimensionalità il protagonista del lungometraggio: Leonardo, un uomo cinico e disaffezionato alla vita, rinchiuso in una solitudine tanto fisica quanto psicologica. Evita ogni interazione con il mondo circostante, preferendo vivere all’interno della propria “prigione interiore”, dove il cinismo non è altro che una corazza contro la tristezza che lo pervade. Leonardo è un uomo che abita la notte, lavora la notte, per non vedere nessuno e per restare il più possibile da solo. Il primo atto riesce a raccontarlo con efficacia, creando una connessione empatica con lo spettatore, che finisce per provare simpatia per questo personaggio burbero, capace persino di criticare i defunti nei suoi necrologi. La scrittura riferita a Leonardo è forse l’unico elemento che mantiene coerenza anche dopo l’incidente scatenante, quando l’ingresso dell’elemento ghost story coincide con la scomparsa dell’umorismo nero e cinico sull’attualità.
Da quel momento, il tono si trasforma: la commedia si fa più dolce, meno cruda, intrisa di un perbenismo che stride con la prima parte della narrazione. A questo cambio di registro corrisponde un netto mutamento del climax visivo: i colori si fanno più caldi e solari, in contrasto con l’oscurità dominante dei primi minuti. La notte lascia spazio al giorno — un passaggio che dichiara esplicitamente il cambiamento del protagonista. Difatti, grazie all’aiuto dei tre fantasmi, e soprattutto al confronto con il padre, Leonardo abbandona l’oscurità e ricomincia a vivere alla luce del giorno, guardando il mondo con occhi nuovi. I suoi inusuali compagni gli insegnano a vedere il bello del mondo, a prendersi il tempo per non fare nulla, e a godere della bellezza. Il suo risveglio interiore non è solo una trasformazione narrativa, ma una dichiarazione poetica: anche chi ha scelto il buio può imparare a vedere la luce, se guidato da voci che sanno parlare al cuore.
Il protagonista Leonardo vede il mondo attraverso gli occhi dei fantasmi, riuscendo così a cogliere significati nuovi, tornando a stupirsi di ciò che dava per scontato. Lo sguardo dei fantasmi, come quello di un bambino, è incantato, curioso e libero e permette a Leonardo di fermarsi a osservare la realtà da una prospettiva diversa, di percepire la naturale e semplice bellezza delle cose, di tornare a immaginare, sperare e avere fiducia nel futuro.
Note di regia
Paradiso, perbenismo e leggerezze: la deriva drammaturgica di RIP
RIP è una commedia esistenziale che intreccia ironia, azione e suggestioni fiabesche per raccontare il percorso interiore di Leonardo, un uomo disilluso che riscopre il senso della vita attraverso un incontro surreale con un gruppo di fantasmi. La pellicola non si limita a narrare una trasformazione personale, ma costruisce una vera e propria riflessione filosofica sul tempo e sulla morte. La drammaturgia si fonda su una dialettica poetica tra inizio e fine: ogni evento, ogni emozione, ogni relazione porta con sé la promessa di una conclusione, ma anche la possibilità di un nuovo inizio. In questo gioco di specchi temporali, il film suggerisce che la fine non è necessariamente una chiusura, bensì un passaggio, un’apertura verso un’altra storia — forse più autentica, forse più libera. Il regista, attraverso la figura di Leonardo, propone una visione del “paradiso” radicalmente umana: non un luogo ultraterreno, ma un momento di pienezza, di felicità assoluta, vissuto qui e ora. Il paradiso, secondo questa prospettiva, è accessibile ogni giorno, ma solo se si ha il coraggio di lasciar andare il passato — con le sue ferite e le sue nostalgie — e di non temere il futuro. La felicità non è una meta, ma una disposizione interiore, una scelta che richiede apertura, fiducia e presenza. RIP è dunque un invito a vivere con consapevolezza, a riconoscere la bellezza nei gesti quotidiani, a creare con le proprie mani momenti di eternità, dimostrandosi un film che parla di morte per celebrare la vita, che usa il fantastico per raccontare il reale.
Però, queste riflessioni, pur interessanti — come l’invito a mordere la vita e viverla pienamente — non sono però accompagnate da una drammaturgia sufficientemente sviluppata. I concetti, anziché essere approfonditi, vengono diluiti in situazioni piacevoli ma superficiali (emblematica la scena del Milite Ignoto o della macchina), facendo scivolare la narrazione in una leggerezza che intacca la qualità dell’idea di fondo. Una leggerezza che non si manifesta solo nella trattazione tematica, ma anche nella costruzione stessa della pellicola, dove gli eventi si susseguono in modo leggero, non per buchi di trama, ma per passaggi che tornano “fino a un certo punto” — funzionali solo a far avanzare la storia nel modo più semplice possibile, con uno spettatore che è chiamato ad accettarli con estrema indulgenza.
Nell’opera prima di Alessandro D’Ambrosi e Santa de Santis, la leggerezza della scrittura — comprensibile nel contesto di un debutto — si riflette soprattutto nella costruzione dei personaggi secondari, che oscillano tra il bozzetto comico e la funzione narrativa accessoria. Tra questi, spicca positivamente il giovane fantasma Marcello, figura ben delineata e dotata di una propria coerenza drammaturgica: la sua presenza arricchisce il racconto con una vitalità malinconica e un’efficace tensione emotiva, fungendo da personaggio portante nell’evoluzione del protagonista. Al contrario, Beatrice e Adelaide, pur animate da una simpatia immediata, restano bidimensionali, più funzionali al tono fiabesco che alla profondità del racconto, nonostante l’universo filmico dei fantasmi risulti interessante e ben progettato. Habib, personaggio stereotipato, riesce comunque a trovare una sua collocazione nel ritmo della narrazione, contribuendo con ironia e leggerezza a farci sorridere.
La vera debolezza emerge con Lara (interpretata da Caterina Gabanella), figura centrale nella sottotrama romantica. La sua caratterizzazione risulta evanescente: né il suo ruolo nella vita di Leonardo né il loro legame riescono a generare tensione o coinvolgimento. Lara appare come un innesto narrativo poco motivato, privo di spessore e incapace di incidere sul percorso del protagonista. Anche il gruppo dei “cattivi” — antagonisti grotteschi e caricaturali — soffre di una scrittura superficiale. La loro funzione narrativa è debole, il loro impatto nullo, e l’atteggiamento di Leonardo nei loro confronti appare poco giustificato, quasi svogliato. Questi personaggi non riescono a generare né conflitto né comicità, lasciando vuoti drammaturgici che il film non colma.
Il limite più evidente di RIP risiede nella scelta di stemperare il potenziale cinismo e il black humor del protagonista in una cornice di perbenismo narrativo, dove il grottesco e il fiabesco si mescolano con una commedia all’italiana che manca però della sua incisività migliore. Il film avrebbe potuto distinguersi proprio nella sua vena più scura e corrosiva, ma la rinuncia a questa coerenza stilistica ne attenua la forza, lasciando l’impressione di un’opera che sfiora il coraggio senza abbracciarlo del tutto.
In conclusione
RIP si presenta come una dark comedy esistenziale che parte da un’intuizione brillante e da un protagonista ben costruito, ma che fatica a mantenere coerenza e profondità lungo tutto il suo sviluppo. L’opera prima di Alessandro D’Ambrosi e Santa de Santis alterna momenti di cinismo lucido e ironia tagliente a derive più concilianti e fiabesche, perdendo progressivamente la forza corrosiva che ne aveva caratterizzato l’inizio. Il film resta sospeso tra due registri — il grottesco e il poetico — senza riuscire a integrarli pienamente, lasciando emergere una narrazione che, pur ricca di spunti, si accontenta di soluzioni narrative semplici e personaggi secondari poco incisivi.
Note positive
- Premessa drammaturgica originale e promettente
- Protagonista ben scritto e interpretato
Note negative
- Deriva perbenista che attenua il potenziale corrosivo
- Personaggi secondari poco sviluppati
- Sottotrama romantica debole e poco motivata
- Narrazione che si affida a passaggi funzionali ma superficiali
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| Sceneggiatura |
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| Colonna sonora e sonoro |
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| Interpretazione |
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| Emozione |
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SUMMARY
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3.3
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