
I contenuti dell'articolo:
Ritorno a Seoul
Titolo originale: Retour à Séoul
Anno: 2022
Paese: Francia, Cambogia, Belgio, Germania, Corea del Sud, Romania, Qatar
Genere: Drammatico
Casa di Produzione: Aurora Films, Vandertastic Films, Frakas Productions, VOOBE TV
Distribuzione italiana: I Wonder Pictures
Durata: 119 minuti
Regia: Davy Chou
Sceneggiatura: Davy Chou
Fotografia: Thomas Favel
Montaggio: Dounia Sichov
Musiche: Jérémie Arcache, Christophe Musset
Attori: Ji-Min Park, Oh Kwang-rok, Cho-woo Choi, Guka Han, Kim Sun-young, Yoann Zimmer, Louis-Do de Lencquesaing, Hur Ouk-Sook, Emeline Briffaud
Arriva l’11 Maggio 2023 nelle sale italiane Ritorno a Seoul (titolo originale inglese All the people I’ll never be), seconda opera del regista franco-cambogiano Davy Chou che già si era distinta al Festival di Cannes dell’anno scorso nella sezione Quinzaine des Réalisateurs. Il regista Davy Chou, classe 1983, trae ispirazione dalla sua storia personale. Nato in Francia da genitori cambogiani torna in Cambogia, per la prima volta, proprio a venticinque anni e, come la protagonista del suo film, condivide il rapporto complesso con la sua terra natale. La storia si svolge nell’arco di otto anni, seguendo la crescita di Freddie. Durante le varie fasi che la contraddistinguono la musica diventa il denominatore linguistico che unifica e supera gli ostacoli attraverso un ritmo comune che va oltre il francese, il coreano, l’inglese e che avvicina le diverse anime del film. La ricerca dell’identità e la scoperta delle proprie radici sono il fulcro attorno a cui ruota tutta la ricerca del regista.
Trama di Ritorno a Seoul
Spinta dall’impulso di ritrovare le sue origini la 25enne Freddie ritorna in Corea del Sud, dove è nata prima di essere adottata e cresciuta in Francia. La caparbia giovane si mette alla ricerca dei suoi genitori in un paese di cui non sa praticamente nulla, portando la sua vita in direzioni nuove e inaspettate

Recensione di Ritorno a Seoul
Risolvere una vita in due settimane. Questo l’obiettivo di Freddie, giovane donna cresciuta in Francia, al suo arrivo in Corea. Due settimane di fuga dal mondo, due settimane per scoprire quella Corea del Sud lasciata al momento dell’adozione. Freddie ha il volto dell’esordiente Park Ji-min, a osservare il suo cammino è lo sguardo di Davy Chou, regista di origini cambogiane vissuto in Francia (è evidente che quindi questa storia di migrazioni e riscoperta delle origini abbia anche un valore affettivo personale).
La pellicola di Chou parla francese e coreano, come i personaggi che la popolano, ed è questa sua doppia anima a renderla un’opera così intima e potente. Non ci si riferisce solamente alla lingua parlata dai personaggi ma al linguaggio del cinema: non è infatti un film “tipicamente” orientale Ritorno a Seoul, il modo in cui pedina e segue la sua protagonista sembra rifarsi alle atmosfere rohmeriane, una certa delicatezza “dirompente” nell’inquadrare i volti ricorda Assayas, eppure tutto sembra essere ammantato da quei “topoi” tanto cari alla cinematografia coreana perchè, in fondo, è in quei luoghi che si svolge il tutto.

Ritorno a Seoul è un film costruito sulla sua protagonista, una giovane donna in cerca di risposte che si muove fra una domanda e l’altra, fra luoghi e incertezze, crescendo nel cammino, in quel “Ritorno a Seoul” che sembra un richiamo metaforico alla ricerca di una qualche pace esistenziale. È bravissima Park Ji-min a interpretare questo personaggio che è per lo spettatore così seducente nella sua innocenza eppure così capace di sbagliare, così incapace di prendere in mano quel destino che sta cercando. E di personaggi che sbagliano il film ne è pieno, dagli amici che Freddie fa lungo la strada al padre biologico, interpretato da Oh-Gwang-rok, figura commovente nel suo essere un uomo che si porta addosso il peso dei fallimenti di una vita ma allo stesso tempo così voglioso di amare la figlia che aveva dovuto abbandonare (in Corea del Sud vi fu un boom di adozioni internazionali a cavallo fra gli anni 80-90, periodo in cui nacque Freddie in cui il paese era ben lontano dalle condizioni economiche favorevoli in cui si trova oggi).

Il film trova il suo slancio nell’incespicare della protagonista, nella capacità del regista di restituircela in frammenti quando balla in discoteca, tentando di dimenticare i problemi da cui si sente sommersa (tornando ai riferimenti al cinema francese, la sequenza in discoteca sembra profondamente debitrice del cinema di Kechiche). Dai primi piani che escludono dettagli cruciali e ingabbiano Freddie fino ai “travelling” che la accompagnano mentre cammina in spazi ariosi o nella Seoul sconfinata, la regia di Chou sembra infatti “innamorata” della sua protagonista. Altra cosa da notare è la musica, nel film ce n’è tantissima di musica (i compositori della colonna sonora sono Jérémie Archache e Christophe Musset) da quella rock e martellante della discoteca (in cui sentiamo il brano Anybody) fino alla musica di un pianoforte, che tornerà in due momenti cruciali.
Tanti sono i volti che passano, pochi sono quelli che restano, altrettanti gli interrogativi che via via si portano dietro. Le due settimane iniziali si trasformano in anni e anche la giovane donna cambia e si evolve, noi spettatori in sole due ore veniamo dolcemente accompagnati in questo suo viaggio che è ricerca identitaria delle origini. C’è chi le dice, forse sbagliando, che lei sa non guardarsi indietro, eppure il suo viaggio è mosso dalla ricerca del passato, un “Ritorno a Seoul” che rappresenta un modo per guardare indietro e, allo stesso tempo, andare avanti.
In conclusione
Note positive
- L’interpretazione della protagonista
- La regia di Davy Chou
- La musica.
Note negative
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