
I contenuti dell'articolo:
Rose: A Love Story
Titolo originale: Rose: A Love Story
Anno: 2020
Paese: Gran Bretagna
Genere: Horror
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 86 minuti
Regia: Jennifer Sheridan
Sceneggiatura: Matt Stokoe
Fotografia: Martyna Knitter
Montaggio: Andrew Harmer, Jennifer Sheridan
Musiche: Cato Hoeben
Attori: Sophie Rundle, Nathan McMullen, Matt Stokoe, Olive Gray, Boadicea Ricketts
Rose: A Love Story è un film horror del 2020, diretto dalla promettente regista inglese Jennifer Sheridan, al suo primo lungometraggio. La pellicola è in concorso al Trieste Science+Fiction Festival per il premio Méliès.
Trama di Rose: A Love Story
Rose e Sam sono una coppia innamorata che vive lontana dalla civiltà, isolati dal mondo, in una casa nel bosco circondata dalla neve. La loro appare come una vita ordinaria, fatta di attenzioni e piccoli litigi; Sam si occupa della casa e procaccia il cibo, Rose trascorre il suo tempo davanti la macchina da scrivere. Ma la loro normalità è solo apparente: Rose è affetta da una malattia misteriosa. Questo dettaglio darà vita a delle dinamiche molto inquietanti, in particolare quando una ragazza, rimasta incastrata in una delle trappole per animali di Sam, si infiltra nella loro vita.
Scena di Rose: A Love Story
Recensione di Rose: A Love Story
Jennifer Sheridan, nuova stella del cinema horror, dirige il suo primo lungometraggio uscito nel periodo del lockdown in seguito all’epidemia Covid19 e, per ironia della sorte, parte della narrazione del film si concentra proprio sull’isolamento di questi due individui, Rose e Sam, dal mondo circostante, in una casa lontana dalla civiltà, in un bosco perennemente innevato. Questa coppia crea un suo personale microcosmo, con una routine da seguire con rigidità per mantenere quello che poi verrà rivelato come un instabile equilibrio. Ciò che avvicina la storia a quello che abbiamo vissuto è anche la presenza di quello che appare essere un virus, una malattia per lo spettatore misteriosa: Rose è pallida, debole, costretta a vivere nel buio e a nutrirsi di sangue.
Sophie Rundle in Rose: A Love Story
E’ presente quindi il classico elemento horror che sempre ha affascinato il pubblico: il vampirismo. Questo aspetto, come molti altri, non è particolarmente approfondito ma lasciato in preda all’immaginazione dello spettatore. Un elemento inquietante e ambiguo che porta avanti la suspense della narrazione, che lede la tranquillità di questa coppia innamorata ma problematica. Il loro amore, come si evince dal titolo della pellicola, è centrale quasi più degli elementi orrorifici su cui la sceneggiatura è costruita: ciò che prevale sono in realtà le dinamiche sentimentali tra Rose e Sam. Un amore tormentato dalla malattia, dal soprannaturale: Rose è fragile, costretta a dipendere dalle attenzioni e cure di Sam, uomo complicato, irascibile e controllante. Il rapporto è solo apparentemente idilliaco: la regista rivela molto presto la tossicità della coppia. La malattia è solo il pretesto per narrare un rapporto di totale dipendenza, cui fragili equilibri sono destinati a crollare.
Sophie Rundle e Matt Stokoe in Rose: A Love Story
L’intera pellicola, che vive di un’ambientazione sempre uguale, rigida, fredda e inquietante, viene sostenuta proprio dalla narrazione di questi due personaggi, che godono di due attori credibili nel ruolo e legati da una chimica palpabile (non a caso pare che i due, nella vita fuori dal set, siano una coppia). Una storia d’amore classica nella sua tragicità, ma contemporanea e attuale per gli elementi che cela. Sam e Rose sono due sopravvissuti a qualcosa di misterioso che ha invaso la terra, che l’ha resa probabilmente inospitale; ciò che li tiene ancora ancorati alla vita è il loro amore.
La sceneggiatura, seppur molto interessante per l’idea alla base e per gli elementi classici che si tenta di reinventare, vive però anch’essa, come i personaggi, di un equilibrio a tratti instabile: risulta in alcuni momenti debole, i protagonisti appaiono appena abbozzati, e non si comprendono le ragioni di molti eventi che vengono narrati.
Scena di Rose: A Love Story
Non mancano gli elementi horror classici, come gli jumpscare e la colonna musicale, che tengono in allerta lo spettatore, e una fotografia affascinante che, nelle scene in cui la tensione sale alle stelle, si dipinge di blu e di rosso, composta da luci al neon che avvolgono i personaggi: una citazione al maestro dell’horror per eccellenza, Dario Argento.
La regia e, in generale, gli elementi tecnici, sono ciò che rende questa pellicola un ottimo esordio: le riprese dall’alto e dal basso descrivono concretamente l’ambiente, evidenziandone il suo carattere dispersivo, conferendo così quell’angosciante spaesamento funzionale alla storia; la macchina da presa segue in modo scorrevole i personaggi, scandendo la narrazione talvolta con piccoli piani sequenza; le inquadrature si concentrano su ogni dettaglio fondamentale, vivisezionandolo tramite numerosi primi piani. Il talento registico di Jennifer Sheridan emerge con prepotenza.
Matt Stokoe in Rose: A Love Story
Il personaggio di Amber è quello che spezza definitivamente gli equilibri, e rappresenta il mondo esterno che invade inesorabile l’intimità della coppia e il loro microcosmo: da quel momento sarà la fine.
Rose: A Love Story è un horror a tutti gli effetti contemporaneo per la sua ambiguità e lentezza, per la sua volontà di soffermarsi sulle reazioni e relazioni dei personaggi piuttosto che sull’elemento spaventoso; questa decisione di porre gli aspetti horror in secondo piano rende il film debole come rappresentante del genere (e forse più corretto considerarlo un thriller) ma comunque interessante e godibile.
Note positive
- Fotografia interessante e in linea con la narrazione
- Performance credibili
- Regia ottima
Note negativa
- Sceneggiatura a tratti debole
- Pochi elementi davvero horror