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Survive
Titolo originale: Survivre
Anno: 2024
Nazione: Francia, Belgio, Marocco
Genere: Azione, Avventura, Horror, Fantascienza, Thriller
Casa di produzione: M.E.S. Productions, Monkey Pack Films, Umedia
Distribuzione italiana: Eagle Pictures
Durata: 90 minuti
Regia: Frédéric Jardin
Sceneggiatura: Alexandre Coquelle, Mathieu Oullion
Fotografia: Pierre Aïm
Montaggio: Reynald Bertrand, Camille Toubkis
Musiche: Nicolas Errèra
Attori: Émilie Dequenne, Andreas Pietschmann, Lisa Delamar, Lucas Ebel, Arben Bajraktaraj, Olivier Ho Hio Hen, Stéphanie Guerin, Rida Ait Oufqir, Youssef El Hiaboui, Simon Rérolle
Trailer di “Survive”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Quarta pellicola del cineasta francese classe 1968 Frédéric Jardin — che non dirigeva un lungometraggio dal lontano 2011 con Notte bianca (Nuit blanche) — Survive è un film del 2024 che segna il suo ritorno al cinema dopo anni dedicati alla regia televisiva, da Spiral (2014–2020) a Totems – Conto alla rovescia (2022). Alla sceneggiatura troviamo Alexandre Coquelle e Mathieu Oullion, mentre nei ruoli principali figurano Émilie Dequenne (Close, 2022; Marinette, 2023) e Andreas Pietschmann, noto per il ruolo di Jonas Kahnwald adulto nella serie Netflix Dark (2017). Accanto a loro, i giovanissimi esordienti Lisa Delamar e Lucas Ebel.
Survive è stato distribuito nei cinema francesi a partire dal 19 giugno 2024, e successivamente presentato il 24 agosto dello stesso anno al FrightFest nel Regno Unito. In Italia, il film è stato distribuito da Eagle Pictures, con un’anteprima nazionale tenutasi il 1° novembre 2024 alle ore 20:00 presso il Teatro Miela di Trieste, all’interno del programma del Trieste Science+Fiction Festival, dove ha partecipato in concorso nella sezione Neon / Méliès Competition.
A livello distributivo, la pellicola non è uscita nelle sale cinematografiche italiane, ma è stata resa disponibile in streaming su Prime Video a partire dal 7 luglio 2025, sebbene non come titolo originale della piattaforma.
Trama di “Survive”
Julia, che poco prima ha rischiato di affogare nell’oceano, e suo marito Tom stanno festeggiando il tredicesimo compleanno del figlio Ben a bordo del loro yacht, l’Orca, nel mezzo dell’oceano, insieme alla figlia adolescente Cassie, più interessata a videochattare con il fidanzato che a condividere il momento con la famiglia. Durante la serata, qualcosa di inaspettato accade: gli strumenti elettromagnetici smettono di funzionare, il cielo si riempie di fulmini e il vento si alza improvvisamente, preannunciando una tempesta o perfino un uragano. Subito dopo il cambio del clima, dal cielo precipitano oggetti infuocati che rischiano di colpire l’imbarcazione: non sono meteoriti, ma satelliti in caduta, segno che qualcosa di catastrofico sta per accadere.
Poco dopo, una tempesta elettromagnetica colpisce la barca: un suono acuto e disturbante provoca nausea, emorragie e infine lo svenimento di tutti i membri della famiglia. Al loro risveglio, si trovano in uno scenario surreale: dove prima c’era l’oceano, ora si estende un deserto marino. Tom, oceanografo, comprende subito: la Terra ha subito un’inversione dei poli magnetici, che ha prosciugato gli oceani, riversando l’acqua sulle città sommergendole.
Grazie a una radio trasmittente, Tom riesce a mettersi in contatto con Nao, un ricercatore a bordo di un’imbarcazione scientifica ancora operativa. Nao li informa che una nuova inversione avverrà entro una settimana, riportando l’acqua nei bacini originari e sommergendo nuovamente le terre ora emerse. L’unica speranza è raggiungere Nao, ma c’è posto solo per altre due persone nel suo mezzo di trasporto.
Il pericolo, però, non è solo naturale. La famiglia si imbatte in un misterioso sopravvissuto, un uomo disturbato e violento, che trasforma la loro fuga in una lotta per la sopravvivenza. Dopo una tragedia improvvisa, sarà Julia a dover proteggere i suoi figli in un mondo impazzito, dove l’umanità è regredita alla barbarie e creature abissali, riemerse con il ritiro del mare, bramano carne umana. Il pericolo non viene solo dagli uomini, ma anche da mostruose forme di vita marina, ora esposte alla luce del sole.
Recensione di “Survive”
Non siamo di fronte a un capolavoro, né al miglior disaster movie o revenge thriller mai realizzato — nemmeno per idea. Survival è, in definitiva, un film mediocre, sia per fattura tecnica che per scrittura. I suoi pochi pregi risiedono essenzialmente nel ritmo narrativo e nella capacità di non annoiare lo spettatore, qualità tutt’altro che scontata, soprattutto considerando che, a livello di sceneggiatura, il film offre davvero ben poco.
A dire il vero, la storia è priva di un vero pathos drammaturgico, persino nelle sequenze legate alla catastrofe climatica. Eppure, il film risulta godibile e, come già sottolineato, intrattenente, grazie a una regia dinamica — seppur anonima e priva di originalità — e a un buon comparto tecnico, in particolare montaggio e sonoro, che riescono a creare un minimo di tensione narrativa. A contribuire è anche una sceneggiatura che elimina ogni elemento superfluo, sacrificando qualsiasi tentativo di caratterizzazione dei personaggi in favore di uno script focalizzato esclusivamente sui momenti salienti, nel tentativo di costruire una drammaticità forzata degli eventi, ricercando un epicità che però manca alla pellicola.
Interessante e affascinante risulta invece la location filmica, che dona qualcosa in più al lungometraggio. Durante il film, vediamo i protagonisti muoversi in territori aridi e desertici, con paesaggi rocciosi che evocano il Grand Canyon National Park. Questa ambientazione, che mette fisicamente alle strette i personaggi, genera una tensione implicita. Tuttavia, le scelte scenografiche e narrative legate a questi spazi presentano diverse incongruenze. Difatti, se da un lato è evidente la volontà di affrontare la tematica ecologista attraverso la scenografia, con i personaggi che attraversano un suolo un tempo sommerso dall’oceano, ora ricoperto di plastica, rifiuti chimici e residui petroliferi, trasformato in una critica manifesta all’inquinamento umano, dall’altro lato si disvelano, a livello narrativo e scenografico, vistosi buchi di trama che compromettono la coerenza e la credibilità narrativa dell’opera. Si va dall’eccesso di oggetti riemersi dalle profondità marine, stranamente in ottimo stato di conservazione — vedasi le sedie e il gabinetto — fino alle incongruenze nella gestione dell’acqua. Ad esempio nel corso del film i protagonisti, pur essendo a rischio di disidratazione, si fermano davanti a una roccia da cui sgorga acqua — apparentemente potabile — e decidono di non raccoglierla, senza alcuna spiegazione e, forse, senza nemmeno notarla. Un errore scenografico e sceneggiativo: sarebbe bastato effettuare una ripresa in cui l’acqua non fosse visibile.
Ancora più assurdo — questa volta dal punto di vista strettamente sceneggiativo — è il fatto che, in una situazione estrema di sopravvivenza, i protagonisti non prendano nemmeno in considerazione l’idea di bere la propria urina, che anzi sembrano sprecare deliberatamente. Una scelta certamente sgradevole, ma che viene spesso rappresentata nel cinema di sopravvivenza come ultima risorsa necessaria per evitare la disidratazione, e che avrebbe aggiunto verosimiglianza e drammaticità al contesto. La completa omissione di questa possibilità, senza nemmeno un accenno o una reazione di disgusto, genera una sensazione di inconsistenza drammaturgica: è come se, in fondo, i personaggi non fossero realmente minacciati dalla disidratazione, contrariamente a quanto il film cerca di farci credere con ripetuti riferimenti alla sete e alla scarsità d’acqua. Il risultato è un effetto collaterale non trascurabile: lo spettatore attento percepisce una distorsione narrativa, dove il conflitto vitale viene attenuato o risolto con leggerezza, svuotando di senso una tensione che avrebbe dovuto essere centrale. Dunque, si tratta di un dettaglio che, pur piccolo, scalfisce la credibilità dell’intera narrazione, poiché minimizza l’urgenza del pericolo e riduce il coinvolgimento emotivo: se i personaggi non sembrano disposti a fare ciò che in circostanze reali sarebbe considerato il minimo indispensabile per sopravvivere, allora il pericolo non è più sentito come tale nemmeno dallo spettatore.
Incoerenza scientifica
Il problema di Survive è anche l’impostazione della drammaturgia, basata su un evento scientificamente impossibile, che rende l’opera alquanto inverosimile e assurda. Gli sceneggiatori avrebbero dovuto costruire la storia su un evento catastrofico plausibile, effettuando qualche ricerca, invece di poggiarla su un evento climatico irrealizzabile. Il presupposto narrativo si fonda infatti su un’idea tanto spettacolare quanto infondata: l’inversione dei poli magnetici terrestri che causerebbe il prosciugamento degli oceani e il loro spostamento in aree cittadine. Dal punto di vista scientifico, questa ipotesi non regge.
L’inversione dei poli magnetici è un fenomeno reale e documentato nel passato geologico del pianeta — l’ultima inversione completa risale a circa 780.000 anni fa (evento di Brunhes-Matuyama) — ma avviene su scale temporali estremamente lunghe, dell’ordine di migliaia di anni, e non comporta conseguenze immediate né catastrofiche per la vita sulla Terra. Soprattutto, non esiste alcuna correlazione tra il campo magnetico terrestre e la distribuzione degli oceani. Il livello del mare è determinato da fattori gravitazionali (principalmente l’interazione con la Luna), dalla temperatura globale (che influisce sulla dilatazione termica dell’acqua) e dalla massa dei ghiacci continentali — non certo dal magnetismo terrestre. Confondere questi ambiti equivale a mischiare fisica e fantascienza, senza un minimo di rigore o coerenza interna. Il film sembra ignorare completamente questi principi, servendosi dell’inversione magnetica come mero espediente drammatico per giustificare scenari spettacolari, come fondali oceanici asciutti e il sommergimento di intere città. Una scelta narrativa che può affascinare visivamente, ma compromette irrimediabilmente la sospensione dell’incredulità, per chiunque possieda anche solo una conoscenza elementare delle scienze naturali.
L’elemento revenge thriller
Il lungometraggio costruisce un impianto narrativo ibrido che fonde l’elemento disaster movie, condito da suggestioni post-apocalittiche e da un gusto fantascientifico — emblematico è l’inserimento dei granchi giganti che attaccano gli esseri umani — con le dinamiche del revenge thriller, in cui una famigliola perfetta si ritrova a confrontarsi con un misterioso uomo accompagnato da un cane nero, pronto a assalire e uccidere senza esitazione. Questo uomo incarna una figura archetipica del cinema post-apocalittico: individui che, al collasso delle strutture sociali, si trasformano in predatori feroci, disposti a tutto pur di garantirsi l’accesso a risorse primarie come acqua e cibo. Un topos ricorrente, che in altri film è spesso corredato da un minimo di psicologia e contestualizzazione narrativa; qui, invece, il “mostro” resta anonimo e privo di motivazioni comprensibili, apparendo come una presenza disturbante quanto incongruente.
A questo si aggiungono dinamiche di inseguimento del tutto implausibili: mentre i protagonisti si affannano nella fuga, lui — zoppicante e dal passo rallentato — riesce stranamente a raggiungerli, persino a prevedere i loro spostamenti in un territorio vasto e sconosciuto, quando li perde di vista. Come fa a ritrovarli nel cuore della notte? Tutto ciò genera uno strappo logico nella sospensione dell’incredulità. Mica è uno zombie… Anche lui dovrebbe riposare un po’, giusto?
La componente revenge movie, nel complesso, appare non solo superflua ma dannosa per la tenuta della narrazione. Avrebbe avuto più senso concentrare l’attenzione sui veri elementi di tensione e orrore: i mostri marini, quei granchi mutanti che al contatto con il sole si trasformano in bestie aggressive e letali. Una premessa visivamente potente che, se sfruttata con maggiore intelligenza registica, avrebbe potuto generare sequenze di forte impatto emotivo, ricche di adrenalina e pathos. Invece, questi animali vengono relegati a contorno, sacrificati in favore di una sottotrama vendicativa debole e incoerente, che non solo non arricchisce la pellicola, ma ne mina la tenuta interna.
La figura del misterioso antagonista resta senza backstory, senza un codice narrativo che ne giustifichi l’ossessione verso i protagonisti (se non il volersi vendicare per la morte del cane), ma questo non è l’unico buco di sceneggiatura, poiché Survive è ricco di incongruenze o leggerezze narrative, basti pensare al personaggio di Nao e il finale a lui connesso.
In conclusione
Survive è un film che ambisce a raccontare la sopravvivenza in un mondo post-apocalittico, ma inciampa su troppi fronti per riuscirci davvero. Tra incongruenze scientifiche e lacune narrative, il lungometraggio riesce comunque a intrattenere grazie a una regia ritmata e a un comparto tecnico funzionale. Nonostante ciò, manca la profondità drammatica necessaria per coinvolgere emotivamente lo spettatore. Un’occasione sprecata.
Note positive
- Buon ritmo narrativo
- Ambientazione suggestiva
Note negative
- Presupposti scientifici assurdi
- Revenge thriller debole e inutile
- Sceneggiatura priva di coerenza
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Regia |
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Fotografia |
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Sceneggiatura |
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Colonna sonora e sonoro |
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SUMMARY
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2.8
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