The Great Flood (2025). Coraggio narrativo e limiti drammaturgici in un film diviso

Recensione, trama e cast film The Great Flood (2025). Un disaster movie che si trasforma in fantascienza filosofica: ambizioso, tecnicamente solido, ma segnato da lacune di sceneggiatura.

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The Great Flood (2025) - Kim Da-mi - © 2025 Netflix, Inc.
The Great Flood (2025) – Kim Da-mi – © 2025 Netflix, Inc.

The Great Flood

Titolo originale: The Great Flood (대홍수)

Anno: 2025

Nazione: Corea del Sud

Genere: fantascienza, catastrofico

Casa di produzione: Hwansang Studio

Distribuzione italiana: Netflix

Durata: 108 minuti

Regia: Kim Byung-woo

Sceneggiatura: Kim Byung-woo, Han Ji-su

Fotografia: Kim Tae-soo

Montaggio: –

Musiche:

Attori principali: Kim Da-mi, Park Hae-soo, Kwon Eun-sung, Park Byung-eun, Jeon Hye-jin

Trailer di “The Great Flood”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Sesto lungometraggio del cineasta e sceneggiatore sudcoreano Kim Byung‑woo, noto per aver diretto il thriller di successo The Terror, Live (2013) e la serie Huan Yu (2025), The Great Flood è una pellicola catastrofica presentata in anteprima mondiale il 18 settembre 2025 nella sezione Korean Cinema Today – Special Premiere del 30° Busan International Film Festival, per poi approdare direttamente su Netflix con una distribuzione globale, dal 19 dicembre 2025. 

Il film, prodotto dalla Fantasy Light e dalla Hwansang Studio, è stato girato tra il 1° luglio 2022 e il 5 gennaio 2023 e vede come protagonista Kim Da‑mi, attrice premiata nel 2018 come miglior attrice protagonista ai Grand Bell Awards (South Korea) e al Fantasia Film Festival per la sua interpretazione nel lungometraggio Manyeo. Al suo fianco troviamo Park Hae‑soo, attore noto per la sua partecipazione alla prima stagione di Squid Game (2021) e alla serie La casa di carta: Corea (2022).

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Trama di “The Great Flood”

Una mattina come le altre tutto cambiò per sempre per l’umanità e per An‑na e suo figlio Za‑n. Al risveglio si trovano di fronte a una pioggia incessante: le strade cominciano rapidamente ad allagarsi e, in breve tempo, l’acqua raggiunge il terzo piano, invadendo l’appartamento in cui vivono. Compresa la gravità della situazione, An‑na — ricercatrice e madre single — cerca in ogni modo di mettere in salvo il bambino, tentando di raggiungere i piani superiori dell’edificio; non è però l’unica: le scale sono intasate da persone che cercano di salire, generando un vero e proprio ingorgo umano.

La situazione precipita quando una prima onda anomala — uno tsunami — travolge l’intero piano dove si trovano madre e figlio. A salvarli interviene il misterioso Hee‑jo, un uomo dai modi bruschi che si è recato appositamente in quella palazzina per prelevare An‑na. È lui a mettere la donna al corrente della nuova realtà: la civiltà umana, così come era conosciuta, è finita. Un asteroide ha colpito il pianeta, innalzando il livello delle acque fino a sommergere i continenti abitati e provocando la morte della maggior parte delle forme di vita.

Il compito di An‑na, ricercatrice del reparto Emotion Engine, è creare in laboratorio una nuova generazione di esseri umani geneticamente progettati per provare emozioni, destinati a sostituire gli esseri umani scomparsi. Per poter svolgere questo incarico però An‑na deve sopravvivere: deve raggiungere l’ultimo piano dell’edificio, dove un aeroplano l’attende per metterla in salvo insieme a Za‑n. Il bambino, va precisato, non è figlio biologico ma il frutto di una sperimentazione del reparto Emotion Engine (un dettaglio che complica ulteriormente il rapporto madre‑figlio e solleva questioni etiche sul concetto di genitorialità). Con il passare delle ore An‑na comincia a sospettare che le motivazioni di Hee‑jo non siano del tutto limpide: il destino dei tre potrebbe dipendere dalle sue scelte, mentre la città continua a essere inghiottita dall’acqua.

Recensione di “The Great Flood”

Non è semplice parlare di questa pellicola senza rischiare qualche spoiler, per via della natura stessa della struttura narrativa presentata in The Great Flood, un film che si può suddividere in due parti distinte e in due generi cinematografici quasi autonomi.

Nella prima metà il pubblico si trova davanti a un disaster movie realizzato con estrema maestria visiva e con un solido sviluppo della tensione drammaturgica. A un tratto, però, la pellicola compie uno switch improvviso, mutando completamente il suo indirizzo narrativo e sorprendendo non poco lo spettatore: si passa da un disaster movie a un film dal sapore marcatamente fantascientifico, aprendo la strada a letture drammaturgiche inaspettate rispetto all’inizio. Se nella prima parte catastrofica la narrazione è piuttosto lineare e tradizionale — con un pericolo ambientale evidente e una corsa contro il tempo in cui un personaggio deve salvarsi prima che l’acqua sommerga tutto — la seconda parte adotta una struttura meno convenzionale e meno lineare: il tempo si curva, e situazioni analoghe si ripetono in forme diverse o leggermente divergenti rispetto a quanto visto in precedenza. Ritroviamo così, nella seconda parte, la protagonista nuovamente al punto di partenza del film, nella sua camera prima dell’inizio della catastrofe, e la vediamo di nuovo lottare per la propria salvezza e per portare in salvo il piccolo Za‑n. Pur essendo la tensione onnipresente in entrambe le sezioni — sia in quella catastrofica sia in quella fantascientifica — il film funziona al meglio quando la trama rimane nella semplicità del disaster movie; perde invece efficacia quando la drammaturgia entra nello sci‑fi. In questa seconda fase la narrazione si complica volutamente: uno spettatore attento può comunque cogliere il filo conduttore, ma il problema non riguarda tanto la regia, la costruzione del pathos (che c’è), o le scelte stilistiche del racconto, quanto le logiche interne della sceneggiatura.

La sceneggiatura mostra infatti lacune che emergono in alcuni passaggi narrativi — sequenze che appaiono poco motivate o addirittura assurde — e in cui il senso logico tende a sbiadire. Se la prima parte è solida sotto ogni punto di vista e semina indizi utili alla comprensione della seconda, la parte fantascientifica, pur tecnicamente convincente e capace di mantenere la tensione, si perde in buchi di trama e in scene (che non rivelerò) prive di coerenza logica, riducendo così la potenza drammaturgica complessiva del film

Coraggio e ambizione di The Great Flood

Al di là di alcune lacune di sceneggiatura, The Great Flood si impone come un’opera coraggiosa nel panorama dei disaster movie contemporanei perché non si limita a replicare formule collaudate, ma le utilizza come punto di partenza per deviare verso scelte drammaturgiche meno prevedibili. Il film sorprende lo spettatore osando spostare il baricentro dalla mera spettacolarità verso interrogativi esistenziali e narrativi, trasformando la catastrofe in un laboratorio di idee più che in un semplice evento spettacolare. Sfruttando le convenzioni del genere — eroi, sequenze di salvataggio, tensione collettiva — soprattutto nella prima parte, la pellicola le sovverte progressivamente, generando uno straniamento produttivo che riconduce il familiare a sviluppi inattesi. È una strategia rischiosa che talvolta penalizza la coesione narrativa, ma apre spazi di riflessione che molti blockbuster catastrofici evitano.

Al centro dell’opera si staglia un interrogativo fondamentale: cosa significa essere umani? Il film mette le emozioni al centro non come semplice ornamento drammatico, ma come criterio di definizione dell’umano: la capacità di provare gioia, dolore, empatia e bontà viene presentata come ciò che distingue una vita dotata di senso da una mera simulazione biologica. In questo senso l’emozione è l’elemento fondamentale per considerare un essere umano, ed è su questo nucleo che si concentra l’intera pellicola. Alla fine del film lo spettatore è invitato a riflettere su chi sia realmente più umano: l’An‑na dell’inizio, che mostra atteggiamenti più egoistici, o l’ultima An‑na, i cui comportamenti appaiono più altruistici e intrisi di bontà? È una domanda che il film pone trasversalmente senza offrire risposte nette, lasciando aperto il confronto tra identità biologica e identità morale.

Sul piano tecnico il film non sfigura rispetto ai grandi colossal: la regia gestisce con efficacia sia le sequenze di massa sia i momenti intimi, la fotografia costruisce atmosfere credibili e la colonna sonora sostiene i passaggi emotivi senza sovrastarli. Effetti visivi e cura dei set dimostrano una produzione attenta, capace di coniugare spettacolo e realismo; proprio questa solidità tecnica rende ancor più evidente il rimpianto per una fruizione non cinematografica. La scelta distributiva che ha privilegiato la visione domestica limita l’esperienza sensoriale e collettiva che il film sembra richiedere: la scala delle immagini, la profondità dei campi e la costruzione sonora guadagnano molto in sala, e un passaggio nelle sale, anche breve, avrebbe valorizzato la componente spettacolare e permesso allo spettatore di confrontarsi con la dimensione collettiva della catastrofe rappresentata.

In conclusione

The Great Flood è un film ambizioso che parte da un solido disaster movie per spingersi, con coraggio, verso territori fantascientifici e filosofici. La prima metà convince per ritmo, tensione e maestria visiva; la seconda sorprende e stimola, ma paga il prezzo di una sceneggiatura che talvolta perde coerenza logica. Nonostante i buchi narrativi e alcune scelte difficili da giustificare, l’opera si distingue per l’audacia di voler trasformare la catastrofe in un laboratorio di idee sull’identità, le emozioni e la responsabilità etica. È un film che va apprezzato per l’intenzione e per la qualità tecnica, e che invita lo spettatore a proseguire la riflessione oltre la visione.

Note positive

  • Prima parte catastrofica solida, con tensione drammaturgica ben costruita
  • Regia e messa in scena efficaci sia nelle sequenze di massa sia nei momenti intimi
  • Qualità tecnica elevata: fotografia, effetti visivi e design dei set curati

Note negative

  • Seconda parte sci‑fi con lacune logiche e buchi di sceneggiatura

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Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Interpretazione
Emozione
SUMMARY
3.7
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.